ORDINANZA N. 36
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza del 23 novembre 2001 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Bittolo Maria Rosaria e la curatela del fallimento Nesingrosso s.a.s., iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 23 novembre 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede un limite temporale, decorrente dalla dichiarazione del fallimento sociale, per la dichiarazione del fallimento in estensione del socio occulto o apparente di una società di persone;
che davanti al collegio rimettente pende una causa di opposizione alla sentenza, pronunciata in data 10 giugno 1998, dichiarativa del fallimento in estensione di un socio occulto di una società in nome collettivo, a sua volta dichiarata fallita il 16 dicembre 1995;
che, come rileva il rimettente, dopo la sentenza della Corte n. 319 del 2000 l’unica ipotesi di dichiarazione di fallimento senza alcun limite temporale è rimasta quella del socio illimitatamente responsabile la cui esistenza emerga solo dopo la sentenza dichiarativa del fallimento sociale, essendo al contrario previsto il termine annuale - di cui all’art. 10 della legge fallimentare - per l’imprenditore individuale cessato o defunto, per la società che si è cancellata dal registro delle imprese e per il socio illimitatamente responsabile che abbia lasciato, per qualsiasi motivo, la società in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento;
che, ad avviso del giudice a quo, in tal modo si determinerebbe una violazione del principio di eguaglianza, posto che a situazioni “sostanzialmente simili” verrebbe riservato un trattamento diseguale, mentre “l’esigenza della certezza delle situazioni giuridiche ha valenza oggettiva e prescinde da connotazioni soggettive riferibili ai soci”, che potrebbero, al più, far prevedere un termine diverso e più lungo di quello annuale di cui all’art. 10 del regio decreto cit.;
che, sempre secondo il Tribunale di Firenze, l’opposto argomento fondato su una diversa situazione sostanziale del socio occulto o apparente rispetto al socio palese, porrebbe l’accento su una valutazione di disfavore verso il socio che nasconde la propria qualità ai terzi, senza tener conto del fatto che le medesime situazioni sono considerate non più perseguibili qualora la società si sia cancellata da oltre un anno, rendendo in tal modo non più dichiarabile neppure il fallimento dei suoi soci, apparenti o non apparenti che siano;
che il giudice a quo osserva ancora come un trattamento deteriore per il socio occulto dovrebbe essere espressamente previsto dall’ordinamento, come avviene nel giudizio di meritevolezza per l’ammissione al concordato preventivo, mentre eventuali valutazioni negative sull’operato dei soci amministratori potrebbero avere rilievo al fine di promuovere le azioni di cui all’art. 146 della legge fallimentare, ma non per l’estensione del fallimento ai soci occulti;
che secondo il rimettente, di disfavore potrebbe parlarsi nei riguardi dei soci che hanno lasciato l’impresa nel momento della sua crisi (come avviene per i soci receduti) o che siano stati esclusi, non potendo esser considerato preponderante sul principio della certezza delle situazioni giuridiche quello della tutela dei creditori, non giustificandosi un trattamento tanto differente di situazioni sostanzialmente analoghe, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
Considerato che il Tribunale di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede un limite temporale, decorrente dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento della società di persone, per la dichiarazione di fallimento in estensione del socio occulto o apparente, illimitatamente responsabile;
che ad avviso del rimettente la disposizione impugnata violerebbe l'art. 3, primo comma, della Costituzione, con riferimento al principio di eguaglianza, per la disparità di trattamento che si crea tra il socio occulto o apparente, da un lato, e l’imprenditore individuale, cessato o defunto, i soci di società cancellata dal registro delle imprese, il socio palese, receduto o escluso, dall’altro;
che la Corte, con l’ordinanza n. 321 del 2002, ha esaminato analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 della legge fallimentare, affermando che non possono “in alcun modo essere poste a raffronto, ai fini della applicabilità del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento personale del socio illimitatamente responsabile di una società personale, due situazioni fra loro del tutto diverse quali sono quella del socio receduto da una società regolarmente costituita e registrata, nel rispetto delle forme di pubblicità prescritte dalla legge, e quella del socio occulto di una società irregolare perché non iscritta nel registro delle imprese o addirittura, come nel caso all’esame del tribunale rimettente, a sua volta del tutto occulta”;
che le ragioni di detta decisione vanno integralmente ribadite anche con riguardo alla questione sollevata dal Tribunale di Firenze, dovendosi confermare che il sistema delle norme relative alle società, di cui al libro V del codice civile, prevede che possano essere opposte ai creditori solo le vicende, siano esse societarie o personali, conoscibili attraverso la regolare iscrizione nel registro delle imprese, con la conseguenza che nessuna comparazione, ai fini del giudizio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., può essere fatta tra le situazioni denunciate e indicate dal rimettente come “sostanzialmente simili”;
che quindi anche la presente questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2003.