ORDINANZA N.121
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 307 e 384 del codice penale, promosso con ordinanza del 31 ottobre 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di G.P., iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 31 ottobre 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 307 e 384 del codice penale, nella parte in cui “non includono nella nozione di prossimi congiunti anche il convivente more uxorio, oltre al coniuge, finanche separato di fatto o legalmente”;
che nel giudizio principale si procede nei confronti di persona imputata del reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.), per avere fornito alloggio ed ospitalità al proprio convivente more uxorio, favorendo in tal modo la latitanza di quest'ultimo;
che, posta questa premessa di fatto, il giudice a quo ritiene che le norme impugnate contrastino con i parametri costituzionali evocati, in quanto, dal loro combinato disposto, risulta esclusa la possibilità che la persona che abbia compiuto uno dei reati indicati dall'art. 384, primo comma, cod. pen. – tra cui il reato di favoreggiamento personale –, perché costretta dalla necessità di salvare il proprio convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore, possa giovarsi della causa di non punibilità apprestata dallo stesso art. 384 cod. pen. solo a favore di chi abbia commesso il fatto per salvare un “prossimo congiunto”, nozione che, ai sensi dell'art. 307, quarto comma, non include il convivente di fatto;
che, in particolare, le norme impugnate contrasterebbero con il principio di ragionevolezza là dove esse apprestano un difforme trattamento a due situazioni, quella del convivente more uxorio e del coniuge, ormai pienamente assimilabili, poiché, a fronte del medesimo elemento qualificante costituito dalla convivenza tra le persone basata su una stabile relazione affettiva, sarebbe ormai irrilevante il dato formale dello status coniugale alla luce sia dell'evoluzione dei costumi sociali, sia della giurisprudenza ordinaria – che ha ad altri fini assimilato i due casi –, sia, infine, della legislazione, in particolare dell'art. 199, comma 3, lettera a), cod. proc. pen., che ha esteso al convivente di fatto la facoltà di astenersi dal rendere testimonianza;
che tali argomentazioni, ad avviso del rimettente, sarebbero da un lato sufficienti a considerare superate le argomentazioni – incentrate sulla non assimilabilità delle due situazioni – formulate dalla Corte costituzionale nel rigettare una analoga questione con sentenza n. 237 del 1986, e, dall'altro lato, renderebbero altresì evidente la violazione dell'art. 2 della Costituzione da parte delle norme impugnate, a causa dell'insufficiente tutela da esse apprestata alla famiglia di fatto, quale formazione sociale che, al pari della famiglia legittima, rende possibile lo svolgimento della personalità dell'individuo.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria dubita, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 307 e 384 del codice penale, nella parte in cui, prevedendo (l'art. 384, primo comma) una causa di non punibilità per taluni reati a favore di chi li abbia commessi per la necessità di salvare da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore un prossimo congiunto, e fornendo (l'art. 307, quarto comma), la nozione di “prossimo congiunto” agli effetti della legge penale, non includono nell'ambito di applicazione della causa di non punibilità colui che commette gli stessi fatti per la necessità di salvare il proprio convivente more uxorio;
che argomentazioni analoghe a quelle formulate dal rimettente a sostegno della piena assimilabilità delle situazioni di coniugio e convivenza di fatto sono state rigettate da questa Corte con la sentenza n. 8 del 1996 – pronuncia che il giudice a quo omette di considerare – nel dichiarare in parte infondata e in parte inammissibile analoga questione, essendosi ribadito come esistano nell'ordinamento ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell'art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto fruisce della tutela apprestata dall'art. 2 della Costituzione ai diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali;
che, nella citata pronuncia, questa Corte ha inoltre sottolineato che, se da un lato la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude affatto la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'una e dell'altro che possano presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell'art. 3 della Costituzione (cfr., a tale proposito, la sentenza n. 416 del 1996), dall'altro lato, tuttavia, al di fuori di tali specifici casi che possono rendere necessaria una identità di disciplina, ogni intervento in tal senso rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore;
che, pertanto, sotto il profilo della asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione non v'è ragione di discostarsi dalle conclusioni raggiunte nella citata sentenza n. 8 del 1996, tanto più che «un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità che assumesse in ipotesi la pretesa identità della posizione spirituale del convivente e del coniuge, rispetto all'altro convivente o all'altro coniuge, oltre a rappresentare la premessa di quella totale equiparazione delle due situazioni che […] non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione, determinerebbe ricadute normative conseguenziali di portata generale che trascendono l'ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale» (sentenza n. 8 del 1996);
che, quanto alla asserita violazione dell'art. 2 della Costituzione – parametro considerato nella citata pronuncia n. 8 del 1996 come pertinente alla tutela della convivenza di fatto –, le sopra esposte considerazioni, e in particolare la difforme considerazione dei due casi (art. 2 per la convivenza e art. 29 per il coniugio), portano ad escludere che si possa configurare come costituzionalmente necessaria una tutela del rapporto di convivenza che passi attraverso il riconoscimento di una generalizzata esclusione della punibilità delle condotte indicate dall'art. 384, primo comma, cod. pen., qualora poste in essere per salvare il proprio convivente more uxorio da un grave e irreparabile nocumento nella libertà o nell'onore;
che, di conseguenza, sotto tale ulteriore profilo la questione di costituzionalità è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 307 e 384 del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 307 e 384 del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 2 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente e Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2004.