ORDINANZA N.214
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Cesare RUPERTO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE
"
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE
"
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell'art. 106, comma 4-bis, del
codice di procedura penale, promossi nell'ambito di diversi procedimenti
penali, con ordinanze delle Corti di assise di Agrigento del 24 maggio 2001 e
di Palermo del 17 maggio 2001, iscritte ai nn. 664 e
667 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale,
dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 17 maggio 2001 (r.o. n. 667 del 2001) la Corte di
assise di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 106, comma 4-bis, del codice di procedura penale,
introdotto dall’art. 16, comma 1, lettera c),
della legge 13 febbraio 2001, n. 45 (Modifica della disciplina della protezione
e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia
nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza), nella
parte in cui esclude che uno stesso difensore possa assumere la difesa di più
imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro
imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi
dell’art. 12 cod. proc. pen. o collegato ai sensi
dell’art. 371, comma 2, lettera b),
dello stesso codice;
che il rimettente - premesso che nel
giudizio a quo il difensore di tre
imputati che hanno reso dichiarazioni accusatorie a carico di altri imputati ha
eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera c), della legge n. 45 del 2001 per
contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione e che alla eccezione si
sono associati gli altri difensori e il pubblico ministero - rileva che la
nuova ipotesi di incompatibilità ad assumere la difesa di più imputati si
differenzia da quella già prevista nel vigente sistema processuale al comma 1
dell’art. 106 cod. proc. pen. e costituisce «una
vistosa deviazione dai principi che regolano la materia dell’assistenza
difensiva»;
che l’art. 106 cod. proc. pen. nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla
legge n. 45 del 2001 contemplava, infatti, quale unica eccezione al principio
secondo cui la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune
- a sua volta espressione della libertà dell’imputato di scegliere il difensore
secondo le proprie esclusive valutazioni, nell’ambito di un rapporto avente
carattere fiduciario - il caso di «accertata ed obiettiva incompatibilità» tra
le posizioni degli imputati;
che tale limite, che il rimettente definisce
«interno» in quanto «limite naturale all’esercizio della difesa tecnica di più
imputati», discenderebbe «dalla ratio essendi e dalla funzione del diritto di difesa»,
ponendosi quale garanzia di libertà del difensore e al contempo di effettività
della difesa;
che, ad avviso del giudice a quo, diverso sarebbe il fondamento
della nuova causa di incompatibilità prevista nel comma 4-bis dell’art. 106 cod. proc. pen., finalizzata ad evitare che «la
circolazione di notizie relative alla responsabilità altrui» possa costituire
un pericolo per la «genuinità» e la «spontaneità» delle dichiarazioni e, in
quanto tale, sorretta da una ratio del tutto estranea al diritto di difesa, di cui
costituirebbe un limite «esterno»;
che, secondo il rimettente, l’esigenza di
assicurare la piena autonomia tra le dichiarazioni accusatorie rese dagli
imputati e, quindi, la genuinità della prova ai fini dell’obiettivo
accertamento dei fatti, non può prevalere sull’esercizio del diritto di difesa,
il cui sacrificio è giustificato solo «in vista del soddisfacimento di altri
interessi costituzionali di rango equivalente»;
che sarebbe pertanto evidente la violazione
del diritto di difesa, sotto il profilo della «libertà dell’imputato di
scegliere il difensore secondo il proprio insindacabile giudizio»;
che la nuova causa di incompatibilità
determinerebbe inoltre una irragionevole disparità di trattamento «tra la
posizione degli imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la
responsabilità di altri e quella degli imputati che non abbiano effettuato
simili dichiarazioni», in quanto il vincolo previsto dal nuovo art. 106, comma
4-bis, cod. proc. pen.
sussisterebbe solo per i primi, benché analoghe esigenze di tutela della
genuinità della prova si pongano in astratto anche in relazione ai secondi,
«stante la possibilità della elaborazione di "versioni di comodo"
volte ad escludere la responsabilità dei correi»;
che con ordinanza del 24 maggio 2001 (r.o. n. 664 del 2001) la Corte di assise di Agrigento ha
sollevato identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 106, comma
4-bis, cod. proc. pen.,
nell’ambito di un procedimento nel quale due imputati in procedimento connesso,
già giudicati con sentenza definitiva, sono assistiti dal medesimo difensore;
che la Corte rimettente svolge nel merito
argomentazioni analoghe a quelle contenute nell’ordinanza della Corte di assise
di Palermo, alla quale viene fatto espresso richiamo;
che nei giudizi è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo con identici atti di intervento che la questione sia
dichiarata infondata;
che, ad avviso della difesa erariale, la
nuova ipotesi di incompatibilità è indirizzata, prima ancora che a garantire
l’accertamento della verità, a dare piena attuazione al «diritto di difesa del
coimputato nei cui confronti le dichiarazioni sono state rese», in ossequio a
quanto previsto dall’art. 111 Cost. che, proprio a tutela della persona
accusata, impone che siano assicurate l’effettività del contraddittorio e la
genuinità della prova.
Considerato che i rimettenti dubitano, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell'art. 106, comma 4-bis,
del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 16, comma 1, lettera c), della legge 13 febbraio 2001, n.
che, stante l’identità delle questioni
sollevate, deve essere disposta la riunione dei giudizi;
che la disciplina censurata, introdotta
dalla legge n. 45 del 2001, prevede che non possa essere assunta da uno stesso
difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni
"concernenti la responsabilità" di altro imputato nel medesimo
procedimento o in un procedimento connesso o collegato;
che il tenore testuale di tale disposizione,
sia pure inserita in una legge relativa alla protezione e al trattamento
sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, non autorizza a
ritenere escluse dal suo ambito di operatività dichiarazioni che si risolvono a
favore di altro imputato;
che le censure prospettate in riferimento
all'art. 3 Cost. si palesano quindi manifestamente infondate, in quanto si
basano sull'erroneo presupposto interpretativo che l'incompatibilità ad
assumere la difesa di più imputati si riferisca solo alle dichiarazioni
accusatorie;
che, quanto alla violazione dell’art. 24
Cost., la libertà di scelta del difensore, certamente espressione del diritto
di difesa, può subire limitazioni dettate sia da esigenze di funzionalità
dell'organizzazione giudiziaria, sia dal contemperamento con altri interessi,
anche processuali, meritevoli di tutela (v. sentenza n. 54 del 1977), purché i
limiti posti dal legislatore siano frutto di scelte discrezionali non
irragionevoli e comunque tali da assicurare una possibilità di scelta del
difensore sufficientemente ampia (v., con riferimento alle limitazioni
dell'ambito territoriale entro cui operare la scelta, sentenza n. 394 del
2000, ordinanze
n. 79 del 2001 e n. 139 del 2002);
che dai lavori preparatori della legge n. 45
del 2001 emerge la volontà del legislatore di garantire «trasparenza» e
«genuinità» nella formazione della prova;
che tale esigenza appare ragionevolmente
soddisfatta da una disciplina che tende ad
evitare che la scelta di un difensore comune possa risolversi obiettivamente
in veicolo di circolazione tra più imputati del contenuto delle dichiarazioni
rese sulla responsabilità di altri imputati;
che la finalità di assicurare la genuinità e
la spontaneità delle dichiarazioni garantisce anche il diritto di difesa del
destinatario delle dichiarazioni stesse;
che le questioni vanno
pertanto dichiarate manifestamente infondate con riferimento ad entrambi i
parametri evocati dai rimettenti.
Visti gli artt. 26, secondo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 106, comma 4-bis,
del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, dalle Corti di assise di Palermo e di Agrigento, con le
ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il
20 maggio 2002.
Cesare RUPERTO,
Presidente
Guido NEPPI
MODONA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere