ORDINANZA N.426
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 448, comma 1, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino con ordinanza emessa il 30 ottobre 2000 e dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cremona con ordinanza emessa il 9 gennaio 2001, rispettivamente iscritte ai nn. 142 e 155 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 448, comma 1, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare possa pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. anche in caso di dissenso del pubblico ministero, se ritiene fondata la richiesta dell'imputato di applicazione della pena;
che il giudice a quo - premesso che l'imputato ha formulato richiesta di applicazione della pena e che il pubblico ministero ha negato il proprio consenso - rileva che l'art. 448 cod. proc. pen. prevede che la valutazione sulla fondatezza del dissenso del pubblico ministero sia demandata al giudice del dibattimento, e che soltanto quest'ultimo sarebbe legittimato, anche nella fase degli atti preliminari al dibattimento e nonostante il dissenso del pubblico ministero, ad applicare la pena chiesta dall'imputato;
che tuttavia, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, l'udienza preliminare non assolverebbe più la mera funzione di "filtro contro le imputazioni azzardate", ma costituisce il primo momento di una approfondita valutazione, estesa anche a profili di merito, della fondatezza dell'ipotesi accusatoria e "della sufficienza e idoneità degli elementi raccolti dal p.m. nella fase delle indagini preliminari ad ottenere una pronuncia di colpevolezza";
che tale riforma, pur avendo inciso profondamente sulla funzione dell'udienza preliminare e sui poteri del giudice, anche allo scopo di ridurre il numero dei processi da celebrare in sede dibattimentale, avrebbe incomprensibilmente e irragionevolmente lasciato inalterata la disciplina che preclude al giudice dell'udienza preliminare, in caso di dissenso del pubblico ministero, di valutare la proposta di patteggiamento davanti a lui formulata, imponendogli di rimettere tale valutazione al giudice del dibattimento, chiamato a decidere sulla base degli stessi atti sottoposti all'esame del giudice dell'udienza preliminare;
che a parere del rimettente tale disciplina, precludendo al giudice dell'udienza preliminare di pronunciare direttamente sentenza di patteggiamento se ritiene fondata la richiesta dell’imputato e ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost.;
che la disposizione censurata violerebbe anche il "principio del buon andamento della pubblica amministrazione", in quanto impone l'espletamento di adempimenti finalizzati all'instaurazione del giudizio, impegna un'udienza dibattimentale e costringe alla citazione dei testimoni, con un aggravio di costi e un appesantimento della macchina giudiziaria assolutamente superflui;
che l'instaurazione di un'ulteriore, inutile, fase processuale sarebbe infine in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo formulato dall'art. 111, secondo comma, Cost.;
che analoga questione é stata sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cremona, con riferimento agli artt. 97 e 111 Cost.;
che ad avviso del rimettente l'art. 448 cod. proc. pen., in quanto non consente al giudice dell'udienza preliminare di effettuare la medesima valutazione demandata al giudice del dibattimento in caso di dissenso del pubblico ministero sulla richiesta di patteggiamento dell’imputato, comporterebbe una "capitis deminutio" del tutto ingiustificata a fronte "dei poteri - e delle garanzie di terzietà - che l'attuale ordinamento attribuisce al giudice dell'udienza preliminare, già chiamato a decidere in relazione alle ipotesi di applicazione pena e giudizio abbreviato";
che la disciplina censurata violerebbe, di conseguenza, l'art. 111 Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del processo, e l'art. 97 Cost., a causa dell'aggravio ingiustificato di spese e dell'impegno di risorse della pubblica amministrazione;
che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
Considerato che i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della disciplina dettata dal comma 1 dell’art. 448 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede, ove il pubblico ministero abbia negato il consenso alla richiesta di patteggiamento avanzata dall'imputato in udienza preliminare, che la valutazione sulla fondatezza della richiesta spetti esclusivamente al giudice del dibattimento, che sarebbe legittimato ad applicare la pena richiesta anche prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sulla base degli stessi atti sottoposti all'esame del giudice dell'udienza preliminare, e non anche a tale giudice;
che le due ordinanze sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale e che deve pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che in sostanza i rimettenti chiedono un'estensione della portata del secondo periodo del comma 1 dell'art. 448 cod. proc. pen., tale da consentire al giudice dell'udienza preliminare di decidere sulla richiesta di applicazione della pena in caso di dissenso del pubblico ministero, sul presupposto che la norma censurata riconosca analogo potere al giudice del dibattimento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, a prescindere dal consenso del pubblico ministero;
che la disciplina dettata dal secondo periodo del comma 1 dell'art. 448 cod. proc. pen., nell'interpretazione datane dai rimettenti - secondo cui al giudice del dibattimento, permanendo il dissenso del pubblico ministero, sarebbe riconosciuto il potere di accogliere la richiesta di patteggiamento in limine litis - si porrebbe in contrasto con la struttura negoziale che caratterizza l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto verrebbe ad espropriare il pubblico ministero del suo potere di concorrere, in condizioni di parità con l'imputato, alla scelta del rito, e sacrificherebbe l'esercizio del suo diritto alla prova in dibattimento (v. ordinanza n. 127 del 1993);
che é invece conforme all'essenza dell'istituto in esame che il potere di pronunciare sentenza di applicazione della pena malgrado il dissenso del pubblico ministero possa essere esercitato, ex art. 448, comma 1, quarto periodo, cod. proc. pen., solo dopo la chiusura del dibattimento, quando il giudice é posto in grado di valutare, in esito alle risultanze dell'istruzione dibattimentale, se le ragioni del dissenso del pubblico ministero erano giustificate;
che tale interpretazione logico-sistematica non é in contrasto con il tenore letterale della disposizione, che al secondo periodo del comma 1 si limita a prevedere la facoltà dell'imputato di rinnovare la richiesta di applicazione della pena prima dell'apertura del dibattimento, mediante una formulazione che non esclude che la richiesta debba essere corredata del consenso del pubblico ministero, secondo quanto disposto in via generale dall'art. 444 cod. proc. pen., cui rinvia il primo periodo del comma 1 dell'art. 448;
che anzi, a prescindere dal problema se sia ammissibile una mera reiterazione della precedente richiesta, il termine "rinnovare" sembra evocare il significato di "nuova richiesta", in ordine alla quale non potrebbe, evidentemente, prescindersi dal consenso del pubblico ministero, a pena di stravolgere la fisionomia dell'istituto del "patteggiamento";
che tali considerazioni circa l'erroneità del presupposto interpretativo assunto dai rimettenti come tertium comparationis si riflettono sulla specifica questione oggetto del presente giudizio di costituzionalità, già dichiarata manifestamente infondata durante la vigenza della disciplina antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999 con ordinanza n. 488 del 1994, posto che i maggiori poteri di integrazione probatoria e decisori riconosciuti al giudice dell'udienza preliminare dalla legge n. 479 del 1999, addotti dal rimettente a sostegno della questione, non esercitano alcuna influenza sulla struttura negoziale del patteggiamento;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 448, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, dai Giudici dell'udienza preliminare dei Tribunali di Torino e di Cremona, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.