ORDINANZA N. 464
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza del 19 dicembre 2001 dal Tribunale di Padova, nel procedimento civile vertente tra la Banca Antoniana Veneta s.r.l. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto che, nel corso di una controversia di natura previdenziale promossa nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale per il recupero di somme in precedenza versate, il Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), "nella parte in cui dispone la deroga al regime ordinario della prescrizione dei crediti contributivi";
che nell’ambito del medesimo giudizio a quo, instaurato con ricorso del 21 luglio 1997 e poi sospeso a seguito della proposizione di alcune questioni di legittimità costituzionale da parte del medesimo odierno remittente, questa Corte è già intervenuta con la sentenza n. 178 del 2000 con la quale, oltre a dichiarare non fondata la questione riguardante l’innalzamento del c.d. contributo di solidarietà dal dieci al quindici per cento (per il periodo che va dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991), ha dichiarato anche l’inammissibilità di quella concernente la deroga al regime ordinario di prescrizione, in quanto l’ordinanza era carente di motivazione sul punto;
che, una volta riassunto il giudizio, la parte ricorrente è tornata a proporre la questione di legittimità costituzionale in precedenza dichiarata inammissibile, sostenendo che la prescrizione del contributo di cui alla norma impugnata avrebbe dovuto cominciare a computarsi dal 1° luglio 1991, ai sensi del testo originario dell’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, introdotto dalla legge di conversione 1° giugno 1991, n. 166;
che, infatti, poiché l’unico ostacolo alla pretesa di ottenere il pagamento del contributo anche per il periodo antecedente tale data era costituito dal tenore della norma ora richiamata, poi dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte, l’INPS avrebbe dovuto attivarsi fin da allora, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione la quale insegna che la presenza di un vizio di illegittimità costituzionale non dichiarato costituisce una difficoltà di mero fatto all’esercizio del diritto, non tale da impedire il regolare decorso della prescrizione;
che ad avviso della parte ricorrente, le cui argomentazioni vengono riferite e fatte proprie dal Tribunale di Padova, la norma impugnata lederebbe l’art. 3 Cost. sotto vari profili e precisamente: a) per violazione dei principi della certezza del diritto e dell’affidamento dei cittadini, avendo la stessa reso imprescrittibili ed esigibili in ogni tempo le contribuzioni dovute dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, comprese quelle che si sarebbero dovute considerare estinte per la prescrizione già maturata ai sensi dell’art. art. 3, comma 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335; b) per contrasto con il principio di eguaglianza, realizzando la norma una irragionevole disparità di trattamento tra contributi ordinari e contributo di solidarietà; c) per mancato rispetto del principio di ragionevolezza, avendo modificato situazioni giuridiche che dovevano ritenersi ormai definite e, perciò, intangibili;
che il Tribunale, dopo aver osservato come sia controverso tra le parti se l’INPS abbia o meno efficacemente interrotto il decorso della prescrizione col proprio verbale del 22 dicembre 1995, rileva che il giudizio circa l’idoneità interruttiva di detto verbale spetta allo stesso giudice di merito e che, anche a voler ritenere la sussistenza della predetta idoneità, tale interruzione non opererebbe per il periodo 1° settembre 1985-22 dicembre 1985;
che il credito contributivo relativo a quest’ultimo periodo non risulterebbe prescritto proprio in ragione della deroga contenuta nella norma impugnata, sicché la questione sarebbe comunque rilevante con riguardo alla debenza o meno dei contributi afferenti questo, sia pur limitato, arco temporale;
che il giudice a quo, quindi, richiamando e facendo proprie le motivazioni di cui alla precedente ordinanza di remissione emessa il 18 ottobre 2000 dal Tribunale di Firenze, conclude chiedendo una sentenza di illegittimità costituzionale della norma impugnata, nei termini sopra riportati;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione, siccome motivata per relationem, ovvero per l’infondatezza, osservando che la fissazione di un termine di prescrizione è di spettanza del legislatore.
Considerato che una questione di legittimità costituzionale sostanzialmente identica a quella odierna è stata già sottoposta all’esame di questa Corte e dichiarata non fondata con la sentenza n. 121 del 2002;
che in quell’occasione la Corte ha chiarito che la norma impugnata – sorta con l’obiettivo di stabilire una contropartita in cambio dell’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali così come sollecitato dalla precedente sentenza costituzionale n. 421 del 1995 – ha creato, in sostanza, un contributo nuovo, sicché non risultano violati né il principio della ragionevolezza né quello dell’affidamento, poiché nel fissare l’obbligo di pagamento a ritroso il legislatore non è andato oltre il decennio anteriore all’emanazione della citata sentenza n. 421 del 1995;
che, pertanto, non avendo la norma fatto rivivere un’obbligazione contributiva già prescritta, ogni censura relativa all’art. 3 Cost. deve ritenersi priva di fondamento;
che l’odierna questione – nella quale il Tribunale di Padova, tra l’altro, richiama proprio l’ordinanza del Tribunale di Firenze oggetto della sentenza n. 121 del 2002 – non aggiunge profili nuovi o diversi di censura che non siano stati scrutinati da questa Corte nella pronuncia appena indicata;
che la questione, perciò, deve ritenersi manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2002.