Sentenza n. 96/2003

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SENTENZA N. 96

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

- Alfio FINOCCHIARO                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 3 maggio 2001, depositato in cancelleria il 9 successivo ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2001.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 dicembre 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Salvatore Di Mattia per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), nella parte in cui "impone alle Province di istituire degli osservatori provinciali sui rifiuti, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica", denunciandone il contrasto con gli artt. 117, primo comma, 118, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione.

La ricorrente premette che con la legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), adottata in seguito al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), ha istituito, presso l’Agenzia regionale di prevenzione dell’ambiente del Veneto (ARPAV) - sezione di Castelfranco veneto, una struttura denominata "Osservatorio regionale sui rifiuti". Tale struttura, il cui funzionamento ha richiesto e richiede notevoli oneri in termini finanziari e di risorse umane, provvede ad una pluralità di compiti, tra i quali quelli di gestione della sezione regionale del catasto di cui all’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, di organizzazione della raccolta e dell’elaborazione dei dati sulla gestione dei rifiuti urbani e speciali, nonché di collaborazione con gli enti locali per l’organizzazione e l’elaborazione della "banca dati regionale".

Ciò nonostante - osserva la ricorrente - è intervenuto il denunciato art. 10, comma 5, della legge n. 93 del 2001, che ha imposto alle Province l’istituzione, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, di "Osservatori Provinciali sui rifiuti".

Ad avviso della difesa regionale la norma censurata contrasterebbe, in primo luogo, con gli artt. 117, primo comma, e 118, primo comma, Cost., giacché "lo Stato non ha la potestà legislativa di imporre l’istituzione di Osservatori Provinciali sui rifiuti, in quanto si tratta di normativa di dettaglio". Secondo la ricorrente non potrebbe dubitarsi, alla luce della normativa vigente e degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale, che la materia della tutela dell’ambiente dagli inquinamenti rientri nell’elenco dell’art. 117, terzo comma, Cost. e che, dunque, spetti alle Regioni una potestà legislativa concorrente, in relazione alla quale lo Stato potrebbe formulare solo i principî generali. Nella specie, prosegue la ricorrente, la disciplina statale che impone l’istituzione di osservatori provinciali sui rifiuti costituirebbe normativa di dettaglio, come sarebbe comprovato dal fatto che con essa non si viene soltanto a configurare, in astratto, un obbligo di raccogliere dati sui rifiuti e di trasmetterli all’osservatorio nazionale di cui all’art. 26 del d.lgs. n. 22 del 1997, ma si perviene anche a "scegliere la Provincia quale ente pubblico obbligato ed il territorio provinciale quale ambito territoriale ottimale di riferimento dei dati". L’ulteriore riprova che lo Stato non avrebbe la potestà legislativa di imporre l’istituzione di osservatori provinciali sui rifiuti - prosegue la ricorrente - si ricaverebbe dalla circostanza che l’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998, nel settore della tutela del suolo dai rifiuti, ha riservato allo stesso le sole funzioni amministrative già attribuitegli dal d.lgs. n. 22 del 1997, e tra queste figurerebbero unicamente le funzioni e gli uffici - suscettibili di essere disciplinati in dettaglio dallo Stato - dell’osservatorio nazionale di cui all’art. 26 del medesimo decreto.

La ricorrente lamenta altresì la violazione del principio fondamentale, di cui all’art. 118, primo coma, Cost., che consente di attribuire direttamente agli enti locali le sole funzioni di interesse esclusivamente locale, tra le quali non potrebbero ritenersi incluse quelle dell’osservatorio provinciale.

Precisa al riguardo la Regione che l’espressione "interesse esclusivamente locale" utilizzata dall’art. 118 Cost., in virtù di una interpretazione sistematica condotta in riferimento alla dimensione della popolazione, del territorio e della struttura organizzativa degli enti locali e desumibile da una pluralità di norme, indurrebbe a reputare che lo Stato possa attribuire a detti enti soltanto funzioni e uffici, da un lato, preordinati al perseguimento di interessi pubblici affidati esclusivamente agli enti locali stessi e, dall’altro, esercitabili - proprio in ragione delle dimensioni della popolazione, del territorio e della struttura organizzativa - con sufficiente razionalità ed efficienza.

Con ciò si sostiene che, in riferimento agli osservatori provinciali sui rifiuti, l’attività di raccolta ed elaborazione dati sarebbe volta a soddisfare interessi pubblici affidati anche ad enti diversi dalla Provincia e principalmente alla Regione per l’esercizio delle funzioni programmatorie concernenti l’intero territorio regionale. Inoltre, le dimensioni della popolazione, del territorio e della struttura organizzativa delle Province, assume la Regione Veneto, non sarebbero tali da garantire uno svolgimento razionale ed efficiente dell’attività di raccolta dati sui rifiuti, non fosse altro perché alle medesime viene imposto di reperire le relative risorse finanziarie "all’interno delle entrate attuali, già insufficienti ed inadeguate addirittura per i tradizionali compiti dell’Ente". Peraltro, che la dimensione regionale sia quella più idonea a garantire la razionalità ed efficienza nell’attività di raccolta ed elaborazione dati sui rifiuti sarebbe confermato, secondo la ricorrente, nell’art. 11 del d.lgs. n. 22 del 1997, che ha imposto l’istituzione di sezioni regionali del Catasto nazionale dei rifiuti.

La Regione si duole infine della violazione del principio fondamentale, di cui all’art. 97, primo comma, Cost., del buon andamento dell’attività amministrativa, sotto i profili della razionalità, efficienza ed economicità, quali obiettivi che, in riferimento alle funzioni e agli uffici di osservatorio sui rifiuti, solo la Regione sarebbe in grado di assicurare.

Quanto ai principî di razionalità ed efficienza dell’attività amministrativa, la ricorrente osserva che la Regione dispone di maggiori risorse e quindi possiede gli strumenti necessari per svolgere al meglio le attività di osservatorio.

In riferimento poi al principio di economicità dell’azione amministrativa, si rammenta quanto già evidenziato nella premessa del ricorso e cioè lo svolgimento da più di tre anni dell’attività di osservatorio regionale sui rifiuti, con notevoli oneri in termini finanziari e di risorse umane. Sicché, ove si imponesse alle Province di istituire strutture analoghe, si avrebbe "un’inutile ed ingiustificata duplicazione di organismi e di spesa pubblica".

Del resto, si argomenta nel ricorso, che la Regione sia l’ente più idoneo a garantire la razionalità, l’efficienza e l’economicità dell’attività di raccolta e di elaborazione dati sui rifiuti troverebbe conferma nel fatto che l’art. 11 del d.lgs. n. 22 del 1997 ha imposto l’istituzione proprio di sezioni regionali del Catasto nazionale dei rifiuti. Pertanto, ad avviso della ricorrente, per superare la dedotta incostituzionalità della norma denunciata, la si dovrebbe interpretare nel senso che l’istituzione di osservatori provinciali sui rifiuti sia imposta esclusivamente nelle Regioni che non abbiano già attivato osservatori regionali.

2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero, in ogni caso, respinto.

La difesa erariale osserva, anzitutto, che, prima ancora che la Regione Veneto provvedesse ad emanare un’organica legge in materia di gestione dei rifiuti (legge regionale n. 3 del 2001), lo Stato, con l’art. 26 del citato d.lgs. n. 22 del 1997, si era già dotato di un osservatorio nazionale sui rifiuti e all’assenza di "sedi periferiche per il supporto dell’attività di osservatorio nazionale", e cioè di una "rete" di corrispondenti per la raccolta dei dati sul territorio nazionale, ha posto rimedio il denunciato art. 10, comma 5, della legge n. 93 del 2001, il quale, facendo ricorso "al modulo organizzativo dell’avvalimento", ha chiamato a collaborare gli enti Province. Si tratterebbe, ad avviso dell’Avvocatura, di soluzione organizzativa - nel quadro di una armoniosa cooperazione tra enti territoriali - razionale, economica e di "buon senso", proprio perché sulle Province ricadono i compiti più impegnativi in materia. Del resto, argomenta la parte resistente, l’informazione ambientale ha assunto rilevanza costituzionale nel senso di rappresentare uno strumento indispensabile per la tutela del valore "ambiente", in connessione con i principî costituzionali dell’azione preventiva e di precauzione; tant’è che non si è ritenuta lesiva delle competenze regionali la pretesa dello Stato di ottenere informazioni dalla Regione stessa o da altri enti finalizzate alla protezione del paesaggio.

Nondimeno, rammenta ancora la difesa dello Stato, la giurisprudenza costituzionale (in particolare, la sentenza n. 356 del 1994) ha sottolineato l’importanza del ruolo affidato alle agenzie per la protezione dell’ambiente per rendere agevole ed omogenea la raccolta e l’elaborazione di dati e di informazioni sulla situazione ambientale, in forza dell’esigenza "di omogeneità dei metodi di rilevazione e di elaborazione da adottare", anche per il necessario collegamento tra i sistemi informativi di carattere nazionale e quelli predisposti a livello comunitario.

L’Avvocatura evidenzia quindi come la Regione ricorrente non si dolga dell’incostituzionalità dell’art. 26 del d.lgs. n. 22 del 1997, che ha istituito l’osservatorio nazionale sui rifiuti, né contesti l’esigenza di dotare detto osservatorio di una rete di "terminali locali", esprimendo, invero, la preferenza per una differente soluzione organizzativa e cioè per l’avvalimento di strutture regionali anziché provinciali; preferenza originata proprio dal fatto che nel Veneto è già stato istituito un osservatorio regionale sui rifiuti. Tutto ciò indurrebbe a ritenere, secondo la difesa erariale, che i primi due motivi del ricorso, che offrono sostegno a detta "preferenza", siano "esorbitanti e poco pertinenti". Da un lato infatti, il legislatore statale non avrebbe posto una norma di "dettaglio", cui la Regione è tenuta ad attenersi, bensì avrebbe inteso fornire una soluzione organizzativa "ad una esperienza propria (ossia dello Stato)", come quella di supportare localmente l’attività dell’osservatorio nazionale dei rifiuti; dall’altro, essa denoterebbe una certa ostilità verso qualsiasi rapporto "diretto" tra Stato (in senso stretto) ed enti locali, contrastando implicitamente i principî di cooperazione e di sussidiarietà di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 59 del 1997 e la norma di principio enunciata dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Non vi sarebbe peraltro, secondo l’Avvocatura, alcuna norma costituzionale che inibisca "allo Stato di colloquiare ed interagire direttamente con gli enti locali" e ciò sarebbe particolarmente evidente nel settore della tutela dell’ambiente, che più di altri è ispirato alla sussidiarietà, integrazione e cooperazione fra diversi livelli di governo e nel quale sono stati superati "modelli rigidi improntati alla garanzia e alla separazione delle reciproche sfere di competenza".

In riferimento poi alla doglianza che prospetta la violazione dell’art. 97 Cost., la difesa erariale ne sostiene anzitutto l’inammissibilità - non superabile neppure facendo ricorso alla generica evocazione del canone di razionalità - giacché con essa sarebbero state dedotte soltanto considerazioni di opportunità. In ogni caso la doglianza stessa sarebbe, per le medesime argomentazioni svolte, manifestamente infondata.

Considerato in diritto

1. Viene all’esame della Corte la questione di costituzionalità dell’articolo 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), denunciato dalla Regione Veneto nella parte in cui "impone alle Province di istituire degli osservatori provinciali sui rifiuti, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica".

  Nel premettere che con legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti) è stato istituito l’osservatorio regionale sui rifiuti, la ricorrente sostiene che la disposizione censurata contrasterebbe anzitutto con gli articoli 117, primo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, violando il principio fondamentale secondo cui allo Stato, nelle materie oggetto di potestà legislativa regionale concorrente, spetta unicamente stabilire i principî fondamentali e non già il potere di formulare norme di dettaglio, quali sarebbero invece quelle contenute nella disposizione denunciata.

Sussisterebbe inoltre la violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., giacché lo Stato non potrebbe attribuire direttamente alle Province funzioni amministrative quando, come nel caso di specie, tali funzioni non siano di interesse esclusivamente locale.

Sarebbe infine leso anche l’art. 97, primo comma, Cost., perché "l’esercizio delle funzioni e degli uffici di osservatorio sui rifiuti da parte delle Province è meno razionale, efficiente ed economico di quanto realizzerebbe la Regione".

  2. Poiché il ricorso è stato proposto anteriormente all’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), gli evocati artt. 117 e 118 Cost., secondo quanto già affermato da questa Corte in più occasioni (tra le altre, si vedano le sentenze n. 422 e n. 376 del 2002), devono essere applicati nella loro originaria formulazione.

Ciò chiarito, la questione è in parte infondata e in parte inammissibile.

3. Per meglio comprendere la portata delle censure della ricorrente occorre richiamare, sia pure per sommi capi, il quadro normativo entro il quale esse si collocano.

3.1. In tema di tutela dell’ambiente l’art. 69 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, attuativo della delega di cui all’art. 1, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha riservato allo Stato "i compiti di rilievo nazionale", enumerati espressamente dal comma 1 alle lettere da a) a p), e "le attività di vigilanza, sorveglianza, monitoraggio e controllo" ad essi finalizzate (comma 3).

Alle Regioni ed agli enti locali sono state quindi conferite, secondo quanto disposto dal successivo art. 70, tutte le restanti funzioni amministrative.

Il medesimo d.lgs. n. 112 del 1998, nel disciplinare la gestione dei rifiuti (sezione V), ha posto, nell’art. 85, quale criterio di attribuzione delle funzioni e dei compiti la riserva allo Stato di quelli già indicati nel d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il cui art. 18 enumerava, tra le altre, le funzioni di indirizzo e coordinamento, di pianificazione generale e coordinamento (e cioè di determinazione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali), nonché di organizzazione e di predisposizione di norme tecniche.

Identificati i compiti di rilievo nazionale riservati esclusivamente allo Stato, lo stesso d.lgs. n. 22 del 1997 ha attribuito alle Regioni, all’art. 19, le funzioni inerenti alla programmazione mediante la predisposizione dei piani regionali, l’elaborazione e l’approvazione dei piani di bonifica, la definizione dei criteri per la localizzazione degli impianti di smaltimento, mentre ha demandato alle Province, all’art. 20, le funzioni relative all’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero, le funzioni di controllo sulla complessiva attività di gestione, di intermediazione e commercio dei rifiuti. Le stesse Province sono state altresì qualificate, nell’art. 23, come "ambiti territoriali ottimali" (ATO) per la gestione dei rifiuti urbani.

3.2. Il delineato quadro normativo e l’articolato riparto di attribuzioni che ne risulta forniscono conferma del fatto che nel valore costituzionale dell’ambiente sono raccolti ed intrecciati tra loro interessi molteplici che mettono capo a competenze differenziate, distribuite tra enti locali, Regioni e Stato, al quale spettano soltanto funzioni che richiedono una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.

Proprio in vista di tali esigenze unitarie l’art. 26 dell’anzidetto d.lgs. n. 22 del 1997 ha istituito l’osservatorio nazionale, organismo rivolto a garantire l’attuazione della normativa sui rifiuti, "con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all’efficacia, all’efficienza ed all’economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente".

L’art. 26 attribuisce specificamente all’osservatorio nazionale la vigilanza sulla gestione dei rifiuti, l’elaborazione di proposte di intervento nella materia, la raccolta di dati statistici: compiti, questi, che sono indubbiamente espressione, nel settore della tutela dall’inquinamento da rifiuti, delle funzioni di vigilanza, sorveglianza, monitoraggio e controllo, che il ricordato art. 69, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998 riserva, in via generale, allo Stato.

3.3. Nel sistema normativo del quale si sono riassunte le linee portanti, come era a suo tempo non controvertibile che il legislatore statale fosse competente a realizzare un osservatorio nazionale investito di funzioni di vigilanza e che fra i propri compiti annoverasse anche quello di definire e tenere permanentemente aggiornato "un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti" [art. 26, lettere a) e b), del d.lgs. n. 22 del 1997], così ora deve essere ritenuto altrettanto sicuro il fatto che appartiene allo Stato, come espressione della sua potestà organizzativa, la scelta del modello sulla base del quale ordinare l’attività dell’osservatorio nazionale. E la individuazione di un modello a rete, quale quello previsto dalla disposizione censurata, rientra appieno tra le possibili opzioni riservate allo Stato, né il coinvolgimento degli enti locali nelle funzioni di monitoraggio, controllo e programmazione che gli sono proprie, viola alcun precetto costituzionale. L’apporto di questi ultimi, e delle Province in particolare, per l’acquisizione e l’elaborazione dei necessari dati di conoscenza utilizzabili a livello nazionale, si fonda infatti sul principio di leale cooperazione, mentre la individuazione della Provincia, anziché della Regione, quale ente gravato di tale onere collaborativo si giustifica alla luce del riparto di attribuzioni sopra delineato.

E’ certo vero che proprio in tema di gestione dei rifiuti, nella disciplina introdotta dal d.lgs. n. 22 del 1997, le Regioni hanno assunto un ruolo cruciale. Basti pensare alle importanti funzioni di programmazione loro conferite: in sede di predisposizione dei piani regionali, nel promuovere la riduzione della quantità dei volumi e della pericolosità dei rifiuti, esse stabiliscono la tipologia degli impianti di smaltimento e di recupero, determinano le condizioni e i criteri tecnici per la loro localizzazione nelle aree destinate ad insediamenti produttivi. Tuttavia gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani restano le Province; ed è ad esse, come ricordato, che spettano le funzioni amministrative relative all'individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero e quelle di controllo sulla complessiva attività di gestione, di intermediazione e commercio dei rifiuti.

Non meraviglia, allora, che la Provincia sia stata scelta quale primo segmento della rete dell’osservatorio nazionale per l’assunzione, la raccolta e la trasmissione di dati di conoscenza. Tale opzione è infatti del tutto coerente con indirizzi già presenti nella disciplina legislativa e ne costituisce il naturale sviluppo senza alterare in alcun modo l’assetto costituzionale delle autonomie. Le Regioni continuano a essere titolari dei poteri di programmazione e, ove previsti, di gestione nel loro ambito; le Province conservano integre le proprie competenze. La sola "innovazione" introdotta dalla legge consiste nel fatto che quel patrimonio di conoscenze che le Province stesse possiedono o acquisiscono nel quotidiano esercizio delle funzioni loro proprie, quali ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani, viene impiegato anche per soddisfare le esigenze cui è preordinata l’istituzione dell’osservatorio nazionale. Si trae conferma di ciò se si considera che la disposizione denunciata richiede che l’attività di supporto alle funzioni di monitoraggio, di programmazione e di controllo spettanti all’osservatorio nazionale venga svolta dalle Province "senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica". Tale espressione non va intesa, come suppone la ricorrente, nel senso che le Province siano gravate di nuove incombenze senza la conseguente provvista dei mezzi per farvi fronte, ma sta a significare che ad esse non sono imposti oneri finanziari addizionali rispetto a quelli cui sono gia tenute in forza della legislazione vigente. In un quadro di cooperazione con lo Stato, la disposizione impugnata esige che i dati acquisiti dalle Province nell’esercizio delle loro funzioni, con i mezzi e col personale di cui sono già dotate, siano posti a disposizione dello Stato ai fini del monitoraggio, della vigilanza e della programmazione sul piano nazionale.

  L’art. 10, comma 5, lungi dall’incidere sulle competenze riservate alla Regione dall’art. 19 del d.lgs. n. 22 del 1997, non esclude che per il miglior esercizio delle stesse possa essere istituito un osservatorio su base regionale, come appunto ha ritenuto di fare la Regione Veneto con la legge regionale n. 3 del 2000. Sarebbe d’altronde pienamente compatibile con l’istituzione di osservatori provinciali una disciplina regionale che prevedesse forme di raccordo con i compiti ad essi devoluti, secondo uno schema al quale la ricorrente ha già mostrato di ispirarsi, giacché la menzionata legge regionale, all’art. 5, valorizza l’attività di collaborazione con gli enti locali per l’organizzazione e l’elaborazione della "banca dati regionale".

In conclusione, non è pertinente il richiamo che la ricorrente fa all’art. 117 Cost. per sostenere che non compete allo Stato porre una disciplina di dettaglio quale sarebbe quella del denunciato art. 10, comma 5, della legge n. 93 del 2001. Ferma l’esclusiva riserva allo Stato dell’istituzione dell’osservatorio nazionale, nella presente fattispecie non viene posta alcuna disciplina di dettaglio ma, sulla premessa del naturale esercizio da parte delle Province delle competenze ad esse attribuite dalla legge e dell’osservanza del principio di leale collaborazione, si fa gravare sulle Province medesime il solo onere di consentire anche a livello nazionale l’utilizzazione dei dati di conoscenza raccolti in ambito locale. Del resto, se l’istituzione di organismi tecnici deputati a svolgere attività di raccolta ed elaborazione dati non comporta, di per sé, la lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 412 e n. 356 del 1994), a maggior ragione non viola quelle attribuzioni una disposizione che si limiti a porre a carico delle Province la trasmissione di dati già rilevati nell’esercizio dei compiti ad esse devoluti dalla ricordata legislazione in materia. Di qui pure l’inconferenza del richiamo all’art. 118, primo comma, Cost., evocato dalla ricorrente a sostegno del secondo motivo di censura.

4. Inammissibile è infine il motivo di censura con cui si denuncia la violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., atteso che esso, per come prospettato, riguarda la valutazione della scelta legislativa in termini di efficienza ed economicità, rendendo così palese l’estraneità della doglianza all’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale promovibile dalla Regione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), sollevata, in riferimento agli articoli 117, primo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93, sollevata, in riferimento all’articolo 97, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto con il medesimo ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2003.