ORDINANZA N.83
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 2 e 3, lettera b), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, promosso con ordinanza emessa il 27 febbraio 2001 dalla Corte di assise di appello di Lecce nel procedimento penale a carico di G. D., iscritta al n. 491 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che la Corte di assise di appello di Lecce solleva, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 2 e 3, lettera b), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, nella parte in cui, verificandosi le condizioni previste dalla stessa norma, consente all’imputato di chiedere, ai fini previsti dall’art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, che il giudizio sia immediatamente definito, anche quando la rinnovazione del dibattimento in appello sia stata disposta su richiesta del pubblico ministero;
che a tal riguardo la Corte rimettente rileva come, essendo stata nella specie disposta la rinnovazione del dibattimento su richiesta del procuratore generale, l’accoglimento della domanda di rito abbreviato formulata dall’imputato impedirebbe l’assunzione della prova richiesta dalla controparte: sicchè – deduce il giudice a quo – un istituto premiale, che però implica la rinuncia per l’imputato ad avvalersi delle facoltà processuali che gli spettano in dibattimento, finisce per risolversi in un "vantaggio", in quanto da esso deriva per l’altra parte la preclusione all’esercizio di un proprio potere. Conseguenza, questa, che la Corte rimettente reputa "aberrante", e tale da alterare "profondamente l’equilibrio processuale fra le parti e la posizione di parità prevista dall’art. 111, comma 2, della Costituzione";
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che questa Corte, nella sentenza n. 115 del 2001, successiva alla pronuncia della ordinanza di rimessione, ha reputato non irragionevole ed in linea con il principio della parità tra le parti sancito dall’art. 111, secondo comma, Cost., l’omessa previsione – quanto al giudizio abbreviato – di un potere di iniziativa probatoria del pubblico ministero, analogo a quello attribuito all’imputato che abbia presentato richiesta di rito abbreviato;
che tali conclusioni valgono evidentemente ad escludere, a fortiori, qualsiasi dubbio di costituzionalità di una previsione che, come quella ora censurata, si limita a consentire in via transitoria la celebrazione del giudizio alternativo in grado di appello – ove sia stata disposta la rinnovazione della istruzione dibattimentale ai sensi dell’art. 603 del codice di rito – precludendo, in capo ad entrambe le parti processuali, esclusivamente la nuova attività probatoria, per di più non come dato normativo, ma come conseguenza "pratica" che deriva dalla natura stessa del rito;
che, d’altra parte, sempre sul versante del giudizio abbreviato, questa Corte ha anche avuto modo di ribadire che il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato, giacchè una diversità di trattamento può risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza – senz’altro non superati nella ipotesi di specie – sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia. Esigenze, dunque, fra le quali ben può essere annoverata anche quella di pervenire ad "una rapida e completa definizione dei processi" (v. ordinanza n. 421 del 2001);
che, a proposito della specifica disposizione oggetto di impugnativa, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare la ratio che sta al fondo della particolare ampiezza con la quale é stata prevista una sorta di "restituzione nel termine" per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, nel caso di reati punibili con la pena dell’ergastolo (v. ordinanza n. 99 del 2001): sicchè, risultando conforme a Costituzione la iscrivibilità, in via transitoria, del rito alternativo anche nel giudizio di appello, restano per ciò solo dissolti i dubbi di legittimità relativi agli "effetti" (mancata rinnovazione della istruzione dibattimentale) che dalla celebrazione di quel rito conseguono;
che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 2 e 3, lettera b), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di assise di appello di Lecce con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 marzo 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2002.