ORDINANZA N. 137
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 181, primo comma, del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), promosso con ordinanza emessa l’1 febbraio 2000 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Olimpia s.r.l. e Alessandra s.a.s., iscritta al n. 608 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa l’1 febbraio 2000 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), per violazione dell'art. 111 della Costituzione, così come modificato dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2;
che il giudice rimettente é investito della trattazione di una causa nella quale le parti costituite non sono comparse alla prima udienza, con la conseguente necessità, secondo la disposizione impugnata, di fissare una nuova udienza della quale il cancelliere deve dare comunicazione alle parti;
che il giudice a quo, ricordate le ordinanze n. 7 e n. 107 del 1997 con le quali la Corte ha dichiarato manifestamente infondate analoghe questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge, allora sollevate in riferimento agli art. 3, 24 e 97 Cost., osserva che la nuova disposizione costituzionale non può avere un valore del tutto pleonastico, ripetitivo di un principio già contenuto implicitamente nell’art. 24 Cost., dal momento che essa ha introdotto un nuovo parametro di legittimità costituzionale delle leggi processuali, che devono essere idonee a perseguire il fine della ragionevole durata di ogni processo;
che, secondo il giudice a quo, la mancata comparizione delle parti, comportando la fissazione di una nuova udienza, crea "effetti distorti" tra cui il non trascurabile effetto di prolungare i tempi del singolo processo, producendo un numero rilevante di processi destinati alla successiva cancellazione della causa dal ruolo, epilogo che il più delle volte discende da soluzioni stragiudiziali raggiunte dalle parti;
che il giudice a quo, richiamate le statistiche ufficiali del Ministero della giustizia dalle quali si ricava che solo un numero esiguo di cause vengono definite con sentenza, rileva che tale dato conferma che spesso i giudici fissano un’udienza al solo scopo di prendere atto, attraverso il provvedimento di cancellazione, che le parti sono addivenute ad una definizione stragiudiziale della lite;
che secondo il giudice a quo, una tale massa di cause che "gira a vuoto" sui ruoli dei giudici – anche in considerazione del fatto che é non infrequente il caso in cui le comunicazioni di cancelleria non vanno a buon fine e devono essere reiterate – determina un rallentamento delle altre cause la cui trattazione viene dilazionata, mentre l’eliminazione dal carico di lavoro degli ausiliari del giudice degli avvisi di fissazione della nuova udienza e l’anticipata cancellazione delle cause consentirebbe una maggior concentrazione delle risorse disponibili in attività più utili per il perseguimento della ragionevole durata dei processi;
che, come rileva ancora il giudice a quo, mentre prima dell’introduzione del principio costituzionale della ragionevole durata il legislatore godeva di ampia discrezionalità nella scelta delle norme processuali, dopo la novella la scelta legislativa risulta vincolata e costituzionalmente orientata all’adozione di strumenti che non solo non ritardino la conclusione di ogni singolo processo, ma valgano ad accelerare per quanto possibile "la conclusione di tutti i processi";
che, sempre come osserva il rimettente, la scelta del legislatore non appare frutto del bilanciamento della durata ragionevole con altri interessi di rango costituzionale, in particolare col diritto di difesa delle parti che potrebbe risultare compresso ove si prevedesse la cancellazione automatica della causa dal ruolo anche qualora ricorrano ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, dal momento che il rischio per la parte é costituito invece dalla propria mancata comparizione nonostante la comparizione della controparte, ipotesi nella quale non é previsto alcun differimento dell’udienza nè alcun avviso, ed in ogni caso dalla possibilità di riassumere la causa nel congruo termine di un anno;
che é intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione infondata;
che l'Avvocatura, dopo aver ricordato che la disposizione impugnata ha la finalità di evitare che assenze casuali alle udienze implichino l’adozione di provvedimenti (la cancellazione della causa dal ruolo) forieri di gravosi oneri per le parti, osserva che la disciplina in essere non confligge col principio della ragionevole durata, anche perchè la nuova udienza dovrebbe, di regola, importare un prolungamento della durata del processo di soli quindici giorni, secondo l’art. 81 disp. att. cod. proc. civ.;
che, come rileva ancora l'Avvocatura, il rimettente ha posto a base dell'ordinanza considerazioni attinenti alla gestione delle risorse umane e materiali della giustizia, profili di ordine organizzativo rimessi alla discrezionalità del legislatore ed estranei alla garanzia di cui all'art. 111 Cost.
Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 181 del codice procedura civile, come modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), nella parte in cui prevede che, se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice deve fissare una nuova udienza della quale va data comunicazione alle parti costituite e che il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo solo se nessuna delle parti compare alla nuova udienza;
che secondo il rimettente la disposizione viola l'art. 111 della Costituzione, così come modificato dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione), perchè la disposizione non assicura la ragionevole durata del singolo processo e dei processi civili in genere;
che questa Corte ha già esaminato altre questioni di legittimità costituzionale della stessa norma oggi impugnata sollevate in relazione al diverso parametro di cui all'art. 97 Cost., ritenendole manifestamente infondate poichè "il legislatore, nel regolare il funzionamento del processo, dispone della più ampia discrezionalità, sicchè le scelte concretamente compiute sono sindacabili soltanto ove manifestamente irragionevoli" e che "i lamentati inconvenienti di fatto derivanti dall’applicazione di norme non possono costituire unico fondamento di questioni di legittimità costituzionale" (ordinanza n. 7 del 1997);
che, successivamente, la questione é stata riproposta in riferimento all’art. 111 Cost. nel testo novellato, ma questa Corte – ordinanza n. 32 del 2001 – ha ritenuto "che l’introduzione nella Costituzione del nuovo testo dell’art. 111 non produce modifiche all’orientamento di questa Corte sul punto, dal momento che l’esigenza di garantire la maggior celerità possibile dei processi deve tendere ad una durata degli stessi che sia, appunto, ragionevole in considerazione anche delle altre tutele costituzionali in materia, primo fra tutti il diritto delle parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall’art. 24 Cost." ;
che il legislatore deve quindi ritenersi in possesso di un’ampia discrezionalità correttamente esercitata e che gli altri problemi prospettati dal giudice a quo riguardano profili meramente organizzativi della giustizia e non coinvolgono principi di legittimità costituzionale;
che perciò la questione sollevata é manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 181 del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della L. 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), convertito dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), sollevata in riferimento all’art. 111 della Costituzione dal Giudice istruttore del Tribunale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2002.