SENTENZA N. 122
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 220, secondo comma, del codice di procedura penale e degli artt. l, 2 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 (norme di attuazione e di coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517, concernente modificazioni al codice di procedura penale), promossi con ordinanze emesse il 14 agosto 1969 dal pretore di Chieri ed il 25 ottobre 1969 dal pretore di Recanati in procedimenti penali contro ignoti, iscritte, rispettivamente, ai nn. 364 e 470 del registro ordinanze 1969, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 269 del 22 ottobre 1969 e n. 24 del 28 gennaio 1970.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore Costantino Mortati;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento penale contro ignoti relativo al furto consumato in Santena ai danni di Conventi Stefano, il pretore di Chieri con ordinanza del 14 agosto 1969 ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 del decreto presidenziale 25 ottobre 1955, n. 932, nella parte in cui, limitando i poteri di direzione e di sorveglianza attribuiti al procuratore generale presso la Corte di appello dall'art. 220 del codice di procedura penale (secondo il nuovo testo di cui alla legge 18 giugno 1955, n. 517) nei confronti di tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria solamente a quelli di essi che le autorità amministrative da cui dipendono abbiano destinato agli speciali nuclei e squadre, e perciò escludendo che i poteri stessi possano essere esercitati anche nei confronti della generalità di essi, é venuto a violare i limiti ad esso posti dall'art. 20 della citata legge n. 517, incorrendo in violazione degli artt. 76, 77 oltre che dell'art. 109 della Costituzione.
Ritenuta la forza di legge del d.P.R. denunciato, il pretore fa anzitutto rilevare come la questione proposta sia rilevante al fine di decidere, in quanto egli si trova nella necessità di richiedere indagini supplementari al comandante la stazione carabinieri di Cambiano, nel cui territorio era stato commesso il furto, e che riveste funzione di polizia giudiziaria, e tuttavia non ha potuto farlo dato che quel funzionario non fa parte dello speciale nucleo posto alla sua dipendenza, mentre, d'altra parte, anche i due appartenenti a tale nucleo erano temporaneamente assenti dal servizio. Il pretore passa quindi ad analizzare il merito della questione osservando che certamente estraneo alla figura di norma di attuazione, che il decreto presidenziale avrebbe dovuto avere, é il limite, che l'art. 1 pone alla portata dell'art. 220 laddove stabilisce che ufficiali e agenti di polizia giudiziaria sottoposti ai poteri di direzione e vigilanza del procuratore generale sono soltanto quelli addetti ai nuclei ed alle squadre.
Il pretore osserva che, pur dovendosi escludere che l'articolo 109 imponga al legislatore la creazione di un rapporto organico fra polizia giudiziaria e magistratura, non può d'altra parte ritenersi sufficiente solo un rapporto funzionale, se esso si esaurisse solo nell'obbligo per la prima di eseguire gli ordini del giudice, occorrendo anche un insieme di poteri sanzionatori da parte di quest'ultimo per imporre l'adempimento dell'obbligo. A tale esigenza si é ispirato l'art. 220 quando ha previsto la possibilità che agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria siano irrogate sanzioni da parte del procuratore generale ove contravvengano ai loro doveri, nonché una ingerenza del medesimo nelle promozioni e nei trasferimenti di essi.
Questa corretta interpretazione legislativa dell'art. 109 é stata tuttavia frustrata dall'art. 1 del decreto presidenziale n. 932 del 1955 che ha sottratto a questi interventi del magistrato la maggior parte dei soggetti che esercitano funzioni di polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 221 del codice di procedura penale e che perciò si pone in contrasto con tale precetto.
Il pretore conclude quindi denunciando la gravità della situazione che risulta dalle applicazioni che la normativa vigente riceve in concreto, le quali dimostrano la contrarietà di essa allo spirito della Costituzione o, quanto meno, l'attitudine di essa a prestarsi ad applicazioni che contrastano con la posizione costituzionale della magistratura e con i principi che delimitano le attribuzioni di essa da quelle dell'esecutivo.
2. - É intervenuto avanti la Corte costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri che nelle sue deduzioni censura innanzi tutto il giudizio di rilevanza compiuto dal pretore osservando che, ai sensi dell'art. 47 del regolamento generale dell'Arma dei carabinieri, questi ben poteva rivolgersi al comandante la stazione carabinieri di Cambiano per chiedere nuove indagini, e che non spettava a quest'ultimo valutare se questi fosse più o meno idoneo del personale della squadra di polizia giudiziaria presso la pretura ad eseguirle.
Nel merito l'Avvocatura deduce che la limitazione al personale specificamente dedicato alle funzioni di polizia giudiziaria delle ingerenze dell'Autorità giudiziaria sui trasferimenti e sulla posizione degli ufficiali e agenti risulta già dall'art. 220 del codice di procedura penale che, nella sua ultima proposizione, prevede che essi possano cessare "dalle funzioni di polizia giudiziaria", pur restando ufficiali o agenti di polizia giudiziaria ai sensi del successivo art. 221; pertanto il decreto presidenziale n. 932 del 1955 non ha affatto svuotato l'articolo 220, ma al contrario l'ha fedelmente attuato.
Circa la diretta violazione dell'art. 109 della Costituzione l'Avvocatura richiama l'interpretazione che di questa norma la Corte ha dato nelle sentenze n. 94 del 1963 e n. 114 del 1968 ed afferma che essa si concilia perfettamente con le disposizioni impugnate, le quali non escludono la dipendenza funzionale dal magistrato di tutti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, mentre stabiliscono maggiori poteri di esso nei confronti di taluni gruppi di questi.
Riaffermata la competenza del legislatore a dettare, eventualmente, una più diffusa dipendenza della polizia giudiziaria dal magistrato, la difesa del Presidente del Consiglio conclude perché la questione sia dichiarata infondata.
3. - Nel corso del procedimento penale contro ignoti relativo all'incidente stradale verificatosi il 27 settembre 1969, in seguito al quale Appolloni Enzo aveva riportato lesioni, il pretore di Recanati ordinava alla locale squadra di polizia giudiziaria di svolgere ulteriori indagini tendenti all'identificazione dell'autovettura investitrice e del conducente della medesima, ma il brigadiere dei carabinieri comandante la squadra gli restituiva gli atti facendo presente che egli era stato destinato a frequentare un corso di judo della durata di venti giorni e che, in mancanza di altro personale, la richiesta non poteva essere evasa con la necessaria urgenza.
É da notare che il pretore aveva espresso parere contrario all'allontanamento dalla sede dell'unico sottufficiale addetto alla squadra di polizia giudiziaria della pretura, ma il procuratore della Repubblica di Macerata aveva restituito l'atto facendo presente che, ai sensi della circolare del Ministro di grazia e giustizia n. 605 del 2 dicembre 1955, il consenso dell'Autorità giudiziaria - previsto dagli artt. 220, codice di procedura penale, e 2, decreto presidenziale n. 932 del 1955 - non é richiesto per i "movimenti a carattere temporaneo".
Ravvisando nella normativa, per lo meno ove così interpretata, consistenti vizi d'incostituzionalità, il pretore ha sollevato, con l'ordinanza 25 ottobre 1969, due distinte questioni riferite all'art. 109 della Costituzione e concernenti, la prima, gli artt. 220, codice di procedura penale, e 2, decreto presidenziale n. 932 del 1955, nella parte in cui escludono la necessità del consenso dell'Autorità giudiziaria per gli allontanamenti temporanei dalla sede - non costituenti trasferimento ad altra sede - degli ufficiali di polizia giudiziaria più elevati in grado di ogni sede, e, la seconda, le stesse disposizioni, nella parte in cui escludono, per i suddetti allontanamenti dalla sede, la necessità del consenso dell'Autorità giudiziaria alla cui diretta dipendenza funzionale essi dirigenti della polizia giudiziaria si trovano.
Nella motivazione del provvedimento il pretore segnala il processo di progressivo svuotamento che il principio di cui all'art. 109 della Costituzione ha subito per effetto delle applicazioni che ha ricevuto, sul piano legislativo prima, e su quello dell'applicazione pratica poi. L'ordinanza si sofferma in particolare sulla circolare del Ministro Guardasigilli del 2 dicembre 1955 e sulla prassi osservata dagli uffici amministrativi e giudiziari per concludere che non si vede quale pratico contenuto possa darsi alla "diretta disponibilità" della polizia giudiziaria da parte della magistratura, sancita dalla Costituzione, quando i componenti le squadre possono essere liberamente distolti dalle funzioni di polizia giudiziaria mediante una illimitata serie di allontanamenti "temporanei".
Infine il pretore prospetta la questione di costituzionalità anche sotto l'aspetto della titolarità del consenso all'allontanamento dalla sede, nella considerazione che l'attribuzione di essa al procuratore generale anche nei confronti degli appartenenti ai nuclei dipendenti dai pretori appare in contrasto con l'indipendenza di questi che (anche se si potesse ammettere la sussistenza di un rapporto di dipendenza gerarchica fra procuratore generale e pretore-pubblico ministero) é incontestabile quanto meno allorché operano nella loro veste di organi giudicanti, anche in tale qualità abilitati a "disporre direttamente" della polizia giudiziaria, che é anche considerata responsabile di fronte a loro.
Considerato in diritto
1. - Le due cause, pur diverse nella prospettazione e nel riferimento alle norme denunciate, sollevano questioni tutte relative al rapporto fra l'autorità inquirente penale e la polizia giudiziaria, e pertanto se ne può disporre la riunione per deciderle con unica sentenza.
2. - L'ordinanza del pretore di Chieri denuncia i primi tre articoli del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932, in quanto essi, circoscrivendo i poteri dei Procuratori generali solo ad alcuni nuclei di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e non a tutti gli appartenenti a questa, sarebbero incorsi in violazione, oltre che dell'art. 109, anche degli artt. 76 e 77 della Costituzione, perché nello statuire tale limitazione avrebbero oltrepassato i limiti della competenza attribuita al Governo dall'art. 20 della legge 18 giugno 1955, n. 517, modificativa dell'art. 220 del codice di procedura penale.
La questione non é fondata innanzi tutto sotto l'aspetto della violazione dell'art. 109 della Costituzione. Dall'esame dei lavori preparatori dell'Assemblea costituente chiaramente risulta come, pur essendosi voluta rendere obbligatoria la diretta sottoposizione della polizia giudiziaria alla magistratura, che il progetto dei 75 prevedeva solo come facoltativa, non venne mai e da nessuno prospettata l'ipotesi che tale rapporto di disponibilità fosse esteso a tutto quel vasto complesso di soggetti cui l'art. 221 del codice di procedura penale attribuisce la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria. Le dispute insorte in quella sede riguardarono solo il carattere da assegnare alla dipendenza, se solo diretta o anche esclusiva, se solo funzionale o anche organica, ma sempre limitatamente ad una parte delle forze di polizia, secondo risulta confermato anche dall'ordine del giorno che, a conclusione della discussione, venne approvato, con il quale l'Assemblea "faceva voti per la creazione di un corpo specializzato di polizia alle dirette dipendenze dell'autorità giudiziaria".
Il nuovo testo dell'art. 220 del codice di procedura penale, quale risulta dalla formulazione data con la novella del 1955, ebbe a svolgere il precetto dell'art. 109 della Costituzione specificando i modi e le forme della dipendenza da questo sancita limitatamente a nuclei specializzati, in fedele attuazione dell'intento che, come si é visto, ebbe ad ispirarlo.
Se si fosse disposto diversamente e si fossero assoggettate tutte le forze di polizia alla dipendenza, sia pure solo funzionale, dei Procuratori generali, e trasferiti i particolari poteri ex art. 220 per quanto riguarda i movimenti di sede e la progressione nella carriera del personale ad esse appartenente, mentre si sarebbe andato oltre la volontà del Costituente, si sarebbe anche, da una parte, addossato a detti organi compiti difficilmente assolvibili, e, dall'altra, inciso sull'adempimento della funzione del mantenimento dell'ordine pubblico, pure affidata alle forze medesime, della quale il Governo assume la responsabilità.
L'assoggettamento all'autorità giudiziaria solo di appositi nuclei delle forze di polizia non esclude però che quella possa giovarsi altresì dell'opera degli appartenenti alla polizia, pur se non facciano parte dei nuclei, essendo tutti tenuti all'obbedienza, tempestiva e diligente, agli ordini dell'autorità stessa, secondo risulta dall'art. 229 c.p.p. che garantisce l'osservanza dell'obbligo stesso con la previsione di apposite sanzioni disciplinari irrogabili dal competente Procuratore generale. Sicché nessun ostacolo giuridico si sarebbe opposto, nella specie, al pretore ad avvalersi, per il compimento di determinate indagini, dell'attività di ufficiali o agenti non appartenenti al personale addetto ai servizi della pretura cui egli era preposto. Che poi siffatto impiego di personale estraneo ai nuclei debba considerarsi eccezionale discende dalla stessa ratio che ha presieduto alla formazione dei medesimi, rivolta sia a garantire negli addetti una particolare specializzazione e sia a sottrarli, per quanto possibile, all'influenza dei superiori gerarchici delle rispettive armi di appartenenza. Se, in linea di fatto, il sistema, quale risulta concretamente realizzato, corrisponda in tutto all'intento perseguito dal Costituente ed appaghi pienamente le esigenze volute soddisfare é accertamento che esula dai compiti del giudice costituzionale.
3. - Dalle precedenti osservazioni si argomenta anche l'infondatezza dell'allegata violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione poiché le norme dei primi tre articoli del d.P.R. n. 932 del 1955 si mantengono negli stretti limiti del potere di attuazione e di coordinamento conferito dall'art. 20 della legge n. 517 del 1955. Essi infatti svolgono i principi fissati nell'art. 220 c.p.p. (modificato da quest'ultima) disciplinando le modalità e le procedure relative alla formazione dei nuclei, agli interventi dell'autorità giudiziaria nei confronti dei loro appartenenti, alla responsabilità di costoro di fronte ad essa, e quindi non incorrono nel denunciato eccesso di delega.
4. - L'ordinanza del pretore di Recanati, mentre non contesta l'aderenza dell'art. 220 c.p.p. all'art. 109 della Costituzione per quanto riguarda la sottoposizione all'autorità giudiziaria solo di limitati gruppi delle forze di polizia, rinviene un vizio di incostituzionalità di detto articolo, nonché dell'art. 2 del d.P.R. su citato, in quanto, secondo l'interpretazione ad essi data dalla prassi e consacrata anche in circolari del Ministero di grazia e giustizia, in primo luogo, escludono la necessità del consenso dell'autorità giudiziaria per gli allontanamenti dalla sede dei dirigenti i nuclei allorché abbiano carattere temporaneo, ed inoltre deferiscono in ogni caso la prestazione del consenso sugli allontanamenti stessi, anche se non temporanei, ai Procuratori generali, mentre invece per gli addetti ai mandamenti l'assenso dovrebbe essere deferito ai pretori che di essi dispongono e di fronte ai quali sono responsabili.
In ordine al primo punto, se é da consentire nel rilievo che anche allontanamenti temporanei possono a volte rendere meno agevole il compimento delle indagini rivolte alla persecuzione dei reati, deve tuttavia escludersi che gli inconvenienti lamentati valgano a conferire al mancato intervento dell'autorità giudiziaria rilevanza di vizio di illegittimità costituzionale. Infatti la norma attiene alle modalità organizzative del servizio, volute affidare alla discrezionalità del legislatore.
Ciò affermato, non può tuttavia non auspicarsi che i nuclei specializzati di polizia giudiziaria siano formati in modo tale da garantire in ogni momento, sia per il numero e sia per la qualità degli addetti, una loro costante efficace utilizzazione da parte del magistrato inquirente; e che quindi gli allontanamenti temporanei dei dirigenti siano ridotti al minimo e sia sempre assicurata la supplenza con altro personale idoneo.
5. - Parimenti non fondata deve ritenersi la seconda censura della stessa ordinanza. L'accentramento nel Procuratore generale del distretto della titolarità della prestazione del consenso agli allontanamenti dalla sede, disposto dall'art. 220 c.p.p., deve ritenersi anch'esso esplicazione della discrezionalità voluta conferire dall'art. 109 circa i modi di regolamentazione del rapporto fra organo inquirente e polizia da esso stabilita. D'altra parte il sistema disposto può ritenersi giustificato in vista della esigenza di conferire uniformità di criteri all'esercizio degli interventi in materia; a tacere poi la considerazione che tale accentramento del potere di decisione nel Procuratore generale non esclude, ed anzi di norma consiglia, che questi la faccia in pratica precedere dall'audizione del parere del pretore, allorché si tratta di addetti alla circoscrizione cui questi é preposto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 (norme di attuazione e di coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517, concernente modificazioni al codice di procedura penale), sollevata dal pretore di Chieri, con l'ordinanza 14 agosto 1969, in riferimento all'art. 109 della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e in relazione all'art. 20 della legge 18 giugno 1955, n. 517;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 220 del codice di procedura penale e dell'art. 2 del predetto d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932, sollevata dal pretore di Recanati, con l'ordinanza 25 ottobre 1969, in riferimento all'art. 109 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 9 giugno 1971.