Ordinanza n. 286/2002

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ORDINANZA N.286

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 2001 dal Tribunale – sez. per il riesame di Palermo sull’appello proposto da B.F., iscritta al n. 828 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

  Ritenuto che con ordinanza emessa il 15 maggio 2001, il Tribunale di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, dopo la chiusura delle indagini preliminari e fino al passaggio in giudicato della sentenza o del decreto di condanna, gli interessati possano proporre opposizione avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di restituzione di cose sottoposte a sequestro probatorio "innanzi al medesimo giudice a norma dell’art. 127 cod. proc. pen.";

  che il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciare sull’appello proposto dall’imputato avverso l’ordinanza con la quale, dopo la chiusura delle indagini preliminari, il giudice competente aveva respinto l’istanza di restituzione di beni oggetto di sequestro probatorio;

  che il rimettente rileva come l’impugnazione dovrebbe essere dichiarata inammissibile, dato che nessuna norma prevede l’appello al "tribunale della libertà" contro i provvedimenti in materia di restituzione di cose sottoposte a sequestro probatorio (e ciò a differenza che per il sequestro preventivo, ex art. 322-bis cod. proc. pen.);

che i predetti provvedimenti, d’altro canto, ove pronunciati (come nella specie) dopo la chiusura delle indagini preliminari e prima del passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna, non sarebbero neppure impugnabili — secondo l’orientamento giurisprudenziale al quale il giudice a quo dichiara di aderire — tramite il diverso rimedio dell’opposizione;

  che la norma impugnata determinerebbe, peraltro, sotto tale profilo, una ingiustificata disparità di trattamento fra il soggetto che chiede la restituzione nell’arco temporale dianzi indicato ed il soggetto che formula la medesima istanza nella fase delle indagini preliminari, ovvero dopo il passaggio in giudicato della sentenza: ipotesi, queste ultime, nelle quali i commi 5 e 6 dell’art. 263 cod. proc.pen. consentono viceversa all’interessato di proporre opposizione avverso il provvedimento di rigetto (adottato, rispettivamente, dal pubblico ministero e dal giudice dell’esecuzione), sia pure con diverse procedure di tipo camerale;

che ne deriverebbe anche una violazione del diritto di difesa, venendo negata all’interessato quella facoltà di sostenere la propria istanza di restituzione mediante proposizione di gravame, che gli é riconosciuta, invece, tanto nella fase delle indagini preliminari che dopo il passaggio in giudicato della sentenza;

  che la piena conformità ai parametri costituzionali del procedimento di restituzione delle cose sequestrate resterebbe di contro assicurata — ad avviso del rimettente — ove venisse attribuita all’interessato, nell’ipotesi in questione, la facoltà di proporre opposizione dinanzi al medesimo giudice che ha adottato il provvedimento di rigetto, con applicazione della procedura camerale prevista dall’art. 127 cod. proc. pen.;

che la questione — secondo il rimettente — sarebbe altresì rilevante nel giudizio a quo, giacchè, in caso di suo accoglimento, l’impugnazione proposta, anzichè essere dichiarata "meramente inammissibile, potrebbe essere riqualificata e trasmessa, ai sensi del comma 5 dell’art. 568 cod. proc. pen., al giudice competente, per il giudizio di opposizione";

  che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

  Considerato che — conformemente a quanto già affermato da questa Corte in riferimento a quesiti di costituzionalità del tutto analoghi (cfr. ordinanza n. 409 del 2001) — la questione sollevata dal Tribunale di Palermo risulta affatto irrilevante nel procedimento a quo;

  che il Tribunale rimettente risulta infatti investito dell’appello de libertate erroneamente proposto — secondo il modello stabilito dall’art. 322-bis cod. proc. pen. in rapporto al solo sequestro preventivo — avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio: appello che — come lo stesso giudice a quo non dubita — é da ritenere dunque inammissibile;

  che, d’altro canto, la sentenza additiva invocata dal rimettente non varrebbe a devolvere al rimettente medesimo la cognizione del gravame, ma introdurrebbe una nuova figura di "opposizione" davanti ad un diverso giudice, e cioé allo stesso giudice che ha adottato il provvedimento reiettivo dell’istanza di restituzione;

  che, pertanto, il quesito di costituzionalità verte su norma della quale il giudice a quo non é e non sarebbe comunque chiamato a fare applicazione;

  che é inconferente, in senso contrario, il rilievo del rimettente, secondo il quale, nel caso di accoglimento della questione, il tribunale — anzichè limitarsi alla semplice declaratoria di inammissibilità dell’appello — potrebbe "riqualificare" l’impugnazione come "opposizione", trasmettendo gli atti al giudice competente: giacchè l’epilogo sarebbe comunque l’inapplicabilità della norma impugnata da parte del giudice a quo;

  che la questione va dunque dichiarata manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso, in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2002.