Ordinanza n. 92 del 2002

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ORDINANZA N. 92

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 2000 dal Tribunale di Lucca nel procedimento penale a carico di E. M. ed altri, iscritta al n. 521 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 4 dicembre 2000 il Tribunale di Lucca ha sollevato, in riferimento agli artt. 21, sesto comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), che estende la norma incriminatrice di cui all’art. 528 del codice penale agli "stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti";

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere investito del processo penale nei confronti di persone imputate del reato di cui al citato art. 15 della legge n. 47 del 1948 per aver affisso manifesti raffiguranti, in alcuni casi, un feto umano ricoperto di sostanza ematica e, in altri, la testa di un feto sorretto da una pinza chirurgica;

che — richiamando l’ordinanza della Corte di cassazione del 17 febbraio 1999, con la quale era stata sollevata analoga questione di costituzionalità — il rimettente ritiene che la norma denunciata violi "verosimilmente" il principio di determinatezza dell’illecito penale, di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto il concetto di "possibile turbamento" del "comune sentimento della morale" risulterebbe generico ed indeterminato, al punto da non consentire di individuare lo stesso oggetto giuridico del reato: convinzione, questa, corroborata anche dall’assenza di un "sicuro insegnamento giurisprudenziale", che consenta di meglio delineare i confini della fattispecie per via di interpretazione;

che sarebbe altresì compromesso l’art. 21, sesto comma, Cost., che vieta le sole pubblicazioni contrarie al buon costume, giacchè la disposizione censurata, punendo le pubblicazioni contrarie alle "morale comune" — concetto più ampio di quello di "buon costume" — dilaterebbe l’ambito degli illeciti in materia di stampa al di là dei limiti stabiliti dal precetto costituzionale;

che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che i dubbi sollevati dal giudice rimettente in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 sono già stati scrutinati da questa Corte con esito negativo (cfr. sentenza n. 293 del 2000, pronunciata a seguito dell’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione richiamata dal giudice a quo);

che questa Corte ha in particolare rilevato che la norma impugnata, nel vietare gli stampati idonei a "turbare il comune sentimento della morale", pone come termine di riferimento dell’offesa quel "contenuto minimo", comune alle diverse concezioni etiche presenti nella società contemporanea, che si identifica sostanzialmente "nel rispetto della persona umana": valore, questo, "che anima l’art. 2 Cost.", alla luce del quale va dunque letta la previsione punitiva denunciata;

che, in tale chiave interpretativa, restano quindi escluse sia la violazione del principio di determinatezza dell’illecito penale, dato che la norma incriminatrice, pur facendo indubbiamente perno su concetti elastici, trova il suo limite di operatività nella tutela della dignità umana — "valore costituzionale che permea di sè il diritto positivo" — con conseguente insussistenza del pericolo di arbitrarie dilatazioni; sia la violazione dell’art. 21, sesto comma, Cost., il quale, tra l’altro — nel vietare le pubblicazioni contrarie al buon costume — "demanda alla legge la predisposizione di meccanismi e strumenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni del precetto costituzionale";

che l’odierna ordinanza di rimessione non allega alcun profilo nuovo rispetto a quelli in precedenza esaminati;

che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), sollevata, in riferimento agli artt. 21, sesto comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lucca con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2002.