ORDINANZA N.102
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfonso QUARANTA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, con ordinanza del 12 dicembre 2002, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 12 dicembre 2002 il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituita parte civile, con la conseguenza di sottoporla, nonostante sia interessata all’esito del giudizio, all’obbligo di dire la verità e di prestare “giuramento”, così consentendo, «di fatto, che la prova della colpevolezza dell’imputato si basi esclusivamente o quasi esclusivamente sulle sue dichiarazioni»;
che il Tribunale – premesso che la questione è stata prospettata dalla difesa degli imputati – ritiene che la disciplina censurata determini una situazione processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.;
che in particolare il rimettente rileva, in relazione al valore da attribuire alla deposizione della persona offesa, che la giurisprudenza di legittimità per un verso ha affermato che tale testimonianza deve essere valutata «con ogni opportuna cautela» e che può «essere assunta, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a [un] riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva», «sorretto da adeguata e coerente giustificazione»; dall’altro, seguendo un indirizzo «meno rigoroso», ha ritenuto che «può attribuirsi piena efficacia probatoria alla testimonianza della persona offesa dal reato qualora ne sia accertata l’intrinseca coerenza logica, anche quando essa costituisca l’unica prova e manchino elementi esterni di riscontro»;
che, «nella pratica», la «stragrande maggioranza» dei procedimenti penali che hanno origine da una denuncia-querela presentata dalla parte lesa si fonderebbe soltanto «sulla prova fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre costituitosi parte civile», ovvero sulle deposizioni dei suoi prossimi congiunti per i quali neppure è previsto il divieto di testimoniare o la facoltà di astenersi dal deporre «come per i prossimi congiunti dell’imputato»;
che perciò, ove il giudice applicasse i principi sulla valutazione della testimonianza della persona offesa dapprima menzionati, il processo penale quasi sempre «si dovrebbe concludere con l’assoluzione dell’imputato»; di contro, se il giudice basasse la sua motivazione di condanna esclusivamente sugli elementi di prova forniti dalla persona offesa, «ne verrebbe (e di fatto ne viene) fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti»;
che, in definitiva, il rimettente, pur dando atto che analoga questione, sollevata in relazione all’art. 197, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., è stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con ordinanza n. 115 del 1992, vorrebbe che la deposizione della persona offesa fosse assunta con modalità che consentano di attribuirle lo stesso valore delle dichiarazioni dell’imputato;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, osservando che la questione è nella sostanza uguale alle altre già più volte esaminate e dichiarate infondate dalla Corte;
che, d’altra parte, dalla stessa ordinanza di rimessione emerge come non vi sia affatto bisogno di introdurre nell’ordinamento una preclusione alla testimonianza della parte civile, dal momento che la giurisprudenza ha oramai individuato canoni e criteri per scongiurare l’evenienza di un’acritica acquisizione al processo di dichiarazioni la cui obiettività non sia accertata.
Considerato che il rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non pone il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituita parte civile e consente così che la prova della colpevolezza dell’imputato si fondi esclusivamente su tale deposizione, determinando una situazione processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;
che la medesima questione, sollevata dallo stesso rimettente sulla base di identiche argomentazioni, è stata dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 82 del 2004;
che in tale ordinanza questa Corte ha già avuto modo di rilevare come, malgrado il rimettente formalmente censuri l’art. 497, comma 2, cod. proc. pen., la questione è posta negli stessi termini di quelle, dichiarate manifestamente infondate con le ordinanze n. 115 del 1992 e n. 374 del 1994, e infondate con le sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971, che hanno avuto ad oggetto gli artt. 197 e 208 cod. proc. pen., ovvero l’analoga disciplina del codice del 1930;
che, non avendo questa Corte motivo di discostarsi dalle ragioni poste a base delle pronunce sopra menzionate, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2004.