Sentenza n. 345/2001

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SENTENZA N.345

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Massimo VARI, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno n. 1070/M/22(6) Gab. del 4 marzo 2000, relativo alla delegabilità delle attività di polizia giudiziaria ai servizi centrali delle varie forze di polizia da parte dei Procuratori della Repubblica, promosso con ricorso del Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, notificato il 30 novembre 2000, depositato in cancelleria il 13 dicembre 2000 e iscritto al n. 60 del registro conflitti 2000.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Dott. Raffaele Cantone e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, quale Procuratore distrettuale a norma dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., con ricorso depositato l’11 maggio 2000, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell’interno 4 marzo 2000, n. 1070/M/22 (6) Gab., assumendo la lesione delle attribuzioni riconosciute al pubblico ministero dagli artt. 109 e 112 della Costituzione.

2.1. – Premesse talune argomentazioni (a) quanto alla propria legittimazione attiva, (b) quanto alla legittimazione passiva del Governo e, per esso, del Presidente del Consiglio dei ministri, e (c) quanto all’interesse attuale alla proposizione del conflitto, il ricorrente Procuratore della Repubblica muove dalla norma primaria - richiamata espressamente dalle premesse del decreto ministeriale impugnato - della quale quest’ultimo costituisce attuazione e svolgimento, cioé dall’art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

Questa disposizione, ricompresa in un contesto di legislazione speciale degli anni 1991-1992 finalizzata a contrastare la criminalità organizzata, é contenuta in un capo del decreto-legge, il VI, intitolato "Coordinamento dei servizi di polizia giudiziaria", e ciò ne illustra già – sottolinea il ricorrente - la ratio legislativa. L’articolo 12 citato prevede: (a) al comma 1, la costituzione di servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, "per assicurare il collegamento delle attività investigative relative a delitti di criminalità organizzata"; (b) al comma 2, la possibilità che in determinate aree e per determinate esigenze siano costituiti servizi interforze; (c) al comma 3, la possibilità di un coordinamento dei nuovi servizi con altri servizi di polizia giudiziaria, oltre che con organi di polizia esteri; (d) al comma 4, infine, la facoltà per il pubblico ministero che procede per delitti di criminalità organizzata di avvalersi "di regola, congiuntamente, dei servizi di polizia giudiziaria" ai quali, secondo i commi 1 e 2 sopra detti, é attribuito il compito di svolgere le indagini relative a tale categoria di delitti.

Dalla disposizione risulta dunque – osserva il ricorrente – che il pubblico ministero può avvalersi, per le proprie indagini, sia dei servizi centrali e interprovinciali (comma 1), sia dei servizi interforze, qualora istituiti (comma 2), e che non può sorgere alcun dubbio circa la qualifica di organi di polizia giudiziaria di tutte e tre le tipologie di servizi sopra dette: in tal senso orientano sia la ricordata rubrica del capo, sia la possibilità di coordinamento con "altri" servizi (comma 3) di polizia giudiziaria, sia infine la natura dell’attività in vista della quale gli organi sono istituiti, consistente in compiti - delegati dal pubblico ministero – riconducibili alla funzione di polizia giudiziaria, a norma del codice di procedura penale.

Una volta inquadrate le strutture in esame nell’ambito degli organi che esercitano funzioni di polizia giudiziaria – prosegue il ricorrente – ne deriva che i servizi cui ha riguardo il decreto ministeriale, alla luce dell’art. 109 della Costituzione, debbono essere (senza eccezioni, secondo quanto affermato nella sentenza n. 122 del 1971 della Corte costituzionale) a diretta disposizione dell’autorità giudiziaria, e in particolare del pubblico ministero, conformemente a quanto stabilito dall’art. 58, comma 3, cod. proc. pen., che rappresenta una "diretta esplicazione del principio costituzionale".

2.2 - E’ alla stregua di questa premessa, prosegue il ricorrente, che deve essere valutato l’intervento dell’esecutivo che, attraverso il decreto ministeriale del 4 marzo 2000, disciplina i compiti dei servizi centrali e interprovinciali.

A tale riguardo, benchè a una prima lettura dell’art. 1 del decreto ministeriale possa sembrare che ai servizi centrali non siano riconosciuti poteri di indagine, essendo l’accento collocato su "compiti di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico relativamente alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali in materia di contrasto della criminalità organizzata" [secondo quanto recita l’art. 1, lettera a), primo periodo, del decreto], tuttavia la medesima disposizione attribuisce ai responsabili dei servizi interprovinciali la facoltà di segnalare ai Procuratori della Repubblica distrettuali la necessità di richiedere il "concorso" dei servizi centrali alle attività di indagine in presenza di certe condizioni e cioé quando si tratti di indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni criminali che operano nell’ambito di più distretti o con collegamenti internazionali e il suddetto "concorso" investigativo sia ritenuto utile ai fini dello svolgimento di accertamenti che richiedono il supporto di speciali risorse investigative umane e materiali, quali sono disponibili dai servizi centrali medesimi [lettera a), secondo periodo].

La disposizione in esame, dunque, anzichè presupporre in via generale i poteri investigativi dei servizi centrali, li disciplina in collegamento con specifiche fattispecie – caratterizzate da particolare gravità e da esigenze di ampliamento del quadro di investigazione - nelle quali assume rilievo la valutazione e l’iniziativa – la "segnalazione" al Procuratore distrettuale della Repubblica – da parte dei servizi interprovinciali.

L’esposta disciplina, afferma ancora il ricorrente, non potrebbe poi, sotto altro profilo, essere interpretata nel senso che, prima delle "segnalazioni" sopra ricordate, ai servizi centrali non sia affidato alcun potere investigativo e che pertanto, prima di quel momento, l’autorità giudiziaria non possa dolersi della lesione delle proprie prerogative costituzionali in materia di utilizzazione e disponibilità della polizia giudiziaria. Ad avviso del Procuratore della Repubblica di Napoli, infatti, il decreto del 4 marzo 2000 per il quale é promosso il conflitto ha voluto proprio ripristinare i poteri investigativi dei servizi centrali, poteri che erano stati – secondo il ricorrente in modo illegittimo, perchè in contrasto con la disposizione di rango legislativo – esclusi dall’originaria versione dell’art. 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’interno 25 marzo 1998 [n. 1070/M/22 (4) Gab.], ora sostituito con l’atto impugnato. La tesi contraria, oltre a essere contraddetta dalla lettera dell’art. 12 del decreto-legge n. 152 del 1991, condurrebbe alla irragionevole configurazione di una potestà investigativa esercitabile solo in modo "intermittente" da parte dei servizi centrali, in quanto condizionata da una sorta di pregiudiziale attivazione dei servizi interprovinciali, con evidenti ricadute negative proprio rispetto alle esigenze di efficienza operativa e di tempestività che giustificano l’intervento dei primi.

In definitiva, il Procuratore ricorrente ritiene che i servizi centrali siano titolari di poteri di investigazione propri, che essi mettono in opera quando, in presenza delle segnalazioni dei servizi interprovinciali e all’esito dello svolgimento delle proprie funzioni di analisi e raccordo informativo, emergano le condizioni richieste dalla normativa (carattere pluridistrettuale o internazionale dell’indagine sui delitti di criminalità organizzata, a norma dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., e necessità di uno speciale supporto operativo o di tecnologie d’avanguardia).

2.3. - Su queste premesse, il ricorrente ricostruisce la possibilità, per l’autorità giudiziaria, di avvalersi dell’apporto dei servizi centrali, quale delineata dall’impugnato decreto del Ministro dell’interno, secondo un complesso iter procedurale, così sintetizzabile: (a) il Procuratore distrettuale della Repubblica investe ("eventualmente") delle indagini un servizio interprovinciale; (b) il responsabile di quest’ultimo servizio può segnalare al Procuratore della Repubblica la necessità di richiedere il "concorso" alle attività di indagine dei servizi centrali, se ricorrono congiuntamente le condizioni richieste ("indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni criminali che operano nell’ambito di più distretti di Corte d’Appello o con collegamenti internazionali"; utilità dell’apporto dei servizi centrali "ai fini dello svolgimento di accertamenti che richiedono il supporto operativo di speciali risorse investigative ovvero l’impiego di mezzi tecnologici d’avanguardia"); (c) il Procuratore distrettuale della Repubblica, destinatario della segnalazione di cui sopra, "inoltra" – senza apparenti margini di discrezionalità – la richiesta di "concorso" investigativo, e dunque la delega di indagini, al servizio centrale, sempre per il tramite del servizio interprovinciale; (d) inoltre, prima di inviare la "richiesta" – cioé la delega di indagini – il Procuratore distrettuale della Repubblica deve anche tenere conto delle indicazioni offerte dal Procuratore nazionale antimafia, secondo quanto prescrive il terzo alinea della lettera a) dell’art. 1 del decreto ministeriale in argomento.

2.4. – Ad avviso del ricorrente, il sistema sopra esposto lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, in primo luogo perchè sottrae alla diretta disponibilità di quest’ultimo un corpo – il servizio centrale di cui all’art. 12 del decreto-legge n. 152 del 1991 – che, come rilevato nelle premesse sopra dette, é inquadrato nella polizia giudiziaria.

Il ricorso al servizio di polizia giudiziaria da parte dell’autorità giudiziaria, infatti, in contrasto con la disciplina legislativa del processo (artt. 56, 58, comma 3, 327 e 370 cod. proc. pen.) e quindi con lo stesso art. 109 della Costituzione, viene a essere subordinato alle valutazioni effettuate, con notevoli profili di discrezionalità, da altri soggetti, inquadrati nelle strutture di un altro potere dello Stato, e precisamente dal responsabile del servizio interprovinciale, cui é affidato l’apprezzamento circa la sussistenza dei presupposti richiesti dalla disciplina per potere attivare l’intervento del servizio. E sotto questo profilo una riprova della lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria – aggiunge il ricorrente – é anche nella circostanza che il Procuratore nazionale antimafia, con propri atti, ha manifestato l’intento di esercitare i poteri di "indicazione" dei quali é menzione nel decreto impugnato, non già attraverso direttive generali, bensì con specifiche valutazioni, di volta in volta, delle singole segnalazioni dei servizi interprovinciali.

Un ulteriore profilo di conflitto, poi, é ravvisato nel necessario "passaggio" attraverso i servizi periferici delle richieste del Procuratore della Repubblica indirizzate ai servizi centrali, escludendosi la possibilità per il pubblico ministero di investire direttamente questi ultimi senza che ne siano informati i servizi periferici: ciò, oltre a vulnerare ulteriormente la potestà, costituzionalmente garantita, di disporre autonomamente della polizia giudiziaria, arreca violazione al potere di autodeterminazione del pubblico ministero circa l’ambito di segretezza delle attività di indagine (art. 329 cod. proc. pen.), valevole anche nei riguardi di altri apparati istituzionali.

Inoltre, ulteriore specifico profilo di censura é formulato dal ricorrente in relazione alla preclusione – alla stregua dell’anzidetta ricostruzione della disciplina contenuta nel decreto – per il Procuratore della Repubblica di investire i servizi centrali di richieste investigative connesse a indagini che abbiano estensione infradistrettuale, ciò che ulteriormente si pone in contraddizione con le prerogative costituzionali di diretta e autonoma disponibilità della polizia giudiziaria.

Con l’impostazione recata dal decreto impugnato, afferma in conclusione il ricorrente, si sovverte, creando un pericoloso precedente, il rapporto tra Procuratore della Repubblica e polizia giudiziaria: almeno quando il pubblico ministero intenda utilizzare il servizio di polizia giudiziaria indicato nell’art. 12 del decreto-legge n. 152, non é questa a essere subordinata al primo, ma é il contrario. E anche a voler ritenere – ma contro l’interpretazione che il ricorrente ritiene, come detto sopra, l’unica possibile - che i poteri di investigazione dei servizi centrali non preesistano alle "segnalazioni" dei servizi periferici, ma a queste conseguano, comunque una così anomala articolazione tra autorità di polizia periferiche e centrali non può, conclude il Procuratore, risolversi in danno delle attribuzioni riconosciute al pubblico ministero: (a) dall’art. 109 della Costituzione, per la sottrazione dei servizi di cui si tratta alla diretta disponibilità dell’autorità giudiziaria, e (b) dall’art. 112 della Costituzione, poichè solo la anzidetta disponibilità, senza interferenze da parte del potere esecutivo, garantisce l’esercizio obbligatorio dell’azione penale (sentenza n. 114 del 1968).

2.5. - Per tali rilievi, il Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, promuovendo il conflitto in relazione al decreto del Ministro dell’interno 4 marzo 2000, chiede alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta al Governo – e, per esso, al Ministro dell’interno – disporre: (a) che la richiesta di concorso investigativo dei servizi centrali sia subordinata alla segnalazione dei servizi periferici, anzichè essere attivabile in via autonoma dal Procuratore distrettuale della Repubblica; (b) che la segnalazione dei servizi periferici renda obbligatoria la richiesta del Procuratore distrettuale; (c) che la richiesta al Procuratore distrettuale debba essere inoltrata ai servizi centrali tramite i servizi periferici; (d) che il Procuratore distrettuale della Repubblica non possa utilizzare i servizi centrali per attività di indagine di estensione infradistrettuale; conseguentemente, chiede di annullare il decreto nelle parti correlative.

3. – Il conflitto così promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri é stato dichiarato ammissibile da questa Corte, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, con ordinanza n. 521 del 2000. Il ricorso, unitamente all’ordinanza, é stato notificato al Governo, a cura del ricorrente, nel termine assegnato, e quindi depositato in data 13 dicembre 2000, entro il termine stabilito dall’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.1. – Nel giudizio così promosso si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato.

Nell’atto di costituzione in giudizio, il Governo resistente osserva che, secondo l’art. 109 della Costituzione, l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, con una statuizione cui si ricollega la disposizione dell’art. 12, comma 5, del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, e che il decreto per il quale é stato promosso il conflitto non pregiudica in alcun modo tale disponibilità; ma – rileva l’Avvocatura – non potrebbe da ciò desumersi che all’autorità giudiziaria spetti anche disporre sulla polizia giudiziaria, cioé relativamente all’organizzazione e alle procedure che concernono quest’ultima.

Dopo l’istituzione dei servizi a norma dell’art. 12 del decreto-legge n. 152 del 1991, sia centrali che interprovinciali, é sorta, in concreto, l’esigenza di ripartire e coordinare il lavoro investigativo, in particolare per evitare un sovraccarico di richieste e di ordini diretti al servizio centrale per compiti più agevolmente eseguibili dai servizi interprovinciali. A fronte di questo rilievo, espressivo delle normali esigenze organizzative di un qualsiasi ufficio, la rivendicazione del ricorrente Procuratore della Repubblica di Napoli di esercitare un potere totalmente libero di attivare l’una o l’altra delle strutture investigative create con la normativa del 1991 risulterebbe, secondo l’Avvocatura, priva di fondamento, giacchè la mancanza di una regolazione delle procedure e il sovrapporsi casuale di richieste rivolte ai servizi possono determinare effetti controproducenti per la funzionalità dei medesimi, pur messi "a disposizione" dell’autorità giudiziaria. Il ricorso per conflitto appare dunque impostato, per l’Avvocatura, secondo una logica sia di impropria dilatazione del parametro invocato (art. 109), sia di incompleta considerazione di tutti i poteri implicati, e di esso il Governo resistente chiede il rigetto.

4.2. – L’Avvocatura dello Stato ha successivamente depositato una memoria, nella quale prospetta una lettura complessiva del decreto ministeriale impugnato diversa da quella da cui muove il ricorrente, tale da assegnare all’atto portata e contenuto differenti e dunque da fare venir meno le premesse delle censure.

Il decreto - osserva l’Avvocatura - é finalizzato al migliore utilizzo delle risorse specialistiche di cui dispongono i servizi centrali, per fornire il più efficace supporto alle attività investigative affidate ai servizi interprovinciali: esso, pertanto, é un atto di organizzazione indirizzato ai servizi, come é del resto fatto palese in una delle premesse, che tiene ferme "le competenze attribuite alle autorità giudiziarie dal codice di procedura penale".

Muovendo da questo presupposto, nulla esclude, nel decreto impugnato, che il Procuratore distrettuale della Repubblica possa richiedere autonomamente il concorso investigativo dei servizi centrali, nè per converso può riconoscersi – come invece afferma il ricorrente – un autonomo ed esclusivo potere di valutazione da parte dei servizi interprovinciali circa la ricorrenza delle condizioni per richiedere l’anzidetto apporto: nel sistema delineato dal decreto, per il coinvolgimento dei servizi centrali nell’attività di indagine, si presuppone pur sempre una valutazione positiva, da parte dell’autorità giudiziaria, dell’esigenza espressa dai servizi interprovinciali, i quali potranno inoltrare le richieste se e quando il Procuratore distrettuale lo ritenga opportuno. Nè, ancora, potrebbe desumersi, dal testo del decreto impugnato, alcuna preclusione per il Procuratore distrettuale di richiedere, direttamente e autonomamente, attività di investigazione anche di estensione infradistrettuale. Infine, quanto al richiamo, contenuto nel decreto, alle "indicazioni" del Procuratore nazionale antimafia, si tratterebbe, per l’Avvocatura, di una disposizione puramente ricognitiva della disciplina legislativa (art. 371-bis cod. proc. pen.).

Il decreto ministeriale, da interpretare nel modo esposto e dunque secondo una lettura non restrittiva nè rigidamente prescrittiva delle procedure ivi delineate, si collega ai poteri, di coordinamento investigativo e operativo tra i diversi organismi, che sono attribuiti al Procuratore distrettuale della Repubblica, al quale soltanto compete definire modi e ambiti dell’intervento dei servizi: una potestà di direzione e coordinamento che, osserva ulteriormente l’Avvocatura, non richiede una esplicita enunciazione e che é presupposta dal decreto, il quale deve essere inserito nel contesto della normativa vigente.

Una volta che sia escluso, alla stregua delle considerazioni sopra dette, che il decreto rivesta i caratteri che a esso sono attribuiti dal ricorrente, e valutata la sua natura di atto di indirizzo che, come tale, non potrebbe comunque introdurre limiti quanto alla diretta disponibilità della polizia giudiziaria da parte del pubblico ministero, se ne trae la conclusione secondo cui la disciplina recata dal decreto medesimo é semplicemente da inserire nell’alveo della ripartizione di compiti e negli schemi procedimentali altrove (codice di procedura penale) delineati, relativamente all’acquisizione delle notizie di reato e allo svolgimento delle indagini di polizia giudiziaria; il Governo resistente chiede quindi una pronuncia di rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. – Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, in qualità di Procuratore distrettuale (art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.), solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente al decreto del Ministro dell’interno 4 marzo 2000, con riferimento ad alcune parti di esso che, ad avviso del ricorrente, conterrebbero prescrizioni lesive delle competenze costituzionalmente spettanti al pubblico ministero, alla stregua degli artt. 109 e 112 della Costituzione.

Il decreto in questione, all’art. 1, detta norme in sostituzione dell’art. 1, lettera a), del decreto ministeriale 25 marzo 1998, in tema di organizzazione dei servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, istituiti con l’art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. Sulla base della "ravvisata [...] necessità di introdurre ulteriori criteri volti a favorire la migliore utilizzazione delle risorse specialistiche destinate all’espletamento delle attività investigative relative ai delitti indicati nell’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale" e "considerata, in particolare, l’esigenza di assicurare, ferme restando le competenze attribuite alle autorità giudiziarie dal codice di procedura penale, un più efficace supporto alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza attraverso il concorso dei rispettivi servizi centrali", la normativa che il Procuratore della Repubblica ritiene lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali, dopo avere previsto la "attribuzione ai servizi centrali di compiti di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico relativamente alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali in materia di contrasto della criminalità organizzata", stabilisce che "per le indagini di polizia giudiziaria relative ai delitti indicati nell’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, i responsabili dei servizi interprovinciali possono segnalare ai Procuratori della Repubblica distrettuali la necessità di richiedere il concorso alle attività di indagine dei servizi centrali qualora si tratti di indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni criminali che operano nell’ambito di più distretti di Corte d’Appello o con collegamenti internazionali e il concorso sia ritenuto utile ai fini dello svolgimento di accertamenti che richiedono il supporto operativo di speciali risorse investigative ovvero l’impiego di mezzi tecnologici d’avanguardia". La disposizione in questione prosegue prevedendo che "le richieste dei Procuratori della Repubblica distrettuali sono inoltrate dai responsabili dei servizi interprovinciali ai rispettivi servizi centrali, che dispongono i conseguenti adempimenti informando, a seconda della forza di polizia di appartenenza, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ovvero della Guardia di Finanza". Infine, é previsto che "nella formulazione delle richieste si tiene conto delle indicazioni offerte dal Procuratore Nazionale Antimafia nell’ambito dei poteri di direttiva e di impulso al medesimo attribuiti dall’art. 371-bis del codice di procedura penale".

Ad avviso del ricorrente, la normativa indicata viola le proprie attribuzioni costituzionali, quali definite dagli artt. 109 e 112 della Costituzione, in quanto – secondo il modo d’intenderla ch’esso fa proprio – prevede (a) che la richiesta di concorso investigativo dei servizi centrali sia subordinata alla segnalazione dei servizi periferici e non possa essere avanzata autonomamente e direttamente dal Procuratore distrettuale della Repubblica; (b) che la segnalazione dei servizi periferici renda obbligatoria la richiesta del Procuratore distrettuale; (c) che la richiesta del Procuratore distrettuale ai servizi centrali debba essere inoltrata tramite i servizi periferici, e (d) che i servizi centrali non possano essere utilizzati per attività d’indagine di estensione infradistrettuale. Si chiede pertanto a questa Corte di dichiarare che non spetta al Governo, e per esso al Ministro dell’interno, disporre nel modo sopra indicato e, conseguentemente, di annullare il decreto ministeriale nelle parti relative a tali disposizioni.

2. – Il presente conflitto di attribuzione é stato dichiarato ammissibile a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, essendosi riscontrata nella fase preliminare all’instaurazione del contraddittorio tanto la legittimazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli a sollevare il conflitto e del Presidente del Consiglio dei ministri a resistere, quanto l’esistenza di una lamentata lesione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto ricorrente (ordinanza n. 521 del 2000).

Non essendo sorta contestazione in proposito nel seguito del giudizio e non risultando ragioni per rivedere tale conclusione, l’ammissibilità del conflitto, sotto gli aspetti considerati, deve essere confermata.

3. – Il conflitto é invece inammissibile sotto un altro, ulteriore profilo, per le ragioni che si vengono a indicare.

4. – Il Procuratore della Repubblica ricorrente muove dalla convinzione che il decreto ministeriale impugnato disciplini - limitandoli - i poteri di disposizione della polizia giudiziaria, ritenendo che, per i suoi specifici contenuti normativi, esso violi le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Ma tale premessa é infondata.

Il decreto in questione può essere inteso soltanto quale atto normativo di organizzazione dettato dal Ministro dell’interno – secondo il preambolo del decreto stesso - per la migliore utilizzazione di strutture, quali i servizi centrali e i servizi interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, che fanno parte degli apparati di polizia dello Stato, inquadrati nelle strutture del potere esecutivo.

Esula invece dalla disciplina contenuta in tale decreto qualunque definizione vincolante dei rapporti tra tali strutture, in quanto operanti quali organi di polizia giudiziaria, e l’autorità giudiziaria: rapporti che trovano già la loro disciplina nella legge, secondo quanto specificato di seguito.

Della finalizzazione a una disciplina di semplice razionalizzazione interna agli apparati investigativi in questione, dà atto lo stesso decreto ministeriale impugnato il quale, come si é dianzi ricordato, in una proposizione del suo preambolo riconosce espressamente che le competenze attribuite alle autorità giudiziarie dal codice di procedura penale "restano ferme". Il codice di procedura penale stabilisce (art. 58, comma 3) che "l’autorità giudiziaria [...] può [...] avvalersi di ogni servizio o altro organo di polizia giudiziaria"; attribuisce (art. 327) al pubblico ministero la direzione delle indagini preliminari e la disponibilità diretta della polizia giudiziaria e prevede (art. 56) che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria – oltre che dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato [lettere b) e c)] – "dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge" [lettera a)].

Per quanto riguarda infine specificamente i procedimenti per i delitti indicati dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, il quadro anzidetto si completa con l’art. 371-bis del codice medesimo, dettato allo scopo di istituire un’attività di coordinamento delle indagini relative. A tal fine, si prevede che il Procuratore nazionale antimafia – organo del pubblico ministero preposto alla Direzione nazionale antimafia istituita nell’ambito della procura generale presso la Corte di cassazione, a norma dell’art. 76-bis del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8 – dispone della Direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi (comma 1) ed esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali, al fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività d’indagine, di garantire la funzionalità dell’impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni (comma 2), secondo le specificazioni contenute nel seguito dello stesso articolo.

Tra i servizi di polizia giudiziaria, di cui l’autorità giudiziaria ha la disponibilità alla stregua del quadro normativo ora riportato, indubbiamente rientrano i servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza istituiti dall’art. 12 del decreto-legge n. 152 del 1991 per il "coordinamento dei servizi di polizia giudiziaria" (secondo la "rubrica" dell’articolo stesso), dei quali il pubblico ministero, "quando procede a indagini per delitti di criminalità organizzata [...] si avvale di regola, congiuntamente", impartendo "le opportune direttive per l’effettivo coordinamento investigativo e operativo tra i diversi organismi di polizia giudiziaria" (commi 4 e 5 del medesimo art. 12). Un’ulteriore conferma della configurazione delle strutture anzidette quali servizi di polizia giudiziaria si può trarre anche dall’art. 8 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, in relazione alle indagini relative ai delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione, nonchè dall’art. 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345 (Disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, il quale, istituendo la Direzione investigativa antimafia (DIA) con funzioni, oltre che di investigazione preventiva, anche di polizia giudiziaria (comma 1), stabilisce che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria dei servizi centrali e interprovinciali in questione operino in costante collegamento con la Direzione investigativa stessa alla quale, a decorrere dal 1° gennaio 1993 (termine scaduto inutilmente), tale personale – nei contingenti e con i criteri e le modalità determinati da un decreto interministeriale – avrebbe dovuto essere assegnato. Direzione investigativa antimafia e servizi centrali e interprovinciali, infine, rientrano nella disponibilità del Procuratore nazionale antimafia, alla stregua dell’art. 371-bis del codice, il quale conferma così la loro funzione di polizia giudiziaria.

Il decreto impugnato, a sua volta, non contraddice la natura delle funzioni dei servizi, quali configurati dall’art. 12 del decreto-legge n. 152 del 1991 e dalle altre norme citate. Esso prevede l’attività d’indagine di polizia giudiziaria, relativamente ai delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., svolta dai servizi interprovinciali e l’eventualità della richiesta ai servizi centrali di "concorso" a tali indagini, qualora si tratti d’indagini aventi caratteristiche di particolare complessità, specificate nel decreto. In questo modo, viene confermata la natura di polizia giudiziaria, già prevista dalla legge, non solo dei servizi interprovinciali ma anche del servizio centrale, superandosi così i dubbi interpretativi, e anche di legittimità, sorti relativamente alla configurazione di quest’ultimo quale struttura adibita esclusivamente a compiti "di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico relativamente alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali", secondo la formulazione dell’art. 1, lettera a), del precedente decreto ministeriale 25 marzo 1998.

In quanto servizi di polizia giudiziaria, dunque, i servizi in questione e i poteri dell’autorità giudiziaria di avvalersi degli stessi ricadono pienamente nella vigente disciplina, generale e speciale, dettata nel codice di procedura penale: una disciplina che – soprattutto in relazione ai rapporti tra i poteri del Procuratore nazionale antimafia e gli altri organi del pubblico ministero – può dare luogo a problemi interpretativi ma la cui ricostruzione sistematica esula dai limiti del presente giudizio, nel quale si tratta esclusivamente di stabilire se il decreto ministeriale impugnato ha inciso, contro gli artt. 109 e 112 della Costituzione, sui poteri del pubblico ministero.

5. – La normativa dettata nel decreto ministeriale – come dianzi detto – mira a predisporre criteri di razionale utilizzazione delle strutture investigative dei servizi, onde evitare sovrapposizioni tra quello centrale e quelli periferici nonché il sovraccarico del primo nei casi in cui l’attività d’indagine richiesta può essere svolta dai secondi. A tal fine, quando si tratta di indagini di polizia giudiziaria, si prevede che i responsabili dei servizi interprovinciali "possono segnalare" ai Procuratori della Repubblica distrettuali la necessità di richiedere il concorso alle attività di indagine dei servizi centrali e che le richieste dei Procuratori, in tal caso, sono inoltrate dai responsabili dei servizi interprovinciali ai rispettivi servizi centrali. L’intera procedura prevista configura evidentemente, secondo la stessa formula utilizzata dal decreto, una delle possibilità che non esclude le altre, previste dalla legislazione vigente. In particolare, non esclude l’esercizio da parte dei Procuratori della Repubblica, nelle indagini per i delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., dei poteri di utilizzazione dei servizi di polizia giudiziaria, secondo le norme del codice di procedura penale già ricordate.

Il decreto ministeriale impugnato, dunque, contiene norme imperative per i servizi, conformemente alla sua natura e alla sua dichiarata finalità; ma, nella parte in cui la disciplina dell’attività dei servizi stessi - quali strutture di polizia giudiziaria - incontra i poteri dell’autorità giudiziaria, esso finisce per configurarsi come l’indicazione di una possibile via collaborativa ma non imperativa nè esclusiva.

6. – Da quanto precede, risulta che il Procuratore della Repubblica di Napoli già dispone pienamente dei poteri di avvalersi dei servizi di polizia giudiziaria, quali previsti dal codice di procedura penale, i quali non sono compromessi dalla normativa contenuta nel decreto ministeriale impugnato. Pertanto, essendo il conflitto orientato a rivendicare attribuzioni sulle quali l’atto impugnato non incide e delle quali il ricorrente già dispone, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell’interno 4 marzo 2000, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2001.

Massimo VARI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2001.