SENTENZA N. 218
ANNO 2002
Commenti alla decisione di
I. Pietro Alessio Palumbo, Giustizia ed incarichi dirigenziali. La sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2002 (per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
II. Giovanni Maria di Lieto, Impieghi pubblici e accesso alle qualifiche superiori (dal sito www.giustizia.amministrativa.it – che si ringrazia)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 11 maggio 1999, n. 140 (Norme in materia di attività produttive), promosso con ordinanza emessa il 24 aprile 2001 dal Tribunale di Siena nel procedimento civile vertente tra F. C. ed altro e la Camera di commercio, industria e artigianato di Siena, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di F. C. ed altro e della Camera di commercio, industria e artigianato di Siena, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi gli avvocati Enrico de Martino e Andrea Pisaneschi per F. C. ed altro, Fabio Pisillo per la Camera di commercio, industria e artigianato di Siena e l’Avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Siena, in composizione monocratica e in funzione di giudice del lavoro, solleva, con ordinanza del 24 aprile 2001, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 [recte: art. 12, comma 1] della legge 11 maggio 1999, n. 140 (Norme in materia di attività produttive), in riferimento all’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.
2. Nel giudizio a quo due dipendenti della Camera di commercio, industria e artigianato di Siena (infra, Camera di commercio) hanno chiesto di essere inquadrati nella qualifica dirigenziale ex art. 12, comma 1, della legge n. 140 del 1999, deducendo che la Camera di commercio non ha accolto la relativa domanda, sia in quanto l’organico prevede un solo posto di dirigente, sia in quanto contesta che questa norma attribuisca un "diritto" a siffatto inquadramento.
L’ordinanza di rimessione premette che la norma impugnata derogherebbe all’art. 28, comma 1, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, secondo il quale "l'accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene esclusivamente a seguito di concorso per esami", attribuendo ai ricorrenti una "legittima aspettativa tutelabile" all’inquadramento nella qualifica dirigenziale. Ad avviso del Tribunale rimettente, la Camera di commercio potrebbe respingere la relativa domanda esclusivamente in presenza di "specifiche situazione negative concernenti la persona e il curriculum degli istanti", inesistenti nel caso in questione, e neppure potrebbe rigettarla per l’eventuale mancanza del posto dirigenziale nella pianta organica. In ogni caso, l’unica funzione dirigenziale prevista dalla pianta organica della Camera di commercio dovrebbe essere assegnata "sulla base di una successiva scelta meritocratica discrezionale, con apposito contratto", costituendo l’ampliamento delle qualifiche dirigenziali "un atto dovuto in conseguenza della legge n. 140/99".
Secondo il rimettente, la norma, così interpretata, realizzerebbe "un indiscriminato passaggio alla qualifica dirigenziale, senza selezione alcuna" e, quindi, si porrebbe in contrasto con l’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione. La giurisprudenza costituzionale, sostiene il giudice a quo, ha infatti affermato che i principi di efficienza, di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione richiedono che la progressione nella carriera avvenga all’esito di procedure selettive o di verifiche attitudinali (sentenze n. 1 del 1999; n. 1 del 1996), imponendo la norma costituzionale "forme di effettiva selezione nella attribuzione delle qualifiche, con esclusione di qualsiasi generalizzato "scivolamento verso l’alto"".
3. Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo la difesa erariale, sarebbe infatti possibile dare della norma impugnata un’interpretazione conforme al principio costituzionale che si ritiene leso. A suo avviso, il verbo "può" dimostrerebbe che il legislatore ha fatto salvo il potere di autorganizzazione delle Camere di commercio, le quali non sarebbero obbligate nè ad attuare generalizzate promozioni, nè ad ampliare la pianta organica. La norma si limiterebbe ad attribuire alle Camere di commercio la facoltà di non applicare le procedure ordinarie per la nomina dei dirigenti e, così interpretata, non prevederebbe un avanzamento automatico alla qualifica dirigenziale, ma sarebbe giustificata dall’esigenza di permettere che gli incarichi dirigenziali siano attribuiti a dipendenti che, per l’esperienza e la professionalità acquisita, appaiono in grado di assicurare funzionalità ed efficienza del servizio al quale sono preposti.
4. Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti nel processo principale, chiedendo, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo le parti la disposizione impugnata si sarebbe limitata a riconoscere ai capi servizio la qualifica che loro avrebbe dovuto essere attribuita sulla base di una corretta equiparazione con i dipendenti dello Stato. Nella realizzazione del passaggio dal sistema delle carriere a quello delle qualifiche funzionali i dipendenti delle Camere di commercio, in una prima fase, sono stati provvisoriamente inquadrati con il decreto interministeriale del 12 luglio 1982, secondo il nuovo criterio. L’inquadramento definitivo, attuato dall’art. 3 del decreto-legge 23 settembre 1994, n. 547, convertito nella legge 22 novembre 1994, n. 644, sulla base delle corrispondenze stabilite per gli impiegati civili dello Stato dalla Commissione prevista dall’art. 10 della legge 11 luglio 1980, n. 312, a causa della mancata previsione della qualifica di direttore di divisione, alla quale era equiparata quella di capo servizio, avrebbe fatto sì che chi rivestiva quest’ultima qualifica é stato inquadrato all’ottavo livello, analogamente ai capi reparto, che svolgevano mansioni di livello inferiore.
La norma impugnata non prevederebbe, quindi, un avanzamento senza concorso, bensì realizzerebbe quella corretta equiparazione che, in passato, non era stata attuata.
5. Nel giudizio innanzi alla Corte si é, altresì, costituita la Camera di commercio di Siena, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, la parte sostiene che la norma impugnata dovrebbe essere interpretata escludendo che essa stabilisca l’obbligo di attribuire ai capi servizio la qualifica dirigenziale. In linea gradata, la Camera di commercio insiste affinchè la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della disposizione, qualora non sia possibile offrirne una lettura conforme all’art. 97 della Costituzione.
6. All’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato e le parti hanno chiesto l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Siena riguarda l'art. 12 (recte: art.12, comma 1) della legge 11 maggio 1999, n. 140 (Norme in materia di attività produttive), che dispone che il personale delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in servizio alla data di entrata in vigore del decreto-legge 23 settembre 1994, n. 547- convertito nella legge 22 novembre 1994, n. 644- che, alla data del 12 luglio 1982, rivestiva la qualifica di capo servizio, conseguita secondo l'ordinamento camerale vigente alla predetta data, "può essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore con effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge".
Secondo il giudice a quo la norma attribuirebbe ai capi servizio una "legittima aspettativa tutelabile" all'inquadramento nella qualifica dirigenziale, che non potrebbe essere negato dalla Camera di commercio neppure per mancanza di posti nella pianta organica, ma soltanto con riferimento a specifiche circostanze negative concernenti la persona o il curriculum degli aspiranti. Così interpretata la disposizione, essa violerebbe l'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione, in quanto determinerebbe "un indiscriminato passaggio alla qualifica dirigenziale, senza selezione alcuna", in contrasto perciò con i principi di efficienza e di buon andamento dell'amministrazione, i quali invece esigono che l'accesso ad una qualifica superiore avvenga attraverso "forme di effettiva selezione", essendo vietato qualsiasi generalizzato "scivolamento verso l'alto".
2. Va premesso che il giudice a quo interpreta, con motivazione specifica non implausibile, la disposizione impugnata nel senso che essa disporrebbe, in linea generale, l'inquadramento, a semplice domanda, dei dipendenti che rivestivano la qualifica di capo servizio, nella qualifica immediatamente superiore, cioé dirigenziale, al di fuori di qualsiasi procedura concorsuale ed indipendentemente dall'esistenza di una vacanza nella relativa pianta organica. Secondo il rimettente, pertanto, non é possibile pervenire ad una lettura della norma che escluda la lesione dell'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.
3. La questione é fondata.
L'interpretazione delle complesse vicende normative che hanno caratterizzato il passaggio dei dipendenti delle camere di commercio -in particolare di quelli che rivestivano la qualifica di capo servizio- dall'ordinamento per carriere all'ordinamento per qualifiche funzionali e profili professionali ha costituito oggetto di un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa. Sono stati così ripetutamente esplicitati i motivi che in relazione sia alle prescrizioni dell'inquadramento definitivo attuato dall'art. 3, comma 8, del d.l. n. 547 del 1994 convertito nella legge n. 644 del 1994, sia al criterio delle mansioni svolte, hanno giustificato sul piano logico-sistematico l'inquadramento dei capi servizio delle camere di commercio nella ottava qualifica funzionale e non già in una qualifica superiore, e cioé la qualifica VIII bis, riservata ai vicesegretari (art. 2 del d.i. 12 luglio 1982), o la qualifica IX, peraltro non riferibile al personale delle camere di commercio. E, secondo questo stesso indirizzo giurisprudenziale, soltanto una disposizione specifica come quella censurata ha potuto prevedere, come appunto sostiene il giudice a quo, il reinquadramento automatico e generalizzato dei capi servizio in una qualifica superiore alla VIII, e cioé dirigenziale.
3.1. Ai fini dello scrutinio di legittimità della predetta norma, occorre tenere presente che questa Corte ha costantemente affermato che nell'accesso a funzioni più elevate, ossia nel passaggio ad una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema, come quello oggi in vigore, che non prevede carriere o le prevede entro ristretti limiti, deve essere "ravvisata una forma di reclutamento". Tale forma di reclutamento é perciò soggetta alla regola del pubblico concorso, che, in quanto "meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci", resta il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità, costituendo ineludibile momento di controllo, funzionale al miglior rendimento della pubblica amministrazione (ex plurimis: sentenze n. 1 del 1999, n. 320 del 1997, n. 1 del 1996). E proprio per la contraddizione con questi principi, la giurisprudenza costituzionale é costante nel censurare norme che stabiliscono il passaggio a fasce funzionali superiori, in deroga alla regola del pubblico concorso, o comunque non prevedono alcun criterio selettivo, o verifiche attitudinali adatte a garantire l'accertamento dell'idoneità dei candidati in relazione ai posti da ricoprire, realizzando così una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso l'alto del personale (sentenze n. 1 del 1999, n. 320 del 1997, n. 478 del 1995, n. 314 del 1994).
In questo quadro giurisprudenziale, la norma impugnata appare pertanto in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, in quanto deroga ingiustificatamente alla regola del pubblico concorso, senza neppure prevedere alcuna verifica del possesso dei requisiti richiesti per l'attribuzione della qualifica superiore. Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale, sotto questo profilo, dell’art. 12, comma 1, della legge n. 140 del 1999, restando così assorbita ogni ulteriore censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 1, della legge 11 maggio 1999, n. 140 (Norme in materia di attività produttive).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2002.