Ordinanza n. 158 del 2002

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ORDINANZA N.158

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1999 dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento civile vertente tra Laganà Paola ed altri e il Comune di Villa San Giovanni, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso del procedimento civile - promosso, al fine di ottenere il risarcimento del danno in misura pari al valore commerciale del terreno, dai proprietari di un suolo agricolo occupato nel mese di febbraio del 1988 dal Comune di Villa San Giovanni, che lo aveva destinato ad ampliamento del locale cimitero, senza porre in essere alcun atto espropriativo - il Tribunale di Reggio Calabria, ritenendo applicabile anche alle aree agricole, per il suo carattere onnicomprensivo, la disposizione - introdotta dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) - del comma 7-bis dell’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, ha sollevato, con ordinanza del 25 maggio 1999 (r.o. n. 119 del 2001), questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, la quale prevede che "in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione dell’indennità di cui al comma 1" (semisomma del valore venale del bene maggiorata del dieci per cento), "con esclusione della riduzione del 40 per cento. In tal caso l’importo del risarcimento é altresì aumentato del 10 per cento", proprio nella parte in cui essa si applicherebbe anche ai suoli agricoli;

che, ad avviso del giudice a quo, tale disciplina si porrebbe in contrasto anzitutto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, per la sua irragionevolezza, ravvisabile nella circostanza che essa prevede un trattamento deteriore rispetto a quello stabilito dall’art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che fissa il criterio di commisurazione della indennità di espropriazione sulla scorta del valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato;

che la norma denunciata apparirebbe, sempre secondo il collegio rimettente, inconciliabile altresì con l’art. 97 della Costituzione, finendo per costituire incentivo alla violazione della procedura stabilita in tema di espropriazione;

che, al riguardo, si richiamano, nell’ordinanza del Tribunale, le considerazioni svolte dalla sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 1996, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 5-bis, il quale aveva sancito la equiparazione della misura del risarcimento del danno da occupazione illegittima all’indennizzo espropriativo; considerazioni che, nella specie, assumerebbero pregnanza ancora maggiore, avuto riguardo al rilievo che la norma censurata, nella interpretazione accoltane dal giudice a quo, che ne estenderebbe l’applicabilità anche ai suoli agricoli, consentirebbe addirittura una differenziazione in peius in danno del privato proprietario di aree agricole, che subisca la occupazione, rispetto a quello che subisca una regolare procedura espropriativa;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o l'infondatezza della questione, non condividendo la opzione ermeneutica del giudice a quo, invero accolta da alcune decisioni della Cassazione precedenti la ordinanza, ma smentita da numerose sentenze successive;

che secondo l’Avvocatura dello Stato, il Tribunale rimettente, in considerazione proprio di quegli aberranti effetti derivanti dalla esegesi prescelta, avrebbe dovuto escluderne la validità ed approfondire l’indagine ermeneutica nella direzione opposta.

Considerato che l’ordinanza di rimessione si basa su un presupposto completamente e palesemente erroneo, che coinvolge tutto il ragionamento sulla scelta tra le diverse possibili interpretazioni della norma denunciata ai fini della concreta applicabilità della stessa norma nel giudizio a quo riguardante terreni agricoli, di modo da renderlo carente nella motivazione per quanto riguarda la rilevanza;

che, innanzitutto, il richiamo operato nell’ordinanza alla interpretazione della Cassazione con sentenza 24 luglio 1998 - rectius: 1997 - n. 6912, considerata come una sorta di diritto vivente, che andava in contrario avviso rispetto ad una precedente pronuncia della stessa Corte di cassazione del 3 marzo 1998, n. 2336 (in realtà successiva), risulta superato dall'ormai costante indirizzo interpretativo, anche della stessa Corte di cassazione, nel senso della bipartizione del trattamento differenziato dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili da una parte, e per i suoli agricoli o comunque non edificabili dall’altra, e conseguentemente anche per l’indennizzo in caso di occupazioni senza titolo;

che la scelta interpretativa (viziata e carente nella motivazione e palesemente implausibile) operata dal giudice a quo non tiene conto del sopravvenuto indirizzo giurisprudenziale (Cass. n. 2336 del 1998; n. 5893 del 1998; n. 1090 del 2000, confermato anche dagli artt. 43, comma 6, e 55 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità"; v. anche, sulla dicotomia, ai fini dell’indennità, tra aree edificabili ed aree agricole, Cass., Sezioni unite, n. 172 del 2001) e finisce per essere contraddittoria con le premesse da cui parte (tutela della proprietà e del principio ricavabile dall’art. 3 della Costituzione), comportando - in maniera del tutto irragionevole e con una soluzione dagli effetti aberranti ed in contrasto con la tutela che si voleva conseguire - per il proprietario di fondo agricolo danneggiato dal fatto illecito della pubblica amministrazione un trattamento palesemente deteriore rispetto a quello del proprietario privato del bene in base ad un titolo legittimo e a procedura regolare;

che le carenze e le contraddittorietà nel ragionamento dell’ordinanza di rimessione risultano confermate dalla mancata presa in considerazione sia delle pronunce di questa Corte successive al 1996, proprio in relazione alla norma denunciata (sentenza n. 148 del 1999; ordinanze n. 208 e n. 396 del 1999 e, per quanto riguarda il calcolo delle indennità di espropriazione per aree agricole, ordinanza n. 444 del 2000), sia del principio secondo il quale, tra una pluralità di scelte interpretative, ogni giudice é tenuto ad adottare quella conforme al dettato costituzionale (ordinanze n. 277 del 2000; n. 147 del 1998 e n. 63 del 1989);

che pertanto deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2002.