ORDINANZA N.240
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Massimo VARI, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 della legge della Regione siciliana 12 gennaio 1993, n. 9 (Modifica dell’articolo 1 e proroga del termine di cui all’articolo 2 della legge regionale 6 luglio 1990, n. 11, in tema di assunzione di personale a contratto, per le finalità di cui all’art. 14 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, nonchè in favore di personale dei ruoli dell’Amministrazione regionale e proroga dei vincoli urbanistici), promosso con ordinanza emessa il 1° aprile 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Giuseppe Oddo ed altri contro la Presidenza della Regione siciliana ed altri, iscritta al n. 309 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione di Giuseppe Oddo ed altri nonchè l’atto di intervento della Regione siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi l’avvocato Girolamo Rubino per Giuseppe Oddo ed altri e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, nel corso di un giudizio promosso da numerosi titolari di contratti di lavoro a tempo indeterminato presso comuni siciliani contro la Regione siciliana e nei confronti dei Comuni di Acicatena, Catania, Giarre e Gravina di Catania, per l’accertamento del diritto dei ricorrenti all’inquadramento nei ruoli organici della Regione siciliana e per la condanna di quest’ultima al pagamento delle differenze retributive tra il trattamento economico in godimento e quello previsto per il personale tecnico assunto ai sensi della legge della Regione siciliana 15 maggio 1986, n. 26 (Norme integrative della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, relativa a "Nuove norme in materia di controllo della attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive"), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 della legge della Regione siciliana 12 gennaio 1993, n. 9 (Modifica dell’articolo 1 e proroga del termine di cui all’articolo 2 della legge regionale 6 luglio 1990, n. 11, in tema di assunzione di personale a contratto, per le finalità di cui all’art. 14 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, nonchè in favore di personale dei ruoli dell’Amministrazione regionale e proroga dei vincoli urbanistici), in relazione agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione;
che il rimettente - premesso che tutti i ricorrenti nel giudizio amministrativo hanno stipulato, con i Comuni citati, contratti di lavoro a tempo determinato, a norma degli artt. 30 e 31 della legge della Regione siciliana 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in materia di controllo della attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive), successivamente modificati dagli artt. 14 e 15 della legge della Regione siciliana n. 26 del 1986 - ricorda che le disposizioni regionali richiamate consentivano ai comuni e agli uffici regionali del Genio civile di avvalersi, mediante la stipula di contratti a tempo determinato, di personale tecnico da destinare all’esame delle pratiche di sanatoria edilizia e che i tecnici in servizio presso il Genio civile godevano del trattamento economico riservato ai "dirigenti" (se in possesso del diploma di laurea in ingegneria o in architettura) o agli "assistenti" tecnici (se in possesso del diploma di geometra) della Regione siciliana, mentre i tecnici in servizio presso i comuni godevano del trattamento del personale degli enti locali di corrispondente livello;
che, successivamente, con la legge della Regione siciliana 6 luglio 1990, n. 11 (Norme riguardanti l’assunzione di personale a contratto per le finalità di cui agli articoli 14 e 15 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, norma riguardante l’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche e proroga del termine di cui all’articolo 31 della legge regionale 29 aprile 1985, n. 21), ai comuni é stato consentito di prorogare di anno in anno i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in base agli artt. 30 e 31 della legge regionale n. 37 del 1985, mentre per chi prestava servizio presso gli uffici del Genio civile la stessa legge ha disposto la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato;
che la legge regionale censurata e il relativo regolamento di esecuzione – rileva il rimettente – hanno infine consentito ai comuni di trasformare il rapporto di lavoro dei "contrattisti" in rapporto a tempo indeterminato, con oneri a carico del bilancio della Regione, disponendo invece "l’inquadramento effettivo nei ruoli organici" della Regione del personale assunto presso gli uffici regionali del Genio civile;
che i ricorrenti, nel richiedere dinanzi al TAR per la Sicilia l’immissione nei ruoli regionali e la corresponsione del relativo trattamento economico, hanno prospettato il contrasto degli artt. 1, 3 e 4 della legge della Regione siciliana n. 9 del 1993 con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non dispongono l’immissione nei ruoli della Regione anche per i soggetti assunti dai comuni in base all’art. 30 della legge regionale n. 37 del 1985;
che il collegio rimettente ritiene rilevante la questione sollevata poichè solo una pronuncia di illegittimità costituzionale delle suddette norme consentirebbe ai ricorrenti di ottenere la soddisfazione della pretesa fatta valere in giudizio;
che, nel merito, il TAR per la Sicilia, premesso che le disposizioni originarie degli artt. 30 e 31 della legge regionale n. 37 del 1985 rispondevano all’esigenza di alleviare il rilevante carico di lavoro riversatosi sia sugli uffici del Genio civile che sui comuni per l’applicazione della legge di sanatoria edilizia e che alla stessa necessità si collegava la possibilità, prevista dal legislatore regionale, di procedere alla stipula di contratti a tempo determinato, sostiene che i ricorrenti, assunti dai comuni, si trovano nelle stesse condizioni di fatto dei titolari di un rapporto di lavoro con la Regione: le disposizioni censurate violerebbero perciò l’art. 3 della Costituzione, creando una "palese disparità di trattamento" tra soggetti compresi nella medesima disciplina della legge regionale n. 37 del 1985, a svantaggio dei soggetti assunti presso i comuni, benchè essi svolgano funzioni "identiche" rispetto a quelle dei soggetti assunti presso gli uffici regionali e benchè i provvedimenti che regolano il loro rapporto di lavoro siano disciplinati da atti dell’amministrazione regionale;
che, aggiunge il TAR, l’identità di posizione tra le due categorie é ulteriormente desumibile sia dalla circostanza che gli oneri finanziari connessi alla retribuzione di entrambe sono posti a carico della Regione, sia dalla attribuzione all’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente della facoltà di autorizzare la costituzione del rapporto di lavoro e la formulazione dei criteri per la sua stabilizzazione;
che, pur riconoscendosi un ambito di discrezionalità del legislatore nell’esercizio del potere di organizzazione della pubblica amministrazione, quanto all’attribuzione di un trattamento economico differenziato a categorie di dipendenti pubblici, nel caso in esame - secondo il rimettente - non sono ravvisabili differenze di funzioni alle quali possano conseguire differenze di inquadramento giuridico e di trattamento retributivo;
che le norme impugnate sarebbero inoltre lesive dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione) che impongono il rispetto di criteri di logica e coerenza nell’organizzazione amministrativa, dai quali dovrebbe ricavarsi la necessità di attribuire al personale la "legittima posizione giuridico-retributiva";
che sarebbe infine violato il diritto del lavoratore, garantito dall’art. 36 della Costituzione, ad una retribuzione proporzionata alla qualifica rivestita e alle mansioni svolte;
che nel giudizio così promosso si sono costituiti i privati ricorrenti nel processo a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per la Sicilia;
che la difesa delle parti costituite osserva che gli oneri finanziari per la retribuzione di entrambe le categorie di dipendenti in questione – quelli inquadrati nei ruoli della Regione siciliana e quelli che prestano servizio presso i comuni – sono integralmente a carico del bilancio dell’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente, il quale é competente anche ad individuare i criteri per la costituzione e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, mentre la disciplina dettata in via generale per il rapporto di lavoro dei dipendenti dei comuni siciliani dal decreto del Presidente della Regione siciliana 28 febbraio 1979, n. 70 (Approvazione del testo unico delle leggi sull’ordinamento del Governo e dell’Amministrazione della Regione siciliana), attribuirebbe le funzioni di vigilanza, tutela e coordinamento in materia all’Assessorato degli enti locali, dovendosi da tali considerazioni dedurre che il legislatore regionale, con l’operazione di "accollo" ai comuni del personale in questione, avrebbe inteso eludere le "ben più complesse" procedure di ampliamento della pianta organica dei dipendenti regionali;
che, con riferimento all’art. 36 della Costituzione, le parti, nell’affermare che la loro retribuzione é "diversa e deteriore", a parità di funzioni e di mansioni svolte, rispetto a quella percepita dai loro colleghi in servizio presso la Regione, individuano i termini di raffronto – alla stregua dei quali dovrebbe essere valutata la discriminazione lamentata – in alcune norme legislative regionali che costituirebbero un sistema volto a garantire l’assimilazione del trattamento giuridico ed economico del personale in servizio presso enti diversi dall’amministrazione regionale a quello dei dipendenti regionali, allorchè le funzioni svolte dai primi siano riconducibili all’amministrazione regionale o siano a carico di questa i relativi oneri, richiamando in tal senso: a) l’art. 19 della legge regionale 4 aprile 1995, n. 29 (Norme sulle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e altre norme sul commercio), ove é disposta l’applicazione [in via transitoria] ai dipendenti delle camere di commercio delle disposizioni che regolano lo stato giuridico e il trattamento economico dei dipendenti della Regione, e b) l’art. 31, comma 2, della legge regionale 7 marzo 1997, n. 6 (Programmazione delle risorse e degli impieghi. Contenimento e razionalizzazione della spesa e altre disposizioni aventi riflessi finanziari sul bilancio della Regione), che, nel disporre l’equiparazione del trattamento giuridico ed economico del personale degli enti, aziende ed istituti sottoposti a vigilanza e tutela dell’amministrazione regionale e le cui spese sono a carico del bilancio regionale, a quello dei dipendenti regionali, mantiene a favore dei primi, "quale assegno ad personam", la eventuale differenza retributiva;
che la difesa di parte afferma in conclusione che é "incomprensibile" e costituzionalmente illegittima la scelta del legislatore regionale, da un lato di disporre l’equiparazione per le ulteriori categorie di dipendenti sopra menzionate e dall’altro di escluderla per soggetti, quali i ricorrenti nel giudizio a quo, di cui sarebbe certa "l’appartenenza diretta" all’amministrazione regionale, ove si considerino le modalità di assunzione, le funzioni svolte e l’attribuzione alla Regione degli oneri finanziari;
che é intervenuto il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata;
che la difesa della Regione deduce l’inammissibilità della questione, perchè in nessuna delle disposizioni censurate sarebbe rinvenibile una norma cui far risalire l’asserita disparità di trattamento, non risultando specificata la disposizione dalla quale deriverebbe – per i soggetti direttamente assunti presso la Regione – una posizione più favorevole rispetto a quella riservata ai tecnici in servizio presso i comuni;
che, nel merito, la questione sarebbe infondata sotto tutti i profili invocati dal rimettente, in quanto: a) con riferimento all’art. 3 della legge regionale n. 9 del 1993, già la disciplina dettata originariamente dagli artt. 30 e 31 della legge regionale n. 37 del 1985 avrebbe differenziato "la posizione e le aspettative" dei tecnici assunti dai comuni rispetto a quelle dei professionisti assunti dalla Regione, considerato che il numero dei primi era indeterminato (dipendendo dal numero delle domande di autorizzazione e concessione edilizia in sanatoria proposte), mentre il numero dei secondi era definito, in base ad una ricognizione delle necessità di personale, da un apposito provvedimento dell’Assessore regionale competente, previsione questa che dimostrerebbe come le assunzioni presso i comuni sono state sin dall’inizio caratterizzate dalla "contingenza" legata al numero di procedimenti di sanatoria pendenti; b) la diversificazione originaria tra la posizione dei "contrattisti" assunti dalla Regione e quelli in servizio presso i comuni risulterebbe inoltre dalla circostanza che già con la prima modifica della legge n. 37 del 1985 (legge regionale n. 26 del 1986) fu disposto, solo per i primi, lo "sganciamento" dei compiti ad essi assegnati dalle incombenze correlate alle domande di concessione edilizia in sanatoria; c) la censura basata sull’art. 97 della Costituzione non avrebbe fondamento e anzi, secondo l’interveniente, il parametro richiamato sarebbe violato dalla "generalizzata ed indiscriminata ammissione di tutti gli assunti nei ruoli della Regione" richiesta dai ricorrenti nel giudizio a quo e destinata, se accolta, a creare un "affollamento dei pubblici uffici" da parte di personale eccedente rispetto alle effettive necessità, con ripercussioni negative sull’efficienza dell’amministrazione regionale; d) neppure potrebbe dirsi violato l’art. 36 della Costituzione perchè il presupposto di tale censura - l’identità delle mansioni svolte dalle due categorie - si risolverebbe in una mera asserzione, contrastante con la diversità dei soggetti titolari dei rapporti posti a confronto, dei compiti svolti e delle competenze tecniche richieste per l’espletamento delle funzioni assegnate nei diversi apparati amministrativi di appartenenza.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, solleva, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 della legge della Regione siciliana 12 gennaio 1993, n. 9 (Modifica dell’articolo 1 e proroga del termine di cui all’articolo 2 della legge regionale 6 luglio 1990, n. 11, in tema di assunzione di personale a contratto, per le finalità di cui all’art. 14 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, nonchè in favore di personale dei ruoli dell’Amministrazione regionale e proroga dei vincoli urbanistici), assumendo che tali disposizioni determinano una ingiustificata disparità di trattamento, che si ripercuote negativamente sull’andamento degli uffici e che viola altresì il diritto a una retribuzione proporzionata al lavoro svolto, tra soggetti – i tecnici assunti presso i comuni e quelli assunti presso gli uffici regionali del Genio civile in base, rispettivamente, agli artt. 30 e 31 della legge della Regione siciliana 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in materia di controllo della attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive) – che si trovano nelle medesime condizioni di fatto, essendo stati originariamente assunti in base alla medesima disciplina legislativa e per lo svolgimento di mansioni identiche;
che, in via del tutto preliminare, occorre rilevare che l’art. 4 della legge della Regione siciliana n. 9 del 1993 disciplina le modalità di applicazione, nell’ambito della Regione, delle disposizioni derogatorie in materia previdenziale di cui all’art. 1, comma 2, lettere e) e f), del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438;
che il rimettente non motiva in alcun modo circa l’applicabilità di tale disposizione – che appare del tutto estranea sia al quadro normativo nel quale si collocano le altre disposizioni censurate, sia all’insieme delle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione – nel giudizio a quo, risultando quindi la questione di legittimità costituzionale ad essa relativa del tutto inconferente rispetto alle censure sollevate;
che la questione sollevata sull’art. 4 della legge regionale n. 9 del 1993 deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanze n. 446, n. 417 e n. 407 del 2001);
che le restanti argomentazioni del TAR mirano ad ottenere l’equiparazione del trattamento giuridico ed economico dei tecnici in servizio presso i comuni – dapprima incaricati con apposita convenzione, in base all’art. 30 della legge regionale n. 37 del 1985; poi assunti a tempo determinato con le modifiche introdotte dall’art. 14 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, (Norme integrative della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, relativa a "Nuove norme in materia di controllo della attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive"), con contratti successivamente prorogati o rinnovati secondo quanto dispone l’art. 1 della legge regionale 6 luglio 1990, n. 11 (Norme riguardanti l’assunzione di personale a contratto per le finalità di cui agli articoli 14 e 15 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, norma riguardante l’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche e proroga del termine di cui all’art. 31 della legge regionale 29 aprile 1985, n. 21); infine assunti a tempo indeterminato, in base all’art. 1 della legge regionale n. 9 del 1993 – rispetto al trattamento riservato ai tecnici assunti – in applicazione dell’art. 31 della legge regionale n. 37 del 1985 e successive modifiche – presso la Regione siciliana;
che la richiesta equiparazione si fonda sull’assunto della unità di disciplina giuridica e di trattamento economico, sin dall’origine, tra le due categorie di tecnici, derivante a sua volta dalla postulata omogeneità tra le mansioni da essi svolte rispettivamente presso i comuni e presso la Regione;
che, contrariamente a quanto afferma il rimettente, i compiti a cui sono state destinate le due categorie sono stati differenziati dal legislatore regionale, sin dall’origine, poichè l’art. 30 della più volte citata legge regionale n. 37 del 1985 ha previsto che i comuni si avvalessero di tecnici convenzionati "per l’esame istruttorio delle domande di autorizzazione o concessione in sanatoria" e "per provvedere alle operazioni di ricognizione e verifica", mentre i tecnici titolari di convenzione presso gli uffici del Genio civile sono stati incaricati degli accertamenti di competenza di tali uffici;
che tale diversità di mansioni é stata mantenuta anche nelle successive modifiche e in particolare dall’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 11 del 1990, che ha consentito di impiegare il personale in servizio presso i comuni "anche per compiti di istituto", mentre l’art. 3, comma 3, della stessa legge ha permesso di utilizzare i tecnici assunti presso gli uffici regionali del Genio civile altresì "presso tutte le amministrazioni regionali, per le esigenze degli uffici centrali e periferici delle stesse amministrazioni, degli enti non economici controllati dalla Regione esclusi comuni e province, nonchè per le esigenze di interesse regionale degli uffici di cui le stesse amministrazioni possono avvalersi";
che le considerazioni esposte inducono a ritenere non arbitraria, alla stregua dell’art. 3 della Costituzione, la scelta del legislatore regionale di riservare ai tecnici assunti sulla base delle più volte citate leggi regionali trattamenti giuridici correlati a quelli riservati ai dipendenti degli enti di rispettiva appartenenza;
che il medesimo rilievo della differenziazione tra le categorie poste a raffronto porta altresì a escludere la dedotta violazione dell’art. 36 della Costituzione, anch’essa basata sul presupposto dell’identità di funzioni;
che, quanto all’invocato art. 97 della Costituzione, il TAR rimettente, nel richiedere a questa Corte una pronuncia tale da consentire l’immissione del personale in questione nei ruoli regionali, omette di considerare in via prioritaria le esigenze di efficienza e razionale organizzazione che devono presiedere alle valutazioni del legislatore quanto alla determinazione e all’ampliamento delle piante organiche, poichè, come più volte affermato da questa Corte, l’interesse al sostegno dell’occupazione, pur potendo aggiungersi, nelle valutazioni del legislatore, agli interessi della pubblica amministrazione, non può rendersi indipendente dalla preventiva e condizionante valutazione dell’oggettiva necessità di personale per l’esercizio di pubbliche funzioni (sentenze n. 141 del 1999, n. 217, n. 153 e n. 59 del 1997);
che, per quanto detto, deve essere dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge della Regione siciliana n. 9 del 1993.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 12 gennaio 1993, n. 9 (Modifica dell’articolo 1 e proroga del termine di cui all’articolo 2 della legge regionale 6 luglio 1990, n. 11, in tema di assunzione di personale a contratto, per le finalità di cui all’art. 14 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, nonchè in favore di personale dei ruoli dell’Amministrazione regionale e proroga dei vincoli urbanistici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge della Regione siciliana n. 9 del 1993, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
Massimo VARI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.