SENTENZA N. 2
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 106, 366, 408, 441 e 449 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 1970 dal pretore di Mogoro nel procedimento penale a carico di Frau Giulia ed altri, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1972 il Giudice relatore Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 15 maggio 1970 nel corso del procedimento penale a carico di Frau Giulia ed altri, il pretore di Mogoro, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, ha sollevato la questione di legittimità degli artt. 106, 408 e 449 del codice di procedura penale, concernenti il regime della deposizione testimoniale della parte civile, nonché degli articoli 366 e 441, riguardanti la disciplina dell'interrogatorio dell'imputato.
Il pretore ha osservato che tale normativa altererebbe l'equilibrio processuale delle parti nel giudizio conseguente alla costituzione di parte civile nel processo penale.
Nel giudizio instaurato al fine di perseguire, nel corso del processo penale, pretese di restituzione o di riparazione, infatti, mentre all'imputato convenuto é consentito di avvalersi della facoltà di non rispondere all'interrogatorio o di rispondere senza obbligo di verità, alla parte civile, invece, con l'obbligo della testimonianza é imposto anche di porsi come fonte di prova, sia in proprio favore, sia in contrasto col proprio interesse. La sola deposizione della parte civile, inoltre, può essere avvalorata dal giuramento e a darle credito contribuisce di fatto anche la previsione di sanzioni penali per il caso di accertata falsità.
Nei reati perseguibili, come nella specie, a querela dell'offeso, in particolare dipenderebbe da questo atto l'instaurazione del processo penale ed all'offeso stesso sarebbe data possibilità di scegliere fra l'esercizio dell'azione giudiziaria davanti al giudice penale, mediante costituzione di parte civile, ovvero con domanda giudiziale proposta ai sensi del codice di procedura civile.
Davanti a questa Corte, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato.
Con deduzioni 21 luglio 1970, questa ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate, escludendo che le norme impugnate configurino nei confronti della parte civile una disparità di trattamento che non risulti giustificata dalla sua peculiare posizione processuale o che possano pregiudicare il diritto di agire.
Con la costituzione di parte civile questo diritto non viene sacrificato, ma adattato alle prevalenti esigenze del processo penale.
E dalla disciplina dell'azione civile nel processo penale non deriva neppure lesione del diritto di difesa dell'imputato. La mancata parificazione dell'interrogatorio di questo alla testimonianza, si assume, valorizza il diritto di difesa, non lo sacrifica, ed il punto di equilibrio fra l'uno e l'altro strumento probatorio sarebbe rappresentato dal principio del libero convincimento del giudice.
Considerato in diritto
1. - Nel corso della fase dibattimentale di un procedimento per il reato di ingiurie, il pretore di Mogoro, dopo aver interrogato gli imputati e prima di esaminare quale testimone l'offeso dal reato e querelante, costituitosi parte civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità degli artt. 106, 408 e 449 del codice di procedura penale concernenti l'obbligo e le modalità della testimonianza della parte civile, nonché degli artt. 366 e 441 dello stesso codice, recanti la disciplina dell'interrogatorio dell'imputato.
Il pretore assume che nei confronti dell'imputato sono violati il principio di uguaglianza e quello di difesa, perché soltanto alla parte civile é concesso di porsi come fonte di prova con la credibilità conseguente al prestato giuramento ed al fatto che la falsa testimonianza trova remora nella comminatoria di sanzioni penali.
Il che, oltre tutto, nei reati perseguibili a querela di parte, ai fini dell'esercizio di detta azione civile, consentirebbe all'offeso di optare, mediante la proposizione della querela, per la sede penale, ivi perseguendo le pretese civili e così esimendosi dall'agire davanti al giudice civile, di fronte al quale, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., gli sarebbe vietata la testimonianza in proprio favore.
E ciò mentre all'imputato non é dato di fare dichiarazioni aventi valore di testimonianza.
Analoga violazione dei detti principi di uguaglianza e di difesa si avrebbe altresì nei confronti della parte civile, giacché, ancorché attrice, essa é costretta a deporre, secondo verità, anche contro il proprio interesse, mentre l'imputato, interrogato sui fatti del processo, può non rispondere alle domande del giudice o comunque preordinare le proprie dichiarazioni alla difesa, senza incorrere in sanzioni di sorta.
2. - Le questioni sono chiaramente infondate.
Esse non differiscono da quelle già prospettate sotto gli stessi profili degli artt. 3 e 24 Cost. con le ordinanze 21/1970 del pretore di Iseo e n. 57/1971 del tribunale di Bergamo, impugnanti formalmente i soli artt. 106, 408 e 449 c.p.p. ma sostanzialmente, come in modo esplicito emergeva dalla loro motivazione, anche gli artt. 366 e 441 dello stesso codice.
Tali questioni furono ritenute infondate da questa Corte con la sentenza n. 190 del 21 novembre 1971, il cui contenuto va integralmente confermato.
In detta sentenza é stato precisato, in particolare, che, per effetto di una scelta legislativa non irrazionale, la subordinazione della disciplina dell'azione civile alle esigenze connesse all'accertamento dei reati é riconosciuta, nel nostro ordinamento, quale corollario dell'interesse pubblico a tale accertamento, interesse, preminente su quello collegato alla risoluzione delle liti civili, in specie quando lo stesso fatto risulti configurabile, nel contempo, come illecito penale ed illecito civile e si prospetti, quindi, l'opportunità che siano evitati contrasti di giudicati.
Tale considerazione vale ad inficiare anche il nuovo argomento addotto dal pretore di Mogoro circa la scelta della via giudiziaria lasciata alla discrezione dell'offeso nei reati perseguibili a querela; giacché, a parte la eventuale responsabilità specifica dell'offeso querelante per il reato di calunnia (articolo 368 c.p.), lo svolgimento del procedimento penale nei casi di cui sopra non rimane sottratto alle valutazioni degli organi giudiziari.
Nella stessa sentenza si é posto, altresì, in rilievo l'essenziale ruolo rivestito dal soggetto offeso dal reato, costituitosi parte civile, ai fini della prova nel processo penale, risultando sovente egli il principale e talora l'unico testimone per la ricostruzione storica dei fatti dedotti in giudizio.
Il che, d'altra parte, non implica disparità di trattamento fra l'imputato, a vantaggio del quale deve essere assicurata la difesa anche in sede di interrogatorio, e la parte civile, soggetta invece all'obbligo del giuramento e alla possibile incriminazione per falsa testimonianza. E ciò considerandosi sia la diversità delle rispettive posizioni sostanziali e processuali, sia i temperamenti che apporta al riguardo l'integrale applicazione, nel giudizio penale, del principio del libero convincimento del giudice. Donde consegue la potestà di valutazione critica della attendibilità delle prove, in riferimento tanto all'interesse che possa aver mosso la parte civile a fare dichiarazioni volte al trionfo dell'accusa, quanto, per converso, alla credibilità che possono meritare anche le difese dell'imputato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate con l'ordinanza di cui in epigrafe, degli artt. 106, 366, 408, 441 e 449 del codice di procedura penale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 1973.
Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZÌ – Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO – Ercole ROCCHETTI – Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'1 febbraio 1973.