ORDINANZA N.78
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 696, 727, comma 5-bis, e 729 del codice di procedura penale, come modificati dagli articoli 9, 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l’applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonché conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), e dell’art. 18 della stessa legge n. 367 del 2001, promosso con ordinanza del 28 marzo 2002 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cuneo nel procedimento penale a carico di E. A. ed altri, iscritta al n. 622 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 28 marzo 2002, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cuneo ha sollevato, in riferimento agli articoli 10 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 696, 727, comma 5-bis, e 729 del codice di procedura penale, come modificati dagli articoli 9, 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l’applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonché conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), nonché dell’art. 18 della stessa legge n. 367 del 2001, nella parte in cui stabiliscono l’inutilizzabilità degli atti acquisiti o trasmessi per qualsiasi violazione delle norme di cui all’art. 696, comma 1, del codice di procedura penale, riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria, e dispongono l’applicabilità delle nuove norme ai processi in corso;
che il giudice a quo – posto che l’art. 9 della legge n. 367 del 2001 ha modificato il primo comma dell’art. 696 del codice di procedura penale, inserendo tra le fonti di diritto internazionale dirette a disciplinare la cooperazione giudiziaria l’espresso richiamo della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata dall’Italia con la legge 23 febbraio 1961, n. 215 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959) – rileva che la nuova disciplina avrebbe imposto l’osservanza anche dell’art. 3, terzo comma, della Convenzione «anche per le rogatorie espletate a cura degli organi giudiziari degli Stati con i quali esistono trattati che nulla dispongano in proposito» come per il trattato, applicabile nel giudizio a quo, tra l’Italia ed il Marocco, sottoscritto a Roma il 12 febbraio 1971 e ratificato con la legge 12 dicembre 1973, n. 1043;
che ad avviso del rimettente tale precetto sarebbe richiamato espressamente dall’art. 729 del codice di procedura penale, nel testo modificato dall’art. 13 della legge n. 367 del 2001, là dove prevede, per qualsiasi violazione delle norme di cui all’art. 696, comma 1, del codice di procedura penale, riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all’estero, la sanzione processuale dell’inutilizzabilità, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento;
che la nuova disciplina – secondo il giudice a quo – avrebbe ripristinato il significato originario del precetto contenuto nel citato art. 3, terzo comma, della Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959 e, in tal modo, avrebbe contraddetto una «prassi interpretativa» formata tra tutti gli Stati firmatari – da ricondurre nell’ambito delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, alle quali, in virtù del principio contenuto nell’art. 10 della Costituzione, l’ordinamento giuridico deve conformarsi – in applicazione della quale gli atti conseguenti all’esecuzione, allorché non siano formati dall’Autorità che ha eseguito la rogatoria, sarebbero sempre restituiti in fotocopia senza autenticazione e con la sola attestazione da parte dell’Autorità richiesta – contenuta nella nota di accompagnamento – che la rogatoria viene restituita evasa, e così sarebbe garantita la corrispondenza del materiale trasmesso alla domanda rogatoriale;
che, così interpretato, l’art. 729, comma 1, prima parte, del codice di procedura penale sarebbe in contrasto con l’art. 10 della Costituzione, poiché violerebbe una consuetudine internazionale invalsa nell’applicazione del citato art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959, ed anche in contrasto con l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, per la violazione del principio di ragionevole durata del processo;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate.
Considerato che il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 10 e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 696, 727, comma 5-bis, e 729 del codice di procedura penale, come modificati dagli articoli 9, 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l’applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonché conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), ed altresì dell’art. 18 della stessa legge n. 367 del 2001, nella parte in cui stabiliscono l’inutilizzabilità degli atti acquisiti o trasmessi per qualsiasi violazione delle norme di cui all’art. 696, comma 1, del codice di procedura penale, riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria, e dispongono l’applicabilità delle nuove norme ai processi in corso;
che, secondo il giudice a quo, dall’espresso rinvio, che risulterebbe dagli articoli 729, comma 1, prima parte, e 696, comma 1, del codice di procedura penale, alle regole della “Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959”, dovrebbe conseguire l’inutilizzabilità dei documenti privi della certificazione di autenticità, perché trasmessi dallo Stato richiesto in violazione dell’art. 3 della Convenzione del 1959, che imporrebbe la trasmissione dei documenti “in originale” o, in mancanza, in copia munita di “certificato di conformità”;
che – ad avviso del rimettente – l’art. 729, comma 1, prima parte, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 13 della legge n. 367 del 2001, avrebbe ripristinato un’interpretazione restrittiva dell’art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 1959, contrastante con quella consuetudinaria, in base alla quale gli atti conseguenti all’esecuzione, allorché non siano formati dall’Autorità che ha eseguito la rogatoria, sarebbero sempre restituiti in fotocopia senza autenticazione e con la sola attestazione da parte dell’Autorità richiesta – contenuta nella nota di accompagnamento – che la rogatoria viene restituita evasa, e così sarebbe garantita la corrispondenza del materiale trasmesso alla domanda rogatoriale;
che, con le ordinanze n. 315 e n. 487 del 2002 e n. 68 del 2003, questa Corte si è già pronunciata sulla medesima questione di legittimità costituzionale, dichiarandone la manifesta inammissibilità;
che l’ordinanza di rimessione, emessa in data anteriore alle citate decisioni, non contiene profili nuovi o, comunque, argomentazioni tali che possano condurre la Corte a conclusioni differenti;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 696, 727, comma 5-bis, e 729 del codice di procedura penale, come modificati dagli articoli 9, 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l’applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonché conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), e dell’art. 18 della stessa legge n. 367 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 10 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cuneo, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004.