ORDINANZA N. 89
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 25 febbraio 2000, n. 35 (recte: decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35), promosso con ordinanza emessa l’11 maggio 2000 dal Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di P. S., iscritta al n. 178 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ordinanza emessa l’11 maggio 2000 nel corso di un processo penale nei confronti di persone imputate del reato di peculato militare, il Tribunale militare di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 25 febbraio 2000 (recte: del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35) in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non esclude dal regime probatorio ivi previsto "le deposizioni rese a discarico dell’imputato";
che il rimettente premette, in punto di fatto, che a fronte dell’esercizio da parte di un coimputato, in sede dibattimentale, della facoltà di non rispondere ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., il difensore di uno degli imputati aveva chiesto l’acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali di interrogatorio resi dal coimputato nella fase delle indagini preliminari e contenenti dichiarazioni favorevoli al proprio assistito, in forza dell’art. 1 del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35: richiesta alla quale, peraltro, il pubblico ministero non aveva prestato il proprio consenso;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale rimettente rileva come il principio del contraddittorio nella formazione della prova, enunciato dall’art. 111 Cost., si presti a due diverse interpretazioni, la prima delle quali, attribuendo valore assoluto al precetto, implicherebbe l’inutilizzabilità di tutte le dichiarazioni comunque rese nella fase delle indagini, comprese quelle, "non confermate in dibattimento, favorevoli all’imputato";
che, a parere del giudice a quo, tale prospettiva interpretativa contrasterebbe tuttavia con l’autentica ratio della regola del contraddittorio, la quale dovrebbe considerarsi posta a tutela dell’imputato e del suo interesse ad ottenere il riconoscimento della completa innocenza, ponendosi dunque in funzione strumentale rispetto al principio dell’inviolabilità del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., con la conseguenza che il divieto di utilizzazione si riferirebbe " solo alle prove di colpevolezza, e non a quelle di innocenza";
che, in questa prospettiva, la norma denunciata, non distinguendo, ai fini del divieto di utilizzazione da essa sancito, tra "dichiarazioni di accusa e dichiarazioni di difesa", verrebbe a porsi in contrasto con il combinato disposto dei due precetti costituzionali dianzi indicati;
che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata: ciò in ragione dell’erroneo presupposto da cui muoverebbe il rimettente, il quale sovrapporrebbe i due diversi profili dell’acquisizione e della valutazione della prova, facendo derivare dalle regole di quest’ultima la disciplina della prima.
Considerato che il Tribunale militare di Torino solleva, in riferimento agli artt. 111 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.1 del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, nella parte in cui, "non distinguendo tra dichiarazioni di accusa e dichiarazioni di difesa", impedirebbe di acquisire agli atti del fascicolo del dibattimento e di utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da soggetti che, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., si siano avvalsi in dibattimento della facoltà di non rispondere, anche se il contenuto delle precedenti dichiarazioni sia favorevole all’imputato e rilevante al fine dell’accertamento della sua innocenza;
che, peraltro, tenuto conto dell’assenza di "diritto vivente" e della circostanza che la norma censurata é volta a dare attuazione, in via transitoria, allo stesso precetto costituzionale in tema di "giusto processo" assunto a parametro, il Tribunale rimettente ha omesso di operare il doveroso scrutinio circa la praticabilità di una lettura della norma conforme ai principi costituzionali, come ricostruiti dal medesimo giudice a quo;
che, infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, sentenza n. 350 del 1997; ordinanza n. 7 del 1998), quanto meno in assenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, "il giudice ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali", configurandosi, altrimenti, la questione di costituzionalità quale improprio strumento rivolto ad ottenere "l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito" (v. sentenza n. 356 del 1996; ordinanze n. 466 del 2000; n. 367 del 2001; n. 7 del 1998);
che la censura prospettata si profila quale mero dubbio interpretativo, sollevato senza adeguata verifica di una possibile interpretazione conforme ai parametri costituzionali invocati, con la conseguenza che, a prescindere da ogni valutazione sulla correttezza o meno della ricostruzione del quadro normativo coinvolto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale militare di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2002.