Ordinanza n. 33/2003

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ORDINANZA N.33

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Riccardo                                      CHIEPPA                                    Presidente

-    Gustavo                                       ZAGREBELSKY                          Giudice

-    Valerio                                        ONIDA                                               "

-    Carlo                                           MEZZANOTTE                                  "

-    Fernanda                                     CONTRI                                              "

-    Guido                                          NEPPI MODONA                              "

- Piero Alberto                                 CAPOTOSTI                                       "

-    Annibale                                      MARINI                                              "

-    Franco                                         BILE                                                    "

-    Giovanni Maria                           FLICK                                                 "

- Francesco                                       AMIRANTE                                       "

- Ugo                                                DE SIERVO                                       "

- Romano                                         VACCARELLA                                 "

- Paolo                                              MADDALENA                                  "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 71, comma 1, e 72, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza dell’8 maggio 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari nel procedimento penale a carico di Z.G. iscritta al n. 331 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ordinanza emessa l’8 maggio 2002, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari ha sollevato, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui – nel caso di incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare in modo cosciente al procedimento – prevede che questo sia sospeso e non invece che sia dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale; nonché, in riferimento al medesimo parametro, questione di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 1, dello stesso codice, nella parte in cui — sempre nel caso di incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare in modo cosciente al procedimento — prevede che il giudice disponga ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dello stesso, «allo scadere della pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima», e poi «a ogni successiva scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso»;

che il giudice  a quo premette, in punto di fatto, che nel corso della udienza preliminare è emerso che l’imputato è affetto da malattia neurologica di gravità tale da comprometterne irreversibilmente la capacità di partecipare coscientemente al processo;

che, nella specie, la questione sarebbe rilevante, perché allo stato — tenuto conto delle risultanze scaturite dalle indagini preliminari — non sussisterebbero i presupposti per pronunciare una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere: eventualità, quest’ultima, che, a norma dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., escluderebbe la necessità di disporre la sospensione del procedimento; mentre, avuto riguardo agli esiti della indagine peritale esperita, deve ritenersi che l’infermità mentale è sopravvenuta al fatto: con la conseguenza di precludere la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità;

che, a proposito della non manifesta infondatezza, il giudice rimettente sottolinea come il concetto stesso di sospensione del procedimento appaia logicamente correlato ad una situazione temporanea, mentre esso deve reputarsi incompatibile con una condizione di stasi non modificabile: pertanto – soggiunge il giudice a quo – una sospensione del processo può ritenersi in linea con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo stesso, soltanto allorché sia determinata da eventi eccezionali specificamente previsti dalla legge e, soprattutto, sia contenuta in termini a loro volta ragionevoli;

che, alla stregua della normativa impugnata — pur delineandosi  la sospensione del procedimento come situazione necessariamente transitoria, attraverso la previsione di una verifica delle condizioni di incapacità dell’imputato, con cadenza semestrale — nella ipotesi di incapacità irreversibile, la transitorietà sarebbe solo apparente, ed anzi il meccanismo delle verifiche semestrali si atteggerebbe come una «finzione giuridica che maschera una sospensione in realtà non revocabile»;

che pertanto — conclude il rimettente — risulterebbe «ben più conforme al dettato costituzionale l’inquadramento della situazione di incapacità permanente e irreversibile di partecipare in modo cosciente al processo tra le cause di improcedibilità dell’azione penale»; d’altronde — soggiunge ancora il giudice  a quo — l’eventuale declaratoria di improcedibilità non precluderebbe, «qualora i progressi della scienza medica fossero tali da consentire all’imputato di tornare capace di partecipare coscientemente al processo... e non fossero decorsi i termini di prescrizione del reato, l’esercizio dell’azione penale, secondo quanto previsto in termini generali dall’art. 345, comma 2, cod. proc. pen.»;

che, comunque — ove fosse ritenuta non fondata tale questione — i dubbi di costituzionalità rimarrebbero immutati, con riguardo allo stesso parametro, in riferimento alla disciplina dettata dall’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui impone al giudice di procedere ogni semestre a nuovi accertamenti sullo stato di mente dell’imputato: e ciò in quanto la norma, ignorando la possibilità di uno stato di incapacità duraturo e non suscettibile di remissione, «impone l’instaurazione di un subprocedimento che, oltre ad essere inutilmente gravoso per l’imputato e per lo Stato, appare di durata lunga e indefinibile e, perciò stesso, irragionevole, non potendosi contare nemmeno sulla decorrenza del termine di prescrizione del reato»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che il giudice rimettente — pur impugnando gli artt. 71, comma 1, e 72, comma 1, del codice di procedura penale per profili fra loro complementari, ed in riferimento al medesimo parametro di costituzionalità — ha in realtà formulato due distinti quesiti di legittimità costituzionale, espressamente qualificando l’impugnativa dell’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., come questione subordinata al mancato accoglimento del quesito incentrato sull’art. 71, comma 1, dello stesso codice; sicché le distinte e gradate questioni richiedono una disamina differenziata;

che, a proposito dei dubbi di costituzionalità avanzati  in ordine alla disciplina dettata dall’art. 71, comma 1, del codice di rito, la richiesta del giudice  a quo mira a sostituire la previsione che impone al giudice di disporre la sospensione del processo — nell’ipotesi di incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo — con una non meglio precisata declaratoria di «improcedibilità dell’azione penale»: così da soddisfare il principio della ragionevole durata del processo, altrimenti compromesso da una situazione di stasi di durata indefinita;

che,al riguardo è agevole rilevare come l’intera gamma delle condizioni di procedibilità — all’interno delle quali il rimettente intenderebbe iscrivere un istituto a sua volta del tutto “nuovo” e di derivazione esclusivamente processuale — oltre a rientrare, quanto a casi e disciplina, nella esclusiva sfera della discrezionalità legislativa, si fonda su paradigmi di più che evidente ius singulare, trattandosi di norme che fanno eccezione alla opposta e generale regola della azione penale incondizionata, a sua volta ispirata al principio sancito dall’art. 112 della Carta fondamentale;

che la soluzione prospettata dal rimettente — oltre a presentare dei profili di notevole “creatività” — riverbererebbe i suoi effetti  anche sul piano del decorso dei termini di prescrizione del reato; infatti, mentre il provvedimento di sospensione previsto dalla norma oggetto di impugnativa produce l’effetto di sospendere anche il corso della prescrizione, tale effetto — come lo stesso rimettente espressamente sottolinea — non si produrrebbe ove, in luogo della sospensione, il giudice fosse chiamato a pronunciare – per di più, è da presupporre, in ogni stato e grado del procedimento — una immediata sentenza di improcedibilità dell’azione penale: così vanificando l’eventuale futura “ripresa” del procedimento, ove, in ipotesi risultasse errata la prognosi di irreversibilità della incapacità processuale dell’imputato;

che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che, invece, la questione relativa all’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., è già stata scrutinata da questa Corte, sia pure in riferimento a diversi parametri, nell’ordinanza n. 298 del 1991 e nella sentenza n. 281 del 1995: pronunce, peraltro, totalmente ignorate dal giudice a quo;

che, in particolare, nella citata ordinanza n. 298 del 1991, questa Corte ha sottolineato come il sistema della verifica periodica dello stato di mente dell’imputato miri ad accertare se possa o meno realizzarsi una sua cosciente partecipazione al processo, risultando pertanto «del tutto razionalmente contemperate la garanzia dell’autodifesa con l’esigenza di contenere la stasi processuale, evitando anche rischi di comportamenti simulatori»;

che, pertanto — essendo, ad avviso di questa Corte, tali periodici accertamenti «funzionali alla ripresa del processo... anche se ritenuta, nella specie considerata, un evento irrealizzabile» (v. sent. n. 281 del 1995 citata) — ne deriva che nessun contrasto è possibile ravvisare con il principio della ragionevole durata del processo, affermato nell’art. 111, secondo comma, Cost., considerata, appunto, la finalità non certo sterilmente dilatoria, che la disposizione oggetto di impugnativa intende perseguire nel sistema;

che, di conseguenza, la questione relativa all’art. 72, comma 1, cod. proc. pen. deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2003.