SENTENZA N. 49
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 7 della deliberazione legislativa statutaria della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, approvata il 25 luglio 2002, recante "Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta), già modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1° settembre 1997, n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)" promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 2 settembre 2002, depositato in cancelleria il 12 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2002.
Visto l’atto di costituzione della Regione Valle d’Aosta e gli atti di intervento della Consulta Regionale Femminile delle Regioni Valle d’Aosta e Campania;
udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2003 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d’Aosta, e l’avvocato Marinella De Nigris per la Consulta Regionale Femminile delle Regioni Valle d’Aosta e Campania.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato il 2 settembre 2002 e depositato il successivo 12 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, e (occorrendo, ove la norma non sia ritenuta di carattere meramente propositivo e non cogente) dell’art. 2, comma 2 (rectius: art. 2, comma 1, nella parte in cui introduce l’art. 3-bis, comma 2, nella legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3), della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, adottata ai sensi dell’art. 15, secondo comma, dello statuto speciale, pubblicata nel Bollettino Ufficiale 2 agosto 2002, recante "Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993 n. 3 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta), già modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1° settembre 1997, n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)".
L’Avvocatura dello Stato espone che il testo di legge approvato dal Consiglio regionale nella seduta del 25 luglio 2002, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, contiene, nel capo I, varie disposizioni di modificazione della normativa per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta dettata dalla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3. In particolare, l’art. 2 inserisce, dopo l’art. 3 della suddetta legge, un art. 3-bis, sotto la rubrica "condizioni di parità fra i sessi", a termini del quale ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi.
L’art. 7, contenente modificazioni dell'art. 9 della medesima legge, al comma 1 prevede che vengano dichiarate non valide dall’ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite, fra cui quella "che nelle stesse siano presenti candidati di entrambi i sessi".
L’Avvocatura ricorda ancora che l’art. 15, secondo comma, dello statuto regionale stabilisce, fra l’altro – con enunciazione ritenuta, dalla stessa difesa erariale, di natura programmatica –, che la legge regionale che determina la forma di governo della Regione e le modalità di elezione del Consiglio della Valle, "al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei sessi ... promuove condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali".
Il disposto dell'art. 7, comma 1, della legge impugnata, nella parte in cui prevede detta invalidità, e l'art. 2, comma 1, nella parte in cui, introducendo l’art. 3-bis, comma 2, nel testo della legge regionale n. 3 del 1993, dispone che ogni lista deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi ("ove questa norma non fosse ritenuta meramente propositiva e priva di valore cogente"), sarebbero in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, limitando di fatto il diritto di elettorato passivo.
Si riproporrebbe, secondo l’Avvocatura, la stessa situazione di cui all'art. 5, comma 2, ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993, n. 81, sulla elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale, che prevedeva che "nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore a due terzi": di tale disposizione la Corte costituzionale, con la sentenza n. 422 del 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 5l della Costituzione, unitamente, per conseguenza, ad altre norme statali e regionali similari, fra le quali anche l'art. 32, commi 3 e 4, della legge regionale della Valle d’Aosta 9 febbraio 1995, n. 4, relativa alla elezione diretta del sindaco, del vice sindaco e del consiglio comunale.
La difesa statale conclude quindi il suo ricorso riproducendo testualmente le considerazioni già svolte dalla Corte in quella sentenza, ritenendole perfettamente pertinenti al caso di specie, in quanto nessuna differenza sostanziale potrebbe farsi fra la previsione di una quota di riserva (pari ad una percentuale delle presenze) e la previsione di una presenza minima quale che sia, anche di un solo candidato, di uno dei due sessi.
2. Si è costituita in giudizio la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, chiedendo il rigetto del ricorso governativo.
Secondo la difesa regionale, con le più recenti norme costituzionali si è passati dal semplice riconoscimento alle donne dei diritti elettorali attivi e passivi all’affermazione del diritto delle donne ad avere comunque la possibilità di vedere rappresentato il proprio sesso nelle competizioni elettorali. Infatti, ai sensi del vigente testo dell’art. 117 della Costituzione, così come riformato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le leggi regionali non si devono limitare a riconoscere una eguale possibilità ai due sessi di accedere alle cariche elettive, ma debbono promuovere la parità di accesso, introducendo in conseguenza meccanismi che valgano a controbilanciare lo svantaggio che tuttora caratterizza la posizione delle donne nell’accesso a tali cariche.
La difesa regionale ricorda che è in stadio avanzato l’iter di approvazione di un disegno di legge di modifica dell’art. 51 della Costituzione, il quale prevede che venga aggiunto al medesimo, con previsione di portata generale, il seguente periodo: "a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini".
La legge regionale impugnata, inoltre – prosegue la difesa regionale – è stata adottata ai sensi dell’art. 15 dello statuto speciale, il cui secondo comma, introdotto dall’art. 2 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, espressamente prevede fra l’altro che, "al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi", la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, che determina la forma di governo della Regione, "promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali". Sarebbe dunque la stessa norma di rango costituzionale a prevedere che il legislatore regionale debba adottare una disciplina volta a garantire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi nella competizione elettorale, e si tratterebbe, peraltro, di norma del tutto coerente con la previsione del nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione.
Le disposizioni impugnate, dunque, non sarebbero in contrasto con i principi costituzionali, ma al contrario darebbero attuazione alle precise indicazioni di norme costituzionali di recente intervenute.
3. Hanno depositato due memorie di intervento di identico contenuto la Consulta regionale femminile della Valle d’Aosta e la Consulta regionale femminile della Campania, chiedendo il rigetto del ricorso governativo.
4. In prossimità dell’udienza, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha depositato una memoria illustrativa.
Con gli artt. 2 e 7 della legge regionale statutaria oggetto del ricorso la Regione si sarebbe in realtà limitata a dettare le disposizioni necessarie a garantire l’equilibrio della rappresentanza tra i sessi e le condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali, in conformità di quanto espressamente previsto dall’art. 15 dello Statuto di autonomia speciale della Valle e dal nuovo art. 117 della Costituzione.
Si tratterebbe di previsioni conformi ai vincoli che derivano da una serie di strumenti di diritto internazionale, cui l’Italia ha aderito, e che ribadiscono l’esigenza di una tutela anche attiva della posizione della donna, in particolare per quanto concerne la rappresentanza elettorale (in questo senso, nella memoria si menziona la convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, aperta alla firma a New York il 18 dicembre 1979, e ratificata dall’Italia il 10 giugno 1985, ai sensi della legge n. 132 del 14 marzo 1985); e di previsioni coerenti alle nuove prospettive emergenti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000, il cui art. 23, secondo comma, proclama che "il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato".
Da ciò si ricaverebbe che il quadro di riferimento costituzionale, rispetto al quale vanno collocate le norme regionali oggi all’esame della Corte, non coincide con quello vigente al momento della sentenza di illegittimità costituzionale n. 422 del 1995, invocata nel ricorso del Governo.
Una vicenda simile di successione nel tempo di parametri costituzionali nella medesima materia, si osserva nella memoria, ha indotto in Francia il Conseil constitutionnel a decidere in maniera opposta questioni di legittimità apparentemente analoghe, a seguito dell’introduzione, nell’art. 3 della vigente Carta costituzionale francese, del principio secondo il quale "La loi favorise l’égal accès des femmes et des hommes aux mandats électoraux et fonctions électives" (ultimo comma, risultante dalla legge costituzionale dell’8 luglio 1999). Sulla base di questa norma, il Conseil constitutionnel ha radicalmente mutato indirizzo rispetto alle sue precedenti decisioni, che escludevano la legittimità dell’imposizione di quote legate al sesso nelle liste elettorali, affermando, ora, la legittimità di disposizioni legislative di tutela della presenza nelle liste di candidature femminili.
E’ noto, del resto, che, allo stato, il numero degli eletti di sesso femminile nelle consultazioni elettorali in Italia non è affatto in proporzione al numero degli elettori di sesso femminile: di qui, conclude la Regione, la necessità di eliminare, anche con misure legislative, gli ostacoli ad un effettivo esercizio del diritto di elettorato passivo delle donne in Italia, superando pregiudizi e pratiche consuetudinarie o di altro genere, che di fatto integrano indiscutibili ostacoli, mediante l’introduzione di vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.
Considerato in diritto
1.– Il Governo, con ricorso proposto ai sensi dell’articolo 15, terzo comma, dello statuto speciale per la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, come modificato dall’art. 2 della legge costituzionale n. 2 del 2001, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 2, e 7, comma 1, della legge regionale della Valle d’Aosta recante "Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta), già modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1° settembre 1997, n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)", approvata dal Consiglio regionale a maggioranza di due terzi dei componenti il 25 luglio 2002, e pubblicata per notizia nel Bollettino Ufficiale della Regione del 2 agosto 2002. Successivamente alla proposizione del ricorso la legge regionale impugnata – una volta decorso il termine per la richiesta di referendum – è stata promulgata e pubblicata come legge regionale 13 novembre 2002, n. 21.
Le disposizioni impugnate, rispettivamente, inseriscono l’art. 3-bis e sostituiscono l’art. 9, comma 1, lettera a, nella legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta).
Precisamente, il nuovo art. 3-bis della legge sull’elezione del Consiglio, inserito dall’art. 2 della legge impugnata, stabilisce, al comma 2, che le liste elettorali devono comprendere "candidati di entrambi i sessi"; a sua volta il nuovo art. 9, comma 1, lettera a della legge elettorale, sostituito dall’art. 7, comma 1, della legge impugnata, prevede che vengano dichiarate non valide dall’ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite, fra cui quella "che nelle stesse siano presenti candidati di entrambi i sessi".
Tali disposizioni sono censurate dal ricorrente per contrasto con gli articoli 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione.
Sostiene il Governo che le predette disposizioni – l’art. 7 in quanto espressamente condiziona la validità delle liste alla presenza di candidati di entrambi i sessi, l’art. 2 in quanto venga interpretato non come semplice indicazione programmatica, ma come disposizione vincolante in sede di controllo della validità delle liste presentate – limitano di fatto il diritto di elettorato passivo. Richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 422 del 1995 (che dichiarò l’illegittimità costituzionale di diverse disposizioni di legge prevedenti l’obbligo di riservare a candidati di ciascuno dei due sessi quote minime di posti nelle liste per le elezioni delle Camere e dei Consigli regionali e comunali), il Governo osserva che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità, né quindi come requisito di "candidabilità", poiché questa sarebbe presupposto della eleggibilità; e che pertanto contrasterebbe con il principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, sancito dall’art. 3, primo comma, e dall’art. 51, primo comma, della Costituzione, una norma di legge che imponga nella presentazione delle candidature "qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati". Ad avviso del ricorrente, anche la semplice previsione – come contenuta nella legge impugnata – della necessaria presenza in ogni lista di candidati dei due sessi non si differenzierebbe sostanzialmente, da questo punto di vista, dalla previsione di una "quota" di riserva di candidature all’uno e all’altro sesso.
Il ricorrente richiama bensì la norma, contenuta nell’articolo 15, secondo comma, secondo periodo, dello statuto della Valle d’Aosta (come modificato dall’art. 2 della legge costituzionale n. 2 del 2001), secondo cui, "al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi", la legge che stabilisce le modalità di elezione del Consiglio regionale "promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali": ma ritiene che si tratti di una "enunciazione programmatica", onde la norma di legge regionale, secondo cui ogni lista di candidati all’elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi, potrebbe ritenersi legittima e conforme allo spirito della disposizione statutaria solo se intesa come "norma meramente propositiva, quasi un auspicio"; mentre sarebbe irrimediabilmente illegittima la norma che condiziona a tale presenza la validità delle liste.
2.– Deve essere, anzitutto, dichiarato inammissibile l’intervento spiegato in giudizio dalle Consulte femminili della Campania e della Valle d’Aosta: nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale non è prevista la possibilità di intervento di soggetti diversi dal titolare delle competenze legislative in contestazione o con queste comunque connesse (cfr. sentenze n. 353 del 2001 e n. 533 del 2002).
3.– La questione è infondata.
3.1.– In primo luogo, deve osservarsi che le disposizioni contestate non pongono l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito ulteriore di eleggibilità, e nemmeno di "candidabilità" dei singoli cittadini. L’obbligo imposto dalla legge, e la conseguente sanzione di invalidità, concernono solo le liste e i soggetti che le presentano.
In secondo luogo, la misura prevista dalla legge impugnata non può qualificarsi come una di quelle "misure legislative, volutamente diseguali", che "possono certamente essere adottate per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale, per compensare e rimuovere le disuguaglianze materiali tra gli individui (quale presupposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali)", ma che questa Corte ha ritenuto non possano "incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali", tra cui, in particolare, il diritto di elettorato passivo (sentenza n. 422 del 1995).
Non è qui prevista, infatti, alcuna misura di "disuguaglianza" allo scopo di favorire individui appartenenti a gruppi svantaggiati, o di "compensare" tali svantaggi attraverso vantaggi legislativamente attribuiti.
Non vi è, insomma, nessuna incidenza diretta sul contenuto dei diritti fondamentali dei cittadini, dell’uno o dell’altro sesso, tutti egualmente eleggibili sulla base dei soli ed eguali requisiti prescritti.
Nemmeno potrebbe parlarsi di una incidenza su un ipotetico diritto di aspiranti candidati ad essere inclusi in lista, posto che la formazione delle liste rimane interamente rimessa alle libere scelte dei presentatori e degli stessi candidati in sede di necessaria accettazione della candidatura (cfr. sentenza n. 203 del 1975). Non si realizza, in tale sede, alcun metodo "concorsuale" in relazione al quale un soggetto non incluso nelle liste possa vantare una posizione giuridica di priorità ingiustamente sacrificata a favore di un altro soggetto in essa incluso.
In altri termini, le disposizioni in esame stabiliscono un vincolo non già all’esercizio del voto o all’esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso.
Tale vincolo negativo opera soltanto nella fase anteriore alla vera e propria competizione elettorale, e non incide su di essa. La scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l’elezione di questi, non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei candidati: tanto meno in quanto, nel caso di specie, l’elettore può esprimere voti di preferenza, e l’ordine di elezione dei candidati di una stessa lista è determinato dal numero di voti di preferenza da ciascuno ottenuti (cfr. articoli 34 e 51 della legge regionale n. 3 del 1993). A sua volta, la parità di chances fra le liste e fra i candidati della stessa lista non subisce alcuna menomazione.
3.2.– Non può, d’altronde, dirsi che la disciplina così imposta non rispetti la parità dei sessi, cioè introduca differenziazioni in relazione al sesso dei candidati o degli aspiranti alla candidatura: sia perché la legge fa riferimento indifferentemente a candidati "di entrambi i sessi", sia perché da essa non discende alcun trattamento diverso di un candidato rispetto all’altro in ragione del sesso.
3.3.– Neppure, infine, è intaccato il carattere unitario della rappresentanza elettiva che si esprime nel Consiglio regionale, non costituendosi alcuna relazione giuridicamente rilevante fra gli elettori, dell’uno e dell’altro sesso e gli eletti dello stesso sesso.
4.– Il vincolo che la normativa impugnata introduce alla libertà dei partiti e dei gruppi che presentano le liste deve essere valutato oggi anche alla luce di un quadro costituzionale di riferimento che si è evoluto rispetto a quello in vigore all’epoca della pronuncia di questa Corte invocata dal ricorrente a sostegno dell’odierna questione di legittimità costituzionale.
La legge costituzionale n. 2 del 2001, integrando gli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito alle leggi elettorali delle Regioni il compito di promuovere "condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali", e ciò proprio "al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi" (art. 15, secondo comma, secondo periodo, statuto Valle d’Aosta; e nello stesso senso, anche testualmente, art. 3, primo comma, secondo periodo, statuto speciale per la Sicilia, modificato dall’art. 1 della legge costituzionale n. 2 del 2001; art. 15, secondo comma, secondo periodo, statuto speciale per la Sardegna, modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 2 del 2001; art. 47, secondo comma, secondo periodo, statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, modificato dall’art. 4 della legge costituzionale n. 2 del 2001; art. 12, secondo comma, secondo periodo, statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, modificato dall’art. 5 della legge costituzionale n. 2 del 2001).
Le nuove disposizioni costituzionali (cui si aggiunge l’analoga, anche se non identica, previsione del nuovo art. 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001) pongono dunque esplicitamente l’obiettivo del riequilibrio e stabiliscono come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendoli specificamente alla legislazione elettorale.
Questa Corte ha riconosciuto che la finalità di conseguire una "parità effettiva" (sentenza n. 422 del 1995) fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale. Si tratta, invero, di una finalità – che trova larghi riconoscimenti e realizzazioni in molti ordinamenti democratici, e anche negli indirizzi espressi dagli organi dell’Unione europea – collegata alla constatazione, storicamente incontrovertibile, di uno squilibrio di fatto tuttora esistente nella presenza dei due sessi nelle assemblee rappresentative, a sfavore delle donne. Squilibrio riconducibile sia al permanere degli effetti storici del periodo nel quale alle donne erano negati o limitati i diritti politici, sia al permanere, tuttora, di ben noti ostacoli di ordine economico, sociale e di costume suscettibili di impedirne una effettiva partecipazione all’organizzazione politica del Paese.
Un aspetto, se non decisivo, certo assai influente del fenomeno è costituito dai comportamenti di fatto prevalenti nell’ambito dei partiti e dei gruppi politici che operano per organizzare la partecipazione politica dei cittadini, anche e principalmente attraverso la selezione e la indicazione dei candidati per le cariche elettive. Così che, già in passato, la Corte ha espresso una valutazione positiva di misure – tendenti ad assicurare "l’effettiva presenza paritaria delle donne (…) nelle cariche rappresentative" – "liberamente adottate da partiti politici, associazioni o gruppi che partecipano alle elezioni, anche con apposite previsioni dei rispettivi statuti o regolamenti concernenti la presentazione delle candidature" (sentenza n. 422 del 1995), sul modello di iniziative diffuse in altri paesi europei.
Le disposizioni impugnate della legge elettorale della Valle d’Aosta operano su questo terreno, introducendo un vincolo legale rispetto alle scelte di chi forma e presenta le liste. Quello che, insomma, già si auspicava potesse avvenire attraverso scelte statutarie o regolamentari dei partiti (i quali però, finora, in genere non hanno mostrato grande propensione a tradurle spontaneamente in atto con regole di autodisciplina previste ed effettivamente seguite) è qui perseguito come effetto di un vincolo di legge. Un vincolo che si giustifica pienamente alla luce della finalità promozionale oggi espressamente prevista dalla norma statutaria.
4.1.– Deve peraltro osservarsi che, nella specie, il vincolo imposto, per la sua portata oggettiva, non appare nemmeno tale da incidere propriamente, in modo significativo, sulla realizzazione dell’obiettivo di un riequilibrio nella composizione per sesso della rappresentanza. Infatti esso si esaurisce nell’impedire che, nel momento in cui si esplicano le libere scelte di ciascuno dei partiti e dei gruppi in vista della formazione delle liste, si attui una discriminazione sfavorevole ad uno dei due sessi, attraverso la totale esclusione di candidati ad esso appartenenti. Le "condizioni di parità" fra i sessi, che la norma costituzionale richiede di promuovere, sono qui imposte nella misura minima di una non discriminazione, ai fini della candidatura, a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi.
5.– In definitiva – ribadito che il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva – la misura disposta può senz’altro ritenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell’intento di realizzare la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista dell’obiettivo di equilibrio della rappresentanza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, e 7, comma 1, della legge regionale della Valle d’Aosta 13 novembre 2002, n. 21, recante: "Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta), già modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1° settembre 1997, n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)", sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, dal Governo con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2003.