ORDINANZA N.64
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione) promosso con ordinanza del 28 maggio 2001 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di B.P. ed altri, iscritta al n. 891 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), "nella parte in cui, nella fase del giudizio, non consente l’utilizzabilità ai fini delle contestazioni ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare che, alla data di entrata in vigore della legge n. 63 del 2000, non siano già state acquisite al fascicolo per il dibattimento";
che il giudice a quo premette che, nel corso del dibattimento, il pubblico ministero aveva chiesto di poter esaminare, nella qualità di testimoni, alla luce della normativa introdotta dalla legge n. 63 del 2001, tutti gli imputati di reato connesso ai sensi dell’art. 12, lett. a), del codice di rito, i quali avevano reso dichiarazioni a carico di altri coimputati ma avevano definito la propria posizione con sentenza irrevocabile;
che, accolta la richiesta e disposto l’esame nelle forme di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., nel corso della audizione di una di tali persone – nei confronti della quale era stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta, divenuta irrevocabile – il pubblico ministero aveva chiesto di poter utilizzare, ai fini delle contestazioni, le dichiarazioni rese da detta persona nel corso delle indagini; peraltro i difensori degli imputati si erano opposti, deducendo l’inutilizzabilità di quelle dichiarazioni, secondo quanto disposto dal novellato art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen., perché non precedute, all’epoca, dall’avvertimento previsto dal comma 3, lett. c), della medesima norma: disciplina, quest’ultima, che risulterebbe di immediata applicazione nel procedimento in corso, proprio in forza della disposizione transitoria dettata dall’art. 26 della legge n. 63 del 2001;
che, a parere del giudice a quo, i rilievi della difesa sono corretti, in quanto effettivamente l’art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen. – nel sancire la inutilizzabilità delle dichiarazioni contra alios non precedute dall’avvertimento di cui al comma 3, lett. c) del medesimo articolo – introduce "un principio di carattere generale, che non risulta derogato da alcuna delle norme successive"; principio che, pertanto, preclude la possibilità di utilizzare "a qualsiasi fine" - e quindi anche per le contestazioni di cui all’art. 500 cod. proc. pen. - le dichiarazioni precedentemente rese, quale indagato, da persona che abbia poi assunto l’ufficio di testimone a norma dell’art. 197-bis, del codice di rito (per esser stata la sua posizione definita con sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta);
che tale epilogo, peraltro, deriverebbe proprio dalla richiamata disciplina transitoria, nella parte in cui la stessa non ha previsto "alcuna possibilità di recupero e parziale utilizzazione (neppure ai limitati fini delle contestazioni) delle dichiarazioni rese dagli imputati di reato connesso o collegato che, alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 63 del 2001, non siano state acquisite al fascicolo del dibattimento";
che, alla stregua di queste considerazioni, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto atti formati con le medesime modalità e nella vigenza del medesimo regime normativo, sarebbero suscettibili di utilizzazione differenziata, a seconda che sia avvenuta o meno la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, e, dunque, in forza di un "criterio temporale che non presenta alcuna ragionevole giustificazione in relazione alla ratio della norma, improntata all’esigenza di non dispersione del materiale probatorio";
che risulterebbe violato altresì l’art. 24 della medesima Carta, in quanto il diritto di difesa "trova esplicazione anche mediante la verifica di attendibilità del teste per mezzo delle contestazioni";
che, infine, sarebbe del pari ravvisabile una violazione dell’art. 111 della Costituzione, in quanto le dichiarazioni precedentemente rese dal teste verrebbero ad essere sottratte al contraddittorio, limitando la possibilità di valutarne l’attendibilità;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che – pur essendo in astratto ipotizzabili altre opzioni ermeneutiche – la ricostruzione del quadro normativo operata dal giudice a quo, stante anche l’assenza di diritto vivente, non può ritenersi in sé implausibile, così da consentire l’esame nel merito della questione proposta;
che, peraltro, le censure proposte sono manifestamente prive di fondamento, perché il giudice rimettente, isolando un solo profilo della complessa normativa che la questione coinvolge, finisce per trascurare le articolate interferenze di sistema e le peculiarità che, a fronte di esso, caratterizzano il regime transitorio;
che, a quest’ultimo proposito, infatti, questa Corte ha rilevato come la stessa legge costituzionale n. 2 del 1999, nel modificare l’art. 111 della Carta fondamentale, avesse nell’art. 2 espressamente demandato alla legge il compito di regolare l’applicazione dei principî, contenuti nella novella costituzionale, ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore: così da "congegnare un sistema di "passaggio" che, per un verso, non si limitasse a sancire la conservazione, sia pure medio tempore, del pregresso sistema, nella parte in cui questo fosse incompatibile con i nuovi principi e le nuove regole; e che, per un altro verso, sul piano logicamente reciproco, non vanificasse totalmente l’attività probatoria già espletata, rendendo meccanicisticamente operante un diverso modello processuale, con effetti di dispersione delle risultanze processuali, pur ritualmente acquisite secondo la legge del tempo" (v. sentenza n. 381 del 2001);
che ciò deve affermarsi anche in riferimento alla disciplina transitoria dettata dall’art. 26 della legge n. 63 del 2001, attuativa proprio della richiamata riforma costituzionale: con il conseguente venir meno della stessa giustificazione logica su cui si fondano i rilievi posti a fondamento del quesito di costituzionalità;
che, infatti, il rimettente, nel prospettare la asserita "incoerenza" del regime transitorio, omette di considerare la complessiva eterogeneità dei moduli processuali che, attraverso la sollecitata pronuncia additiva, mirerebbe a "combinare" fra loro, giacché, mentre è chiamato ad applicare il "nuovo" sistema – che consente l’audizione come "teste assistito" del coimputato "patteggiante", prima incompatibile con l’ufficio di testimone – intenderebbe continuare comunque ad avvalersi degli atti assunti sotto la vigenza del "vecchio" modello, sia pure ai fini delle contestazioni: atti, in particolare, consistenti nella specie in dichiarazioni erga alios, non soltanto prive del preliminare e pregiudiziale avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen., ma, anche e soprattutto, rese nella qualità di indagato e, dunque, in posizione non certo corrispondente a quella – di testimone assistito – ricoperta da chi dovrebbe "ricevere" la contestazione; un regime, quest’ultimo, che soltanto il legislatore sarebbe abilitato ad introdurre;
che, d’altra parte, questa Corte ha già ritenuto del tutto ragionevole la scelta del legislatore di individuare, nella intervenuta acquisizione delle dichiarazioni al fascicolo per il dibattimento, il "fatto processuale" che contrassegna il passaggio da un regime all’altro (v. la richiamata sentenza n. 381 del 2001); sicché le censure formulate a tal proposito dal giudice rimettente, non evidenziando profili nuovi o diversi da quelli allora esaminati, non possono che indurre alle medesime conclusioni di infondatezza;
che, di conseguenza, una volta superati i dubbi di ragionevolezza in merito alla disposizione transitoria oggetto di impugnativa, vengono meno anche i rilievi che l’ordinanza svolge in punto di lesione del diritto di difesa e di asserita violazione del principio del contraddittorio, giacché, giustificandosi la scelta normativa con l’esigenza di calibrare il passaggio tra due modelli processuali non poco difformi, i vizi denunciati si traducono soltanto in censure di opportunità di quella scelta, evidentemente estranee ai limiti del sindacato riservato a questa Corte;
che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2003.