SENTENZA N. 301
ANNO 2003
Commenti alla decisione di
I. Enzo Balboni, Le sentenze sulle fondazioni bancarie tra attese e sorprese: considerazioni sulla dinamica delle fonti del diritto (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
II. Francesco Ciro Rampolla, La Corte si esercita in difficili equilibrismi sulle fondazioni bancarie (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
III. Daniela Bolognino, Fondazioni di origine bancaria, soggetti del pluralismo a cui si tentò di tarpare le ali. Nota alle sentenze n. 300 e 301 del 2003 della Corte Costituzionale (per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
IV. Matteo Cosulich, Fondazioni di origine bancaria, soggetti del pluralismo a cui si tentò di tarpare le ali. Nota alle sentenze n. 300 e 301 del 2003 della Corte Costituzionale (per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art.11, commi 1, primo ed ultimo periodo, 2, 3, 4, 7, 10 e 14, ultimo periodo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), dell’art. 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti) e degli artt. 4, comma 1, lettera g), e 10, comma 3, lettera e), del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461), promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con 10 ordinanze dell’8 febbraio 2003, rispettivamente iscritte ai nn. 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127 e 128 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione della Compagnia di San Paolo, di Ristuccia Sergio, dell’ADUSBEF, della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, della Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, della Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, della Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia, della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, della Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto, della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto e della Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI) ed altre nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 giugno 2003 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi gli avvocati Angelo Clarizia e Antonio Carullo per la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, Angelo Benessia, Natalino Irti e Mario Sanino per la Compagnia di San Paolo, Sergio Ristuccia per se medesimo, Massimo Cerniglia per l’ADUSBEF, Pietro Rescigno e Luisa Torchia per la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Francesco Carbonetti per la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia e per la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Giuseppe Morbidelli per l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, per la Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, per la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e per la Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia, Giovanni Gabrielli, Andrea Guarino, Paolo Vitucci, Giuseppe Morbidelli, Pietro Schlesinger e Beniamino Caravita di Toritto per l’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI) e gli avvocati dello Stato Franco Favara e Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con nove ordinanze di contenuto in parte analogo, depositate l’8 febbraio 2003, ha sollevato diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) e dell’art. 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti).
Otto dei giudizi a quibus hanno ad oggetto la domanda di annullamento del decreto ministeriale 2 agosto 2002, n. 217 (Regolamento ai sensi dell’articolo 11, comma 14, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie), e della nota prot. n. 14572 inviata il 23 ottobre 2002 dal Ministero dell’economia e delle finanze (Documento programmatico previsionale), mentre uno ha ad oggetto la domanda di annullamento della circolare 28 marzo 2002 del Direttore Generale del Tesoro, recante «Ordinaria amministrazione».
Le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo rimettente possono essere così sinteticamente enunciate.
A) Una prima questione di legittimità costituzionale, comune a tutte le ordinanze di rimessione, riguarda l’art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3, della legge n. 448 del 2001 e l’art. 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge n. 166 del 2002 (che modifica l’art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109), in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, quarto comma, della Costituzione.
I commi 1 e 2 del citato art. 11, modificando l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461), contengono una elencazione di «settori ammessi», suddivisi in quattro categorie, ed introducono una nuova nozione di «settori rilevanti», consistenti in quelli scelti – tra gli ammessi – ogni tre anni dalle singole fondazioni in numero non superiore a tre. Il comma 3 dello stesso art. 11, sostituendo l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 153 del 1999, prevede che le fondazioni indirizzino la loro attività esclusivamente nei «settori ammessi» e operino, in via prevalente, nei «settori rilevanti». L’art. 7 della legge n. 166 del 2002, modificando l’art. 37-bis della legge n. 109 del 1994, aggiunge ai «settori ammessi» individuati dall’art. 11, comma 1, della legge n. 448 del 2001, quello costituito dalla realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità.
Ritiene il rimettente che le modifiche così apportate al decreto legislativo n. 153 del 1999 siano incompatibili con la «piena» autonomia, statutaria e gestionale, riconosciuta alle fondazioni bancarie dall’art. 2, comma 1, del medesimo decreto legislativo; ciò in quanto, da un lato, precludono alle stesse fondazioni la possibilità di operare anche in settori di attività, liberamente scelti, diversi da quelli indicati dal legislatore, dall’altro, impongono ad esse di individuare i settori rilevanti, tra quelli indicati dal legislatore, in numero non superiore a tre, pur non ravvisandosi alcun interesse collettivo che giustifichi tale limitazione numerica. Se a ciò si aggiunge l’obbligo, imposto ancora alle fondazioni bancarie dal comma 3, di assicurare «singolarmente e nel loro insieme, l’equilibrata destinazione delle risorse» e di dare preferenza «ai settori a maggiore rilevanza sociale», risulterebbe chiaro – ad avviso ancora del rimettente – l’intento del legislatore di creare un’interdipendenza fra i soggetti in parola e di attribuire ad essi una funzione servente dell’organizzazione pubblica, tanto più che alcuni dei settori ammessi – e segnatamente la prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica, l’edilizia popolare locale e la sicurezza alimentare e agricoltura di qualità – rientrerebbero nell’ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri.
Le norme impugnate si porrebbero, in tal modo, in contrasto innanzitutto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, sia per la loro incompatibilità con la norma di principio contenuta nel citato art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999, sia per lo stravolgimento che da esse deriverebbe alla stessa nozione ed al nucleo essenziale dell’autonomia privata. Sarebbero, sotto altro aspetto, lesive del diritto di associazione dei cittadini e dei diritti dell’uomo nelle formazioni sociali ammesse dall’ordinamento, rispettivamente garantiti dagli artt. 18 e 2 Cost., nonché dell’autonomia privata tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
Le medesime norme contrasterebbero, poi, con l’art. 118, quarto comma, Cost., comportando una pervasività dei pubblici poteri incompatibile con il principio di sussidiarietà sancito da tale norma, nonché con l’art. 117 Cost., in quanto alcuni dei settori indicati dall’art. 11, comma 1, della legge n. 448 del 2001 rientrerebbero tra le materie assegnate alla potestà legislativa concorrente o esclusiva delle Regioni.
B) Una seconda questione – sollevata nei giudizi iscritti ai nn. 119, 123, 124, 125, 126 e 127 del registro ordinanze 2003 – riguarda l’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, in riferimento agli artt. 70 e 117 della Costituzione.
La norma impugnata attribuisce all’Autorità di vigilanza il potere di modificare i settori ammessi con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Ritiene il rimettente che tale previsione contrasti con l’art. 70 Cost. – che riserva al Parlamento l’attività legislativa – comportando una delegificazione ad opera di una fonte secondaria diversa dai regolamenti cosiddetti di delegificazione, espressamente contemplati dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988. L’attribuzione di un siffatto potere regolamentare all’autorità ministeriale potrebbe, d’altro canto, porsi in contrasto anche con l’art. 117 Cost. per le medesime ragioni esaminate con riguardo alla questione di legittimità costituzionale esaminata sub A).
C) Con le ordinanze iscritte ai nn. 120, 121, 122, 125, 126 e 127 del registro ordinanze 2003 viene sollevata, sotto un duplice profilo, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 22, 41, 117 e 118, quarto comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge n. 448 del 2001, che sostituisce l’art. 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 153 del 1999.
La norma impugnata contrasterebbe, innanzitutto, con gli evocati parametri costituzionali – ancora una volta per la non consentita compressione dell’autonomia, statutaria e gestionale, delle fondazioni bancarie - nella parte in cui prevede, per le fondazioni cosiddette istituzionali, una «prevalente» rappresentanza, nell’ambito dell’organo di indirizzo, degli enti diversi dallo Stato di cui all’art. 114 Cost., essendo evidente – secondo il rimettente - come tale previsione sia suscettibile di influenzare in maniera decisiva l’operatività della fondazione.
L’ultimo periodo della medesima norma, esonerando i rappresentanti dei suddetti enti dalla regola ivi dettata in tema di conflitto di interessi, violerebbe poi l’art. 3 Cost. sia sotto il profilo della intrinseca irrazionalità della disposizione, sia per l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri componenti dell’organo collegiale.
D) Con le ordinanze iscritte ai nn. 120, 121, 124, 125 e 127 del registro ordinanze 2003 viene sollevata, in riferimento agli artt. 2, 18 e 22 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, che ha sostituito il comma 3 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
Il rimettente dà preliminarmente atto che il comma 3 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 153 del 1999 è stato nuovamente sostituito dall’art. 80, comma 20, lettera a), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), ma la questione resterebbe ciononostante rilevante in quanto la disposizione legislativa, poi abrogata, è stata comunque trasfusa nella norma regolamentare impugnata nei giudizi a quibus.
Le censure riguardano la norma impugnata nella parte in cui stabilisce un regime di incompatibilità tra le funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni e le analoghe funzioni svolte non solo presso la banca conferitaria – il che, ad avviso del rimettente, sarebbe del tutto ragionevole – ma anche presso altre società operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo.
Ritiene, infatti, il Tribunale amministrativo, da un lato, che la finalità perseguita dalla cosiddetta riforma Ciampi fosse solo quella di recidere i legami tra la fondazione bancaria e la banca conferitaria, cosicché l’ampliamento delle ipotesi di incompatibilità risulterebbe privo di giustificazione; dall’altro, che l’intento di evitare interferenze pregiudizievoli avrebbe potuto, comunque, essere perseguito applicando le ordinarie regole in tema di conflitto di interessi.
La disposizione censurata si porrebbe, quindi, in contrasto con gli artt. 2 e 22 Cost., per l’asserita eccessiva compressione della capacità delle persone, nonché con l’art. 18 Cost., per la lesione che apporterebbe all’autonomia delle persone giuridiche private di cui si tratta.
E) Con le ordinanze iscritte ai nn. 121, 124, 125, 126 e 127 del registro ordinanze 2003 viene sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 18 e 41 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001, che aggiunge il comma 5-bis all’art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
Dispone la norma impugnata, in relazione ai divieti di partecipazioni di controllo di cui all’art. 6 del citato decreto legislativo n. 153 del 1999, che «una società bancaria o capogruppo bancario si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo è riconducibile, direttamente o indirettamente, a più fondazioni, in qualunque modo o comunque sia esso determinato».
La disposizione sarebbe – ad avviso del rimettente – irragionevole e lesiva dell’autonomia, statutaria e gestionale, di persone giuridiche di diritto privato, in quanto farebbe discendere l’applicazione degli anzidetti divieti dalla sussistenza di una mera situazione di fatto, determinata dalla appartenenza al settore delle fondazioni bancarie, anche a prescindere dalla prova di un accordo fra i soggetti coinvolti e dalla verifica della intrinseca idoneità del mezzo utilizzato per il raggiungimento dello scopo che il legislatore intende scongiurare.
F) L’ultima questione di legittimità costituzionale viene sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, quarto comma, Cost., nelle ordinanze iscritte ai nn. 120, 121, 122, 123, 124 e 127 del registro ordinanze 2003, riguardo all’art. 11, comma 14, ultimo periodo, della legge n. 448 del 2001, che, in relazione alla fase di adeguamento degli statuti delle fondazioni alle disposizioni contenute nel nuovo testo legislativo, prevede, tra l’altro, la decadenza degli organi delle fondazioni in carica alla data di entrata in vigore del regolamento attuativo ed il divieto, fino alla loro ricostituzione, di compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Secondo il rimettente l’illegittimità di tale norma sarebbe in buona sostanza consequenziale alla asserita incostituzionalità dell’assetto delineato dall’intero art. 11.
1.1.- Si sono costituite nei diversi giudizi, con distinte memorie, le seguenti parti private: la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia (Reg. ord. n. 120 del 2003), la Compagnia di San Paolo e l’avv. Sergio Ristuccia, nella qualità di membro del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo (Reg. ord. n. 121 del 2003), l’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI), unitamente a numero 62 fondazioni, e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze (Reg. ord. n. 122 del 2003), la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma (Reg. ord. nn. 122 e 125 del 2003), l’ADUSBEF – Associazione utenti e consumatori (Reg. ord. n. 123 del 2003), la Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Reg. ord. n. 124 del 2003), l’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI), unitamente a numero 78 fondazioni (Reg. ord. n. 127 del 2003), tutte concludendo per l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei relativi giudizi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sulla base di argomentazioni, diffusamente sviluppate, volte principalmente a dimostrare l’incompatibilità della disciplina denunciata con la ormai acquisita natura privatistica delle fondazioni bancarie.
Quali ulteriori profili di irragionevolezza delle norme denunciate, oltre a quelli già prospettati dal rimettente, alcune delle parti costituite evidenziano la mancata distinzione – quanto al regime delle incompatibilità personali - tra le fondazioni che ancora mantengono il possesso di partecipazioni di controllo nella banca conferitaria e le fondazioni che tali partecipazioni hanno dismesso, nonché la considerazione che un regime di incompatibilità quale quello delineato dalle norme impugnate di fatto precluderebbe alle stesse fondazioni di avvalersi dell’apporto di personalità dotate di specifica qualificazione professionale, proprio in quanto appartenenti al mondo bancario o finanziario.
La sola Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia sollecita in via principale, relativamente al comma 14 dell’art. 11 della legge 448 del 2001, una pronuncia interpretativa mediante la quale si chiarisca che la decadenza degli organi attuali delle fondazioni consegue soltanto alla concreta necessità di apportare modifiche allo statuto, in tema di composizione degli organi.
1.2.- E’ intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza delle questioni.
Preliminarmente, l’Avvocatura eccepisce la inammissibilità di tutte le questioni, per il difetto di legittimazione attiva delle fondazioni e dell’ACRI rispetto alle controversie introdotte dinanzi al giudice amministrativo; legittimazione che il rimettente avrebbe apoditticamente affermato senza adeguata motivazione.
Ancora in via preliminare, la parte pubblica deduce l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione riguardante l’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 448 del 2001 - secondo cui i «settori ammessi» possono essere modificati dall’Autorità di vigilanza con regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 - non essendo sinora intervenuta alcuna modifica regolamentare dei suddetti settori.
Ulteriore eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, viene sollevata riguardo alla questione relativa all’art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, trattandosi di norma completamente sostituita dall’art. 80, comma 20, lettera a), della legge n. 289 del 2002.
Del pari inammissibile sarebbe, poi, la questione relativa all’art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001 in quanto fondata su un erroneo presupposto interpretativo: la norma – diversamente da quanto il rimettente assume - non disporrebbe, infatti, alcuna presunzione di controllo, ma presupporrebbe che il controllo congiunto da parte di più fondazioni sia in concreto accertato.
Anche la questione riguardante l’art. 11, comma 14, della legge n. 448 del 2001 sarebbe, infine, inammissibile per l’omessa prospettazione di specifiche ragioni di illegittimità costituzionale.
Nel merito, l’Avvocatura muove dalla premessa che la natura pubblicistica delle Casse di risparmio e dei Monti di Pietà sarebbe stata, in passato, pacifica e che solo con la legge n. 461 del 1998 il legislatore avrebbe, per la prima volta, attribuito loro la personalità giuridica di diritto privato. Nessuna preclusione di carattere costituzionale sussisterebbe, pertanto, ad una riconsiderazione, da parte dello stesso legislatore, del regime giuridico delle fondazioni bancarie, il cui patrimonio non sarebbe del resto riconducibile ad un «fondatore» privato, ma deriverebbe esclusivamente, a seguito di trasformazione, da quello dei preesistenti enti pubblici.
Da tali considerazioni discenderebbe l’infondatezza delle questioni sollevate, in quanto basate tutte su una petizione di principio: che, cioè, l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999 – attributivo della piena autonomia gestionale e statutaria delle fondazioni bancarie – sia norma «più forte» delle disposizioni legislative sopravvenute, sottoposte allo scrutinio della Corte, con le quali il legislatore ha, nella sua discrezionalità, individuato un nuovo punto di equilibrio tra autonomia delle fondazioni ed esigenze di responsabilizzazione nei confronti delle collettività locali di appartenenza.
Quanto ai singoli parametri costituzionali evocati, osserva innanzitutto l’Avvocatura che l’art. 118, quarto comma, Cost. non pone un limite preclusivo ai legislatori ordinari, statale e regionali, ma si limita ad indicare loro un orientamento, «con linguaggio a ridotta cogenza», cosicché in nessun caso il parametro in questione potrebbe essere utilizzato ai fini della declaratoria di illegittimità invocata dal rimettente. Lo scopo della norma costituzionale, d’altro canto, non sarebbe certo – ad avviso dell’Avvocatura - quello di introdurre un ulteriore ordine di autonomie, costituzionalmente garantito, «in aggiunta alle autonomie governate dalla sovranità popolare ed alle autonomie dei privati».
Del pari, non pertinente sarebbe il riferimento al parametro di cui all’art. 18 della Costituzione.
Il diritto di associazione sarebbe, infatti, del tutto estraneo alla materia controversa, sia perché la garanzia costituzionale offerta dal citato art. 18 non parrebbe estendersi fino a ricomprendere il diritto di costituire fondazioni o altre persone giuridiche, sia perché, in ogni caso, le odierne fondazioni bancarie sono state costituite dalla legge e non da cittadini-fondatori.
Le fondazioni cosiddette di origine associativa, attualmente, si caratterizzerebbero del resto solo per la presenza dell’assemblea dei soci, senza altre differenze sostanziali rispetto alle fondazioni cosiddette istituzionali, prevalendo in entrambi i casi l’elemento istituzionale e cioè la presenza di un fondo di dotazione a composizione non associativa.
Assume, poi, l’Avvocatura l’estraneità dell’art. 41 Cost. alla materia di cui si tratta, in quanto il parametro evocato non tutelerebbe qualsiasi manifestazione di autonomia privata, ma soltanto l’iniziativa economica e cioè l’attività imprenditoriale, per definizione non riferibile alle fondazioni, espressamente qualificate dalla legge come enti non commerciali.
Frutto di equivoco sarebbe, altresì, il riferimento al parametro di cui all’art. 117 della Costituzione.
Le disposizioni censurate riguardano infatti – ad avviso dell’Avvocatura - il regime delle fondazioni e non la disciplina dei settori nei quali esse possono operare, che è evidentemente lasciata, nelle materie di loro competenza, alle Regioni. La disciplina delle fondazioni si collocherebbe, dunque, nell’ambito dell’ordinamento civile, attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
Dovrebbe, d’altra parte, senz’altro escludersi che le norme denunciate rientrino nella materia delle «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale», compresa, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., tra quelle di legislazione concorrente. Ciò sia perché le fondazioni bancarie sarebbero entità ormai nettamente separate dalle casse di risparmio conferitarie, sia perché le aziende di credito, di cui le fondazioni sono divenute socie, avrebbero ormai tutte dimensione ultraregionale.
Non pertinente alla materia sarebbe anche il parametro di cui all’art. 22 Cost., evocato relativamente ai commi 4, ultimo periodo, e 7 dell’art. 11 della legge n. 448 del 2001. E ciò in quanto le norme impugnate – ad avviso ancora dell’Avvocatura – non riguarderebbero la capacità delle persone ed in ogni caso le regole che le norme medesime dettano al fine di prevenire conflitti di interesse non sarebbero all’evidenza determinate da «motivi politici».
Quanto, infine, al parametro di cui all’art. 3 Cost., evocato sotto il profilo della ragionevolezza, l’Avvocatura sottolinea che l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999 – che il rimettente di fatto eleva al rango di norma di principio, rispetto alla quale andrebbe valutata la coerenza delle norme censurate – va letto unitamente all’art. 5 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), come modificato dalla legge di conversione 15 giugno 2002, n. 112, che tra l’altro prevede che «le norme del codice civile si applicano alle fondazioni bancarie solo in via residuale ed in quanto compatibili». Ed alla luce di tale disposizione il prospettato difetto di ragionevolezza perderebbe qualsiasi consistenza.
2.- Il medesimo Tribunale amministrativo, con altra ordinanza, anch’essa depositata l’8 febbraio 2003 (Reg. ord. n. 128 del 2003), ha nuovamente sollevato – a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 432 del 2002, di restituzione atti per jus superveniens – la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera g), e 10, comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 153 del 1999, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41 e 76 della Costituzione.
Il giudice rimettente – dinanzi al quale è proposta domanda di annullamento dell’Atto di indirizzo del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica del 22 maggio 2001 e dei successivi atti applicativi – ripercorrendo l’iter argomentativo seguito nella precedente ordinanza di rimessione, ribadisce che gli atti impugnati sono stati emessi dal Ministro nell’ambito dei poteri attribuitigli dall’ordinamento, in particolare dagli artt. 4, comma 1, lettera g), e 10, comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 153 del 1999, ma ritiene che tali norme si pongano in contrasto con i parametri costituzionali evocati.
Il giudice a quo muove, anche in tal caso, dall’esame dell’art. 2, lettera l), della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 (Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria), secondo cui le fondazioni bancarie, con l’approvazione delle modifiche statutarie necessarie per l’adeguamento alle disposizioni dettate dai previsti decreti legislativi, «diventano persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale» ed assume che la ratio di tale disposizione sia quella di «privilegiare l’appartenenza, quanto meno morale, del patrimonio accumulato nel corso di decenni dalle banche pubbliche alla collettività dei depositanti risparmiatori e dei beneficiari del credito».
Osserva, poi, il rimettente che lo stesso art. 2 della legge n. 461 del 1998 fissa i principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato deve attenersi nel disciplinare gli scopi, l’organizzazione interna e le forme di controllo sulle fondazioni bancarie, con il risultato di prevedere un regime peculiare, che si discosta da quello codicistico ed è perciò «speciale», ma non quanto alla natura di tali soggetti – quasi fossero una sorta di tertium genus tra le persone giuridiche pubbliche e quelle private – ma semplicemente quanto alla disciplina cui essi sono sottoposti.
Tale prospettiva non sarebbe cambiata – ad avviso del rimettente – neppure con il sopravvenuto art. 5 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, come modificato dalla legge di conversione 15 giugno 2002, n. 112, che anzi, dal punto di vista testuale, conferma la natura privatistica del regime delle fondazioni bancarie, definendo tale regime come «speciale rispetto a quello delle altre fondazioni» solamente quanto alla disciplina prevista dalla normativa vigente in ragione delle finalità assegnate a dette fondazioni.
La ratio della norma sarebbe stata del resto solo quella di chiarire – in relazione alla decisione della Commissione CE dell’11 dicembre 2001, con la quale era stata giudicata incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione, di cui alla legge n. 461 del 1998 ed al decreto legislativo n. 153 del 1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le fusioni tra banche – che l’analogo regime introdotto per le fondazioni bancarie non era suscettibile di produrre effetti turbativi del mercato non essendo tali fondazioni destinate a svolgere attività di impresa.
Positivamente concluso, in tali termini, il riesame della rilevanza della questione cui era stato chiamato dalla ordinanza di questa Corte n. 432 del 2002, il rimettente ribadisce che, alla stregua del panorama normativo esaminato, «il riconoscimento della "piena autonomia statutaria e gestionale” delle fondazioni bancarie assume il valore di un principio guida sia per l’interpretazione che per la valutazione di legittimità, sub specie della compatibilità con esso, delle disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153 del 1999, pur dopo le modificazioni introdotte dall’art. 11 della legge n. 448 del 2001».
Fatta tale premessa, osserva che l’art. 2 della legge n. 461 del 1998 assegna la materia della composizione degli organi, delle cause di incompatibilità e dei requisiti di onorabilità all’esclusiva disciplina statutaria, con l’unica eccezione specificamente contemplata alla lettera h).
Il decreto legislativo n. 153 del 1999 riafferma solennemente, all’art. 2, la piena autonomia statutaria delle fondazioni, ma nel successivo art. 3 (recte: art. 4, lettera g), nell’elencare i principi ai quali gli statuti devono conformarsi nel definire l’assetto organizzativo delle fondazioni, quanto ai requisiti di onorabilità ed alle ipotesi di incompatibilità, pur riproducendo sostanzialmente la dizione contenuta nella legge di delega, aggiunge l’inciso «nel rispetto degli indirizzi generali fissati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera e)».
Proprio in tale previsione si sostanzierebbe, secondo il giudice a quo, la violazione dell’art. 76 Cost. per contrasto con l’art. 2 della legge delega.
Siffatto potere di indirizzo non troverebbe, infatti, alcun riscontro nelle norme della legge delega né potrebbe ricavarsi, per implicito, dai compiti di controllo riservati all’Autorità amministrativa, in quanto i poteri dell’Autorità di vigilanza, espressamente e tassativamente elencati all’art. 2, lettera i), della legge delega, sono comunque preordinati a verificare «il rispetto della legge e dello statuto, la sana e prudente gestione, la redditività del patrimonio e l’effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti»; cosicché gli unici parametri normativi cui l’Autorità può fare riferimento nell’eseguire il riscontro affidatole dall’ordinamento sarebbero, appunto, costituiti dalla legge e dallo statuto, con implicita esclusione del potere di introdurre, con proprio atto, ulteriori prescrizioni vincolanti per i soggetti sottoposti al controllo, operanti su un piano dichiaratamente privatistico.
Una indiretta conferma di tali conclusioni verrebbe dall’art. 11, comma 14, della successiva legge 28 dicembre 2001, n. 448, che attribuisce all’Autorità di vigilanza il potere di emanare disposizioni attuative delle – sole - norme introdotte dallo stesso articolo, così implicitamente escludendo l’esistenza di un generale potere normativo della stessa Autorità.
Ma, anche a prescindere da tale argomento, sarebbe in ogni caso sufficiente rilevare – secondo il giudice a quo - che il potere di controllo di per sé non comporta, quale corollario, l’attribuzione anche di un potere di indirizzo, trattandosi di concetti ontologicamente diversi.
L’evidente discrasia tra il riconoscimento della piena autonomia statutaria delle fondazioni, contenuto nella legge di delega, e la configurazione del potere di indirizzo di cui alle norme impugnate, oltre a rappresentare una violazione dell’art. 76 Cost., costituirebbe, sotto altro aspetto, elemento di interna contraddizione della disciplina delle fondazioni bancarie, censurabile in riferimento al canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Ulteriori profili di illegittimità costituzionale sarebbero, poi, rinvenibili – ad avviso sempre del rimettente – in relazione ai parametri di cui agli artt. 2, 18 e 41 della Costituzione.
L’introduzione di un tale condizionamento esterno di natura autoritativa si porrebbe, infatti, in contrasto con la tutela dell’autonomia privata, che l’art. 41 Cost. garantisce prevedendo forme di controllo e coordinamento a soli fini sociali. Risulterebbero, inoltre, lesi gli artt. 2 e 18 Cost. che tutelano il diritto di associazione dei cittadini ed i diritti dell’uomo nelle formazioni sociali ammesse dall’ordinamento.
2.1.- Si sono costituite in giudizio, con distinte ed ampie memorie, la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, la Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, la Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto e l’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI), quest’ultima unitamente ad altre 41 fondazioni, tutte concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
Si insiste in particolare, negli atti di costituzione, anche alla stregua di argomenti di carattere storico, sulla natura ontologicamente privatistica delle fondazioni bancarie, in specie di quelle di origine associativa, che si assume non smentita dalla norma interpretativa recata dalla legge n. 112 del 2002, ed a tale proposito vengono richiamati tanto il parere del Consiglio di Stato n. 1354/02, reso sullo schema del regolamento ai sensi dell’art. 11, comma 14, della legge n. 448 del 2001, quanto la relazione accompagnatoria al disegno di legge delega del 1998.
Sostengono, in buona sostanza, le parti private che la legge delega avrebbe attribuito all’autorità governativa un potere di vigilanza e non anche di indirizzo e che, in ogni caso, il potere dell’autorità governativa non potrebbe giammai esplicarsi al di fuori dei limiti consentiti dal suddetto carattere privatistico, pur speciale, delle fondazioni bancarie.
2.2.- E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione.
La questione concernente l’art. 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 153 del 1999 sarebbe – ad avviso dell’Avvocatura – inammissibile in quanto detta disposizione sarebbe stata confermata ed integrata dall’art. 11, comma 6, della legge n. 448 del 2001, non impugnato dal rimettente né con l’ordinanza di cui si tratta, né con le altre di cui si è già riferito.
Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata alla stregua delle considerazioni svolte nelle memorie depositate negli altri giudizi.
3.- Nell’imminenza dell’udienza pubblica tanto le numerose parti private quanto l’Avvocatura dello Stato hanno depositato, nei diversi giudizi, ampie memorie illustrative insistendo, con dovizia di argomentazioni, nelle conclusioni già assunte.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con nove ordinanze depositate, in altrettanti giudizi, l’8 febbraio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 22, 41, 70, 117 e 118, quarto comma, della Costituzione e sotto i profili analiticamente esposti in narrativa, diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), e dell’art. 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti).
Le norme impugnate modificano, in più punti, la disciplina delle fondazioni di origine bancaria (comunemente, anche se impropriamente, denominate fondazioni bancarie) dettata dal decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461), in particolare quanto alla individuazione dei «settori ammessi», alla nuova nozione di «settori rilevanti», alla composizione dell’organo di indirizzo, al regime delle incompatibilità, alla disciplina della ipotesi di controllo congiunto di società bancaria o capogruppo bancario da parte di più fondazioni, alla decadenza degli attuali organi gestori delle fondazioni e, fino alla ricostituzione dei nuovi organi, alla limitazione dell’attività delle fondazioni alla ordinaria amministrazione.
Il medesimo Tribunale amministrativo, con altra ordinanza, depositata sempre l’8 febbraio 2003, ha inoltre riproposto – a seguito di una nuova positiva valutazione della rilevanza – in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41 e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera g), e 10, comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 153 del 1999, che attribuiscono all’Autorità di vigilanza sulle cosiddette fondazioni bancarie il potere di emanare «atti di indirizzo di carattere generale», aventi efficacia precettiva.
2.- I giudizi, avendo ad oggetto questioni identiche o analoghe o, comunque, attinenti alla stessa materia, vanno riuniti per essere unitariamente decisi.
3.- Deve, preliminarmente, respingersi l’eccezione di inammissibilità sollevata, in termini generali, dall’Avvocatura dello Stato sotto il profilo dell’assenza – nelle ordinanze di rimessione – di qualsivoglia motivazione sulla legittimazione delle fondazioni, dell’ACRI e dell’ADUSBEF a ricorrere al giudice amministrativo.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa della parte pubblica, una motivazione, pur sintetica, della legittimazione (attiva) dei menzionati soggetti è contenuta nelle ordinanze di rimessione, nelle quali si afferma che l’atto impugnato nei giudizi a quibus risulta astrattamente lesivo degli interessi delle fondazioni e, al tempo stesso, degli interessi dell’ACRI e dell’ADUSBEF, in quanto enti esponenziali, rispettivamente, delle fondazioni e dei consumatori ed utenti fruitori dell’attività istituzionale delle fondazioni.
E tanto basta per escludere che questa Corte possa pervenire ad una declaratoria di inammissibilità sovrapponendo il proprio giudizio a quello del giudice del merito, «rimanendo ovviamente impregiudicata ogni ulteriore valutazione, da compiersi nel giudizio a quo, riguardo all’esattezza delle conclusioni cui il rimettente è pervenuto sul punto» (sentenza n. 156 del 2001).
4.- Va premesso che questa Corte (con sentenza, in pari data, n. 300) si è già pronunciata, ripercorsa l’origine delle fondazioni di origine bancaria, sulla loro natura giuridica di soggetti privati appartenenti all’ordinamento civile (art. 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione).
Passando all’esame delle singole questioni, deve dichiararsi l’infondatezza di quelle relative agli artt. 11, comma 1, primo periodo, della legge n. 448 del 2001 e 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge n. 166 del 2002, che ha modificato l’art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, quarto comma, della Costituzione.
Le norme impugnate, modificando il decreto legislativo n. 153 del 1999, contengono, la prima, una elencazione dei «settori ammessi», suddivisi in quattro categorie, la seconda, l’individuazione di un ulteriore «settore ammesso», costituito dalla «realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità».
Al riguardo deve rilevarsi che le singole previsioni legislative dei settori ammessi sono, sostanzialmente, riproduttive, per la loro ampiezza e varietà, di tutte le possibili attività proprie e caratteristiche delle fondazioni e non possono, quindi, sotto tale aspetto, ritenersi lesive della autonomia, gestionale e statutaria, di tali enti, i quali, come del resto ogni persona giuridica di diritto privato, devono essere caratterizzati da «uno scopo» che ne impronta l’attività (v. artt. 16 e 27 del codice civile).
Per le ragioni appena esposte, è altresì infondato il dubbio di costituzionalità sollevato in relazione agli artt. 2 e 18 della Costituzione.
Del pari infondata, alla stregua delle medesime considerazioni, è l’evocazione del parametro di cui all’art. 41 della Costituzione. Infatti, anche a voler ritenere la norma costituzionale invocata comprensiva di quegli enti, come le fondazioni, per definizione privi di scopo di lucro (v. art. 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999), è sufficiente osservare che le disposizioni censurate – che attengono, per quanto si è già osservato, alla necessaria individuazione dello «scopo» della persona giuridica - non sono in alcun modo limitative della libertà di autodeterminazione delle stesse fondazioni, nel concreto svolgimento della loro attività.
Quanto alle altre censure di incostituzionalità, è evidente che, al di là delle parole usate dal legislatore, deve, comunque, escludersi il riconoscimento alle fondazioni di pubbliche funzioni (cfr. la già citata sentenza n. 300 del 2003).
Con la conseguente necessità di una interpretazione adeguatrice delle locuzioni descrittive di determinati settori quali, ad esempio, quello della «prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica» o quello della «sicurezza alimentare e agricoltura di qualità», locuzioni, tutte, che possono e devono essere interpretate in un senso logicamente compatibile con il carattere non pubblicistico della attività delle fondazioni e, quindi, come riferentisi solo a quelle attività, socialmente rilevanti, diverse, pur se complementari e integrative, da quelle demandate ai pubblici poteri.
Resta, in tal modo, superato il dubbio di violazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. che, anzi, risulta del tutto compatibile, oltre che con la natura privata delle fondazioni, con il riconoscimento che le stesse svolgono compiti di interesse generale.
Le disposizioni censurate riguardano, poi, solo il regime giuridico delle fondazioni e non la disciplina dei settori nei quali esse operano concretamente, che è evidentemente lasciata, nelle materie di loro competenza, alle Regioni.
Sicché, deve escludersi che, così interpretate, le norme impugnate possano comportare una qualsivoglia lesione della potestà legislativa, concorrente o esclusiva, delle Regioni e, quindi, dell’art. 117 della Costituzione (cfr., ancora, la sentenza n. 300 del 2003).
5.- Passando all’esame della questione riguardante l’art. 11, comma 1, ultimo periodo della legge n. 448 del 2001 – secondo cui i «settori ammessi» possono essere modificati dall’Autorità di vigilanza con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – va, anzitutto, respinta l’eccezione, avanzata dall’Avvocatura, di inammissibilità per difetto di rilevanza.
Se è pacifico, infatti, che – come precisato dalla parte pubblica – non è sinora intervenuta alcuna modifica regolamentare dei suddetti settori, non appare, neppure, contestabile che la disposizione impugnata incida su un aspetto qualificante della disciplina e possa, quindi, risultare lesiva dell’interesse delle fondazioni e, in quanto tale, rilevante nei giudizi a quibus.
Nel merito, la questione è fondata.
La norma impugnata, accordando all’Autorità di vigilanza, il potere di modificare, con regolamento, la legge in qualsiasi direzione, per di più senza indicazione di criteri, compatibili con la natura privata delle fondazioni e con la loro autonomia statutaria, idonei a circoscriverne la discrezionalità, viola i parametri costituzionali evocati dal rimettente.
6.- L’art. 11 della legge n. 448 del 2001, oltre alla previsione dei «settori ammessi», contiene, al comma 2, una modifica della nozione di «settori rilevanti», consistenti in quelli – tra gli ammessi – scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in numero non superiore a tre.
Anche siffatta disposizione risulterebbe, sempre ad avviso del giudice rimettente, lesiva degli stessi parametri evocati a proposito dei «settori ammessi», a causa, si afferma, dell’inesistenza di un interesse generale che possa in qualche modo giustificare tale limitazione numerica.
La censura è infondata.
La ragione giustificativa della norma, diversamente da quanto ritiene il giudice a quo, è quella di evitare l’eccessiva dispersione dell’attività delle fondazioni e, quindi, il rischio che gli ingenti mezzi finanziari di cui le stesse dispongono siano utilizzati secondo sollecitazioni contingenti, indipendentemente da una qualsivoglia programmazione pluriennale.
Ove, poi, si consideri che la concreta scelta dei «settori rilevanti» non è effettuata autoritativamente, ma è rimessa alla libera determinazione delle fondazioni e si tenga, altresì, nel debito conto la possibilità per le stesse – riconosciuta indirettamente dal successivo comma 2 dell’art. 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, a tenore del quale le fondazioni operano nei «settori rilevanti» «in via [solo] prevalente» – di svolgere attività anche in settori diversi da quelli «rilevanti», può escludersi, indipendentemente da un esame analitico dei singoli parametri evocati dal rimettente, qualsiasi menomazione dell’autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni incompatibile con la loro natura di persone giuridiche private.
7.- Per le considerazioni esposte va dichiarata infondata anche la questione relativa al comma 3 dell’ art. 11 della legge n. 448 del 2001, sia nella parte in cui dispone che le fondazioni indirizzano la propria attività esclusivamente nei «settori ammessi» e operano in via prevalente nei «settori rilevanti», sia nella parte in cui, in coerenza con la natura delle fondazioni risultante dall’art. 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, introduce quale criterio preferenziale nella scelta dei settori quello della rilevanza sociale dei settori stessi.
Una lettura della norma costituzionalmente adeguata porta, altresì, ad escludere la fondatezza della questione riferita all’inciso secondo cui le fondazioni assicurano «singolarmente e nel loro insieme l’equilibrata destinazione delle risorse».
Se ci si fermasse al tenore letterale, potrebbe effettivamente sorgere il dubbio che la disposizione impugnata sia destinata, come opina il rimettente, a «creare una interdipendenza fra i soggetti in parola (e cioè le fondazioni), convogliando e coordinando in una prospettiva unitaria le potenzialità espresse da ciascuno di essi». Con evidente ed illegittimo pregiudizio dell’autonomia gestionale (oltre che statutaria) delle fondazioni, in quanto risulterebbero vincolate, nella loro azione, ad un disegno unitario incompatibile con la loro soggettività essenzialmente individuale.
Questa Corte ritiene, tuttavia, che la norma impugnata sia suscettibile di una diversa lettura e che, pertanto, nella specie debba farsi applicazione del principio più volte enunciato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (ex multis, sentenza n. 356 del 1996).
La disposizione, oggetto del dubbio di costituzionalità, deve, infatti, essere correttamente interpretata nei termini di una mera indicazione di carattere generale, priva, in quanto tale, di valore vincolante, rivolta alle fondazioni senza comportare alcuna impropria ed illegittima eterodeterminazione riguardo all’uso delle risorse di cui dispongono tali enti.
La destinazione ed il concreto impiego dei rilevanti mezzi finanziari di pertinenza delle fondazioni devono restare affidati alla autodeterminazione delle stesse, salva anche a tal proposito l’ammissibilità di forme di coordinamento compatibili con la natura di persone private delle fondazioni.
8.- La questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge n. 448 del 2001, che sostituisce l’art. 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 153 del 1999, è fondata.
Va premesso che secondo il rimettente la norma precitata risulterebbe lesiva degli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, quarto comma, Cost., per la non consentita compressione dell’autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni, nella parte in cui, al primo periodo, prevede, per le fondazioni cosiddette istituzionali, una prevalente rappresentanza, nell’ambito dell’organo di indirizzo, degli enti diversi dallo Stato di cui all’art. 114 Cost., «pubblicizzando», in tal modo, l’attività delle fondazioni e, quindi, influenzandone in maniera decisiva l’operatività.
Ora, prescindendo da una disamina dei singoli parametri evocati, può affermarsi come, nonostante la varia tipologia delle fondazioni di origine bancaria, sia storicamente indiscutibile un loro collegamento con le realtà locali, quale riflesso del radicamento territoriale degli enti bancari e delle casse di risparmio da cui traggono origine.
Sicché, può dirsi che una significativa presenza nell’organo di indirizzo di soggetti espressi dagli enti territoriali, secondo le determinazioni dei diversi statuti, risponda di per sé ad una scelta non irragionevole del legislatore non censurabile sul piano della legittimità costituzionale.
A diversa ed opposta conclusione si deve, invece, pervenire quando, come dispone la norma impugnata, la prevalenza della composizione dell’organo di indirizzo è riservata ai soli enti territoriali.
A tal proposito, infatti, la censura di irragionevolezza della norma risulta fondata, in quanto non può non apparire contraddittorio limitare la ipotizzata presenza degli enti rappresentativi delle diverse realtà locali agli enti territoriali senza ricomprendervi quelle diverse realtà locali, pubbliche e private, radicate sul territorio ed espressive, per tradizione storica, connessa anche all’origine delle singole fondazioni, di interessi meritevoli di essere «rappresentati» nell’organo di indirizzo.
Una precisazione è, a questo punto, necessaria e riguarda l’uso, all’evidenza atecnico, del termine «rappresentanza», adoperato dal legislatore (anche nel decreto legislativo n. 153 del 1999) per indicare il rapporto che intercorre tra gli enti, riguardati dalla norma, ed i soggetti dagli stessi designati quali componenti dell’organo di indirizzo.
Quel che si radica in capo a tali enti, è, infatti, un potere di designazione dei componenti dell’organo di indirizzo, potere che si esaurisce con il suo esercizio e che non comporta alcun vincolo di mandato a carico dei soggetti nominati, i quali agiscono, e devono agire, in assoluta e totale indipendenza dall’ente che li ha nominati.
Con la conseguenza che, anche sotto tale aspetto, viene superato il rischio, paventato dal rimettente, di trasformare le fondazioni in enti collaterali e serventi, o strumentali, di quelli territoriali.
Conclusivamente, la norma impugnata va dichiarata incostituzionale nella parte in cui prevede nell’ambito dell’organo di indirizzo una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all’art. 114 Cost., anziché di enti, pubblici o privati, comunque espressivi delle realtà locali.
Con assorbimento di ogni altro profilo di censura.
9.- Deve, invece, affermarsi l’infondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione avente ad oggetto l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 448 del 2001, che detta una regola non del tutto chiara in tema di conflitto di interessi, regola che si tratta, pertanto, di intendere in modo conforme alla Costituzione.
La norma, al di là delle sue espressioni letterali, va interpretata – in ossequio al canone di ragionevolezza - nel senso che le fondazioni non possono svolgere la loro attività a vantaggio diretto dei componenti degli organi delle fondazioni, né di coloro che li hanno nominati, a garanzia dell’imparzialità e della correttezza dell’azione delle fondazioni stesse.
Mentre devono ritenersi consentiti gli interventi delle fondazioni intesi a soddisfare quegli interessi, generali o collettivi, espressi dagli enti ai quali è statutariamente attribuito il potere di designare i componenti dell’organo di indirizzo.
Se tale è la portata della norma, è evidente la sua generale riferibilità a tutti i soggetti designanti e designati nella composizione dell’organo di indirizzo, interpretandosi la locuzione «salvo quanto previsto al periodo precedente» nel senso, del tutto generico, confermativo della vigenza della (disciplina contenuta nella) prima parte della norma che, come si è visto, fa riferimento alla composizione dell’organo di indirizzo, anziché in quello – ipotizzato dal rimettente - limitativo della sfera di applicabilità della successiva disciplina in tema di conflitto di interessi.
Intesa in tal modo, la norma si sottrae alle censure di incostituzionalità mosse dallo stesso giudice rimettente.
10.- Con le ordinanze iscritte ai nn. 120, 121, 124, 125 e 127 del registro ordinanze 2003, viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, che ha sostituito l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999.
Va in proposito respinta l’eccezione di inammissibilità avanzata dall’Avvocatura dello Stato sotto il profilo che la norma impugnata sarebbe stata completamente sostituita dall’art. 80, comma 20, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), e che, pertanto, farebbe difetto, nella specie, la rilevanza della questione.
In contrario, è possibile osservare che, come del resto è emerso nel corso della pubblica udienza, la sostituzione della norma impugnata non ha impedito la produzione medio tempore dei suoi effetti e non comporta, quindi, l’eccepita irrilevanza della questione nei giudizi a quibus.
Nel merito, la questione è infondata nei sensi di seguito specificati.
Le censure investono la norma impugnata per la estrema ed irragionevole latitudine del regime di incompatibilità che essa fisserebbe tra le funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni e le analoghe funzioni svolte non solo presso la società bancaria conferitaria, ma anche, genericamente, presso altre società operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo.
Ciò che verrebbe, del tutto ingiustificatamente, a comprimere la capacità delle persone di cui si tratta ed a ledere, al tempo stesso, la libertà delle fondazioni di stabilire la composizione dei propri organi. Con conseguente violazione degli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione.
È possibile, tuttavia, osservare che anche tale norma è suscettibile di una lettura diversa, conforme a Costituzione, incentrata sulla ratio perseguita dal legislatore.
In proposito, non può dubitarsi che lo scopo esclusivo della norma sia quello di recidere i legami tra la banca conferitaria e le fondazioni.
Ed è evidente che una finalità siffatta sarebbe vanificata ove l’incompatibilità fosse limitata alla sola società bancaria conferitaria senza ricomprendere quelle società, operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo, in rapporto di partecipazione azionaria o di controllo con la banca conferitaria.
S’intende, allora, come il riferimento alle «altre società operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo» debba essere inteso nel senso, restrittivo, di società in (necessario) rapporto di partecipazione azionaria o di controllo con la banca conferitaria.
Va, dunque, attribuito alla norma impugnata un significato in linea con quanto dispone sul punto l’art. 20 della successiva legge n. 289 del 2002 che, pur non qualificato come tale, può valere come criterio interpretativo della disciplina previgente.
Restano, in tal modo, superati i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice rimettente e fondati su una interpretazione puramente letterale del dettato normativo.
11.- Con le ordinanze iscritte ai nn. 121, 124, 125, 126 e 127 del registro ordinanze 2003 viene sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 18 e 41 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001 che disciplina il fenomeno del controllo, da parte di una fondazione, di una società bancaria o di un gruppo bancario, disponendo che «una società bancaria o capogruppo bancario si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo è riconducibile, direttamente o indirettamente, a più fondazioni, in qualunque modo o comunque sia esso determinato».
La norma viene censurata in quanto, ad avviso del rimettente, sancirebbe una irragionevole presunzione di controllo nel caso in cui la somma delle partecipazioni bancarie di più fondazioni sia pari alla quota di controllo, a prescindere dall’effettiva esistenza di accordi o di patti di sindacato tra le stesse fondazioni.
Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione in quanto basata, secondo l’Avvocatura, su un erroneo presupposto interpretativo, essendo quest’ultimo un profilo attinente al merito, e quindi alla fondatezza o all’infondatezza, e non già all’ammissibilità della questione.
Passando, quindi, all’esame del merito, la questione va dichiarata infondata nei termini appresso specificati.
Mentre è evidente l’inconferenza, nel profilo in esame, dei parametri di cui agli artt. 2, 18 e 41 Cost., quel che si tratta di accertare è l’asserita irragionevolezza della norma e, quindi, la violazione, sotto tale aspetto, dell’art. 3 della Costituzione.
Va, in proposito, esclusa, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, la configurazione di una presunzione assoluta di controllo, limitandosi la norma impugnata ad estendere la nozione di controllo, ai fini di cui all’art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999, anche all’ipotesi in cui esso sia esercitato, congiuntamente, da una pluralità di fondazioni che siano comunque tra loro legate da appositi accordi finalizzati al controllo bancario e che devono essere, in quanto tali, oggetto di specifica prova.
S’intende, allora, come presupposto della norma sia l’esistenza di un effettivo controllo congiunto da parte di più fondazioni. Senza, ripetesi, che possa dedursi dal semplice possesso di partecipazioni nella stessa azienda bancaria da parte di più fondazioni la ricorrenza in capo a queste ultime di un controllo congiunto, occorrendo fare, invece, riferimento alla nozione di controllo accolta dall’ordinamento vigente.
Sicché, può dirsi che la portata della norma sia solo quella di ricomprendere nella nozione di controllo l’esistenza di accordi di sindacato tra più fondazioni.
12.- La disciplina contenuta nel comma 14 del più volte citato art. 11 della legge n. 448 del 2001 viene, infine, censurata nella parte in cui prevede, all’ultimo periodo, la decadenza degli attuali organi delle fondazioni che devono adeguare i loro statuti alle disposizioni del richiamato articolo e, fino alla loro ricostituzione, la possibilità per quelli in prorogatio di svolgere esclusivamente attività di ordinaria amministrazione.
La questione è ritenuta inammissibile dall’Avvocatura per omessa prospettazione di specifiche ragioni di incostituzionalità.
L’eccezione va disattesa in quanto l’ordinanza si limita, correttamente, ad affermare che «la definizione della questione di costituzionalità è strettamente legata alla soluzione di quelle precedentemente formulate» ed in particolare di quelle riguardanti la composizione degli organi di indirizzo richiamando, per mere esigenze di sintesi espositiva, i rilievi svolti sulla costituzionalità dell’assetto complessivo delle fondazioni delineato dalla legge de qua e, quindi, anche i parametri su cui siffatti rilievi si fondano.
Passando, quindi, al merito della questione se ne deve, tuttavia, dichiarare l’infondatezza nei termini che seguono.
La norma impugnata, come lo stesso rimettente del resto riconosce, costituisce il non irragionevole riflesso delle eventuali modifiche statutarie relative, appunto, alla composizione dell’organo di indirizzo.
S’intende, allora, come il presupposto della norma sia costituito dalla necessità di operare le ipotizzate modifiche statutarie relative alla composizione degli organi delle fondazioni e come, pertanto, la decadenza censurata non sia riferibile alle fondazioni cosiddette associative, nelle quali resta in ogni caso immutata la composizione dell’organo di indirizzo, ed a quelle istituzionali, per le quali l’attuale composizione degli organi risulti conforme alla nuova disciplina introdotta dall’art. 11, comma 4, della legge n. 448 del 2001, nella formulazione datane dalla presente sentenza.
Per le altre fondazioni, nelle quali fosse necessario introdurre una nuova composizione dell’organo di indirizzo, la decadenza degli attuali organi non appare, come si è detto, costituzionalmente censurabile, essendo la conseguenza non irragionevole delle modifiche che dovessero intervenire nella struttura delle fondazioni in ossequio alla legge in esame, così come non appare incostituzionale, trattandosi di un profilo rientrante nella discrezionalità del legislatore, la limitazione, disposta dalla stessa norma, fino alla ricostituzione degli organi, della attività delle fondazioni alla ordinaria amministrazione.
13.- L’ultima questione di legittimità costituzionale, sollevata con l’ordinanza iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2003, è quella riguardante gli artt. 4, comma 1, lettera g), e 10, comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 153 del 1999, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41 e 76 della Costituzione.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione relativamente all’art. 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 153 del 1999 avanzata dall’Avvocatura in base all’assunto che detta disposizione sarebbe stata confermata ed integrata dall’art. 11, comma 6, della legge n. 448 del 2001, non impugnato dal rimettente né con l’ordinanza di cui si tratta né con le altre.
In contrario, può rilevarsi come del tutto correttamente il rimettente abbia impugnato l’art. 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 153 del 1999, che permane in vigore con la modifica apportata dal comma 6 dell’art. 11 della legge n. 448 del 2001, senza, peraltro, che la modifica stessa incida, in alcun modo, sulla questione di costituzionalità.
Risulta, infatti, inequivocamente, dall’ordinanza di rimessione che la censura del rimettente investe esclusivamente la legittimità del potere di indirizzo riconosciuto dalla norma impugnata all’Autorità di vigilanza ed è evidente l’assoluta irrilevanza a tale riguardo della modifica apportata alla norma impugnata dalla legge n. 448 del 2001.
Nel merito la questione è fondata.
In proposito, occorre muovere dall’assunto che l’art. 2 della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 (Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria), assegna la materia delle cause di incompatibilità e dei requisiti di onorabilità degli organi delle fondazioni alla disciplina statutaria con l’unica eccezione contemplata alla lettera h).
L’art. 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 153 del 1999, nell’elencare i principi ai quali gli statuti devono conformarsi nel definire l’assetto organizzativo delle fondazioni, pur riproducendo sostanzialmente, quanto ai requisiti di onorabilità e alle ipotesi di incompatibilità, la dizione contenuta nella legge delega, aggiunge l’inciso «nel rispetto degli indirizzi generali fissati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera e)» violando, in tal modo, l’art. 2 della legge delega e, quindi, l’art. 76 della Costituzione.
In proposito, è sufficiente considerare che il potere di indirizzo è essenzialmente diverso da quello di controllo di cui è titolare l’Autorità di vigilanza, essendo il primo un potere conformativo dell’attività delle fondazioni, il secondo un potere di verifica della corrispondenza di tale attività a determinati parametri preventivamente fissati.
S’intende, allora, come una interpretazione per quanto estensiva della delega non possa arrivare a ricomprendere nei compiti di controllo riservati alla Autorità amministrativa e diretti, ai sensi dell’art. 2, lettera i), della legge delega, a verificare il «rispetto della legge e dello statuto, la sana e prudente gestione, la redditività del patrimonio e l’effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti», quei, diversi e ulteriori, poteri di indirizzo cui fanno riferimento le norme impugnate e che, ripetesi, non trovano alcuna base giustificativa nella legge di delega.
Del resto, come osservato dal rimettente, lo stesso legislatore del 2001, attribuendo all’Autorità di vigilanza il potere di emanare disposizioni attuative delle norme introdotte dall’art. 11 della legge 448 del 2001, ha, sia pure indirettamente, escluso la esistenza di un generale potere di indirizzo della medesima Autorità.
Le due norme impugnate vanno, pertanto, dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 76 Cost. restando assorbito in tale pronuncia ogni altro profilo di censura sollevato dal rimettente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la illegittimità costituzionale:
- dell’art. 11, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), limitatamente alle parole «i settori indicati possono essere modificati con regolamento dell’Autorità di vigilanza da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400»;
- dell’art. 11, comma 4, primo periodo, della legge n. 448 del 2001, nella parte in cui prevede nella composizione dell’organo di indirizzo «una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all’articolo 114 della Costituzione, idonea a rifletterne le competenze nei settori ammessi in base agli articoli 117 e 118 della Costituzione», anziché «una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, pubblici e privati, espressivi delle realtà locali»;
- degli artt. 4, comma 1, lettera g), limitatamente alle parole «nel rispetto degli indirizzi generali fissati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera e)» e 10, comma 3, lettera e), limitatamente alle parole «atti di indirizzo di carattere generale», del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461);
2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 1, primo periodo, 3, 4, ultimo periodo, 7, 10 e 14, ultimo periodo, della legge n. 448 del 2001 e dell’art. 7, comma 1, lettera aa), punto 2, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 22, 41, 117 e 118, quarto comma, della Costituzione;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 11, comma 2, della legge n. 448 del 2001, sollevata dal medesimo Tribunale amministrativo, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, quarto comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2003.