ORDINANZA N.315
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 727, comma 5-bis, e 729, cod. proc. pen., come modificati dagli artt. 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonchè conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), nonchè dell’art. 18 della stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 2001 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di T. J., iscritta al n. 974 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 7 novembre 2001, il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 10 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale: a) dell'art. 729 [recte: art. 729, comma 1] cod. proc. pen., come modificato dall'articolo 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonchè conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), nella parte in cui stabilisce l'inutilizzabilità degli atti acquisiti o trasmessi in "violazione delle norme di cui all'art. 696, comma 1, c.p.p. riguardanti l'acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria"; b) dell'art. 727, comma 5-bis, e 729 [recte: art. 729, comma 1 e 1-bis,] cod. proc. pen., come modificati dagli articoli 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367, nella parte in cui prevedono l'inutilizzabilità soltanto degli atti prodotti dal pubblico ministero acquisiti o assunti mediante rogatoria internazionale mancanti di certificazione o, comunque, senza l'osservanza della disciplina processuale italiana, e non anche di ogni atto prodotto dall'imputato; c) dell'art. 18 della legge 5 ottobre 2001, n. 367, nella parte in cui, "in deroga al principio del tempus regit actum, ha esteso l'applicabilità delle nuove norme ai processi in corso"; d) del "combinato disposto" degli articoli 12, 13 e 18 della legge 5 ottobre 2001, n. 367;
che la questione di legittimità costituzionale é stata sollevata nel corso di un procedimento penale relativo ad un'imputazione di traffico e ricettazione di reperti archeologici, fondata sull'esito di perquisizioni compiute all'estero ed in particolare sul sequestro di reperti rinvenuti nel corso di scavi clandestini eseguiti in Italia, nonchè di documenti trasmessi, "in copia priva di certificazione di autenticità", dalla competente autorità giudiziaria della Repubblica federale tedesca in esecuzione di rogatorie internazionali;
che i documenti - precisa il giudice a quo - sono stati "dichiarati utilizzabili" all'udienza del 9 maggio 2000 ed inseriti, ex art. 431, lettera d), cod. proc. pen., nel fascicolo per il dibattimento, ma che, nella successiva udienza del 15 ottobre 2001, tenuto conto della nuova disciplina in tema di utilizzabilità degli atti acquisiti mediante rogatoria internazionale e della disposizione transitoria la quale estende le nuove regole anche agli atti già acquisiti al dibattimento, il pubblico ministero ha eccepito l'illegittimità costituzionale delle norme introdotte dalla legge 5 ottobre 2001, n. 367, nella parte in cui vietano l'utilizzabilità di documenti trasmessi dallo Stato richiesto senza la specifica certificazione di autenticità;
che tali documenti, secondo il giudice rimettente, sarebbero "inutilizzabili" ai fini della decisione per le seguenti ragioni: a) l'art. 3, comma 3, della convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959 ratificata dall'Italia con legge 23 febbraio 1961, n. 215 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959), prevede che lo Stato richiesto é tenuto a trasmettere a quello richiedente "semplici copie o fotocopie dei fascicoli o documenti richiesti munite di certificazioni di conformità"; b) l'art. 696, comma 1, cod. proc. pen., nel testo modificato dall'art. 9 della legge n. 367 del 2001, richiamando tra le fonti di diritto internazionale dirette a disciplinare la cooperazione giudiziaria la predetta convenzione di Strasburgo, imporrebbe "l'osservanza anche dell'art. 3, comma 3, in conformità al suo enunciato testuale"; c) quest’ultimo precetto sarebbe richiamato espressamente dall'art. 729, comma 1, cod. proc. pen., nel testo modificato dall'art. 13 della legge n. 367 del 2001, nella parte in cui prevede per qualsiasi violazione delle norme di cui all'art. 696, comma 1, cod. proc. pen., la sanzione processuale dell'inutilizzabilità ai fini della decisione; d) l'art. 18 della legge 5 ottobre 2001, n. 367, avrebbe esteso l'applicabilità delle nuove norme ai processi in corso, prevedendo l’inutilizzabilità ai fini della decisione di documenti trasmessi dallo Stato richiesto prima dell’entrata in vigore della novella senza la specifica attestazione di autenticità, anche se già acquisiti al fascicolo del dibattimento;
che, così interpretato, il "combinato disposto" degli artt. 12, 13 e 18 della legge in esame non sarebbe conforme -secondo l’ordinanza di rimessione- al "canone generale di ragionevolezza"; inoltre, l’art. 13, cit., sarebbe in contrasto con una "consuetudine internazionale invalsa nell’applicazione" del citato art. 3 della convenzione di Strasburgo, violando così indirettamente l’art. 10 della Costituzione; gli artt. 12 e 13, cit., sarebbero in contrasto sia con il principio del contraddittorio in condizioni di parità tra le parti, sia con quello della ragionevole durata del processo ed infine l’art. 18, cit., oltre ad essere contrastante con quest’ultimo principio, non sarebbe conforme, in quanto deroga al canone del tempus regit actum, a criteri di ragionevolezza;
che secondo il rimettente, la questione, oltre che non manifestamente infondata, sarebbe anche rilevante, in quanto gli atti privi della specifica attestazione di conformità in virtù delle nuove norme, e perciò "inutilizzabili" ai fini della decisione, rappresenterebbero gli elementi su cui "si fonda l’ipotesi accusatoria".
Considerato che il giudice a quo dubita – in riferimento agli artt. 3, 10 e 111 della Costituzione - della legittimità costituzionale degli articoli 727, comma 5-bis, e 729 [recte: art. 729, commi 1 e 1-bis] cod. proc. pen., come modificati dagli articoli 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonchè conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), ed altresì dell'art. 18 della stessa legge 5 ottobre 2001, n. 367, nella parte in cui stabiliscono l'inutilizzabilità degli atti acquisiti o trasmessi in violazione delle norme convenzionali in materia di assistenza giudiziaria, riguardanti l'acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria e, in deroga al principio del tempus regit actum, dispongono l'applicabilità delle nuove norme ai processi in corso;
che secondo il giudice a quo – in virtù dell’espresso rinvio, che risulterebbe dagli articoli 729, comma 1, e 696, comma 1, cod. proc. pen., alle regole della "convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959" – dovrebbe conseguire l’inutilizzabilità dei documenti privi della certificazione di autenticità, perchè trasmessi dallo Stato richiesto in violazione dell’art. 3 della predetta convenzione del 1959, che imporrebbe la trasmissione dei documenti "in originale" o, in mancanza, in copia munita di "certificato di conformità";
che il giudice a quo, dopo avere denunciato "l’esasperato rigore formale", non sorretto da "apprezzabili esigenze sostanziali della tutela giurisdizionale", del nuovo sistema, sostiene, da un lato, che la nuova disciplina avrebbe ripristinato una "interpretazione restrittiva" dell’art. 3, comma 3, della convenzione di Strasburgo del 1959 e, dall’altro lato, che tale interpretazione "appare superata da quella consuetudinaria", basata sulla "prassi consolidata di tutti gli Stati che aderiscono alla convenzione";
che il giudice rimettente prospetta essenzialmente un conflitto interpretativo tra gli enunciati testuali delle disposizioni legislative censurate e l’asserita prassi internazionale consolidata, ponendo così in realtà una questione di mera interpretazione, per risolvere la quale non può rivolgersi alla Corte costituzionale, ma deve avvalersi di tutti gli strumenti ermeneutici applicabili, tra i quali, trattandosi nella specie di un accordo internazionale, anche i principi della convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati;
che, d’altronde, il giudice a quo non ha verificato, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, se potessero adottarsi differenti interpretazioni delle norme censurate, già emerse nella giurisprudenza di merito, le quali fossero in grado di risolvere la proposta questione interpretativa;
che, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, non avendo il rimettente assolto "l’onere di verificare la concreta possibilità di attribuire alla norma denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale" (ex plurimis, ordinanza n. 322 del 2001);
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 727, comma 5-bis, e 729 [recte: art. 729, commi 1 e 1-bis] cod. proc. pen., come modificati dagli articoli 12 e 13 della legge 5 ottobre 2001, n. 367 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Italia e Svizzera che completa la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonchè conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale), ed altresì dell'art. 18 della stessa legge 5 ottobre 2001, n. 367, sollevata dal Tribunale di Roma, in riferimento agli artt. 3, 10 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2002.