Sentenza n. 179/2001

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SENTENZA N.179

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente         

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto 19 ottobre 1998 del Presidente del Consiglio dei ministri, recante "Definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998", promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 2 febbraio 1999, depositato in cancelleria il 17 successivo ed iscritto al n. 9 del registro conflitti 1999.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 20 febbraio 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Giuseppe F. Ferrari e Massimo Luciani per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso del 29 gennaio 1999 la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’adozione del d.P.C.m. 19 ottobre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 dicembre 1998, n. 284, recante "Definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998".

2.- La ricorrente richiama, in via preliminare, gli artt. 117 e 118 della Costituzione, che attribuiscono alle Regioni ordinarie la materia della "beneficenza pubblica e assistenza sanitaria ed ospedaliera", per rilevare poi che essa rientra nel settore organico dei "servizi sociali"; nozione, quest’ultima, ridefinita dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, e comprensiva dei "servizi alla persona ed alla comunità".

La programmazione e la gestione dei servizi socio-assistenziali sono state da sempre attribuite alle Regioni, per effetto del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 e del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, della legge di riforma sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833, e, da ultimo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Prosegue la ricorrente osservando che, in questo più ampio settore, le funzioni di prevenzione ed intervento contro l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope sono state riconosciute alla Regione per effetto del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con il solo limite dei criteri di indirizzo e di coordinamento provenienti dall’Amministrazione dello Stato.

L’art. 127 di tale d.P.R. ha previsto l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un fondo denominato "Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga", per il finanziamento di progetti curati dalle diverse amministrazioni e finalizzati alla realizzazione degli obiettivi del testo unico. Con la legge 27 dicembre 1997, n. 449, collegata alla finanziaria per il 1998, le risorse del fondo sono confluite nel Fondo per le politiche sociali, successivamente denominato dal d.lgs. n. 112 del 1998 "Fondo nazionale per le politiche sociali", tra le cui finalità si annoverano anche quella di "promozione di interventi per la realizzazione di standard essenziali ed uniformi di prestazioni sociali su tutto il territorio dello Stato" concernenti "la prevenzione ed il trattamento delle tossicodipendenze".

Ai sensi dell’art. 59, comma 46, della legge n. 449 del 1997, come novellato dal d.lgs. n. 112 del 1998, alla ripartizione annuale delle risorse confluite nel Fondo si sarebbe provveduto con decreto del Ministro della solidarietà sociale, da emanarsi sentiti i Ministri interessati e sentita la conferenza unificata di cui al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

Nelle more, aggiunge il ricorrente, in attuazione della delega conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59, gli artt. da 128 a 134 del d.lgs. n. 112 del 1998 hanno modificato ulteriormente il quadro delle competenze tra Stato e Regioni in materia di servizi sociali: l’art. 131 ha conferito le funzioni in oggetto alle Regioni ed agli enti locali, fatta eccezione per quanto previsto dagli artt. 129 e 130, ribadendo il potere regionale di disciplina dell’esercizio delle dette funzioni ed il potere dei Comuni di provvedere all’erogazione dei servizi ed alla realizzazione della rete. L’art. 132, inoltre, ha disposto che sia la Regione ad individuare puntualmente con legge i compiti e le funzioni amministrative da conferire ai Comuni nei singoli settori, trasferendo altresì alle Regioni funzioni e compiti di promozione e coordinamento operativo degli "attori dei servizi sociali".

In asserita applicazione degli artt. 129, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 112 del 1998, e 59, comma 46, della legge n. 449 del 1997, che riservano allo Stato la determinazione dei criteri per la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, é stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 ottobre 1998, recante "Definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998".

3.- Tale decreto, secondo la Regione Lombardia, opererebbe una illegittima invasione delle competenze regionali in materia di "beneficenza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera", in violazione delle corrispondenti prerogative costituzionali.

La ricorrente, in particolare, espone i seguenti motivi:

- con il primo deduce la violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, con riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Il d.P.C.m. sarebbe stato adottato, giusta quanto risulta dalle premesse del testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, sulla base del parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, alla quale non partecipa di diritto alcun rappresentante delle Regioni, con evidente e grave lesione del diritto di partecipazione collegato alle competenze regionali costituzionalmente garantite.

La mancata audizione della Conferenza Stato-Regioni o, quantomeno, della Conferenza allargata, avrebbe pregiudicato la legittima aspettativa dei rappresentanti delle Regioni ad esprimere il loro avviso, trattandosi di materia che sul piano costituzionale rientrerebbe nella "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera" e per la quale alle Regioni sarebbe attribuito un ruolo primario, anche in funzione eventualmente consultiva, dagli artt. 131, 132 e 133 del d.lgs. n. 112 del 1998. In specie, l’obbligo dell’audizione della conferenza Stato-Regioni sarebbe ribadito dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997.

La ricorrente Regione si richiama, altresì, al consolidato orientamento della Corte, in base al quale un regolamento, pur se configurato come esecutivo di leggi statali, non può dettare norme intese a limitare la sfera delle competenze delle Regioni in materie ad esse attribuite, sia in ossequio alle norme costituzionali sull’ordine delle fonti, sia in applicazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988.

- Con il secondo motivo la ricorrente pone l'accento sulle percentuali particolarmente rigide di ripartizione "per settori" delle risorse disponibili sugli stanziamenti per la lotta alla droga confluiti nel Fondo nazionale per le politiche sociali: 25 per cento per il finanziamento dei progetti presentati dai Ministeri; 68 per cento per il finanziamento di quelli presentati dai Comuni, singoli o associati: 7 per cento per il finanziamento di quelli regionali.

Si tratta, secondo la Regione Lombardia, di un criterio di riparto aprioristico ed irragionevole, che non terrebbe conto della qualità dei progetti e che escluderebbe, incomprensibilmente, eventuali progetti elaborati dalle aziende sanitarie locali.

L'irragionevolezza, oltre che lesiva delle competenze regionali sul piano dei contenuti, sarebbe aggravata dalla mancata audizione delle Regioni.

Nè, osserva la ricorrente, un elemento di flessibilizzazione del sistema potrebbe derivare dall'art. 3 del d.P.C.m., che prevede la possibilità che i residui di un settore siano nuovamente ripartiti tra gli altri settori. Ed invero, le risorse ai progetti sono assegnate secondo la rispettiva meritevolezza solo all'interno di ciascun settore, senza però un raffronto tra i settori diversi. Ne risulterebbe la lesione del diritto fondamentale alla salute e del principio di buon andamento dell'attività amministrativa.

I criteri di riparto, oltretutto, non potrebbero neppure spiegarsi sulla base dell'art. 127, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ai sensi del quale "una quota almeno pari al 7 per cento degli stanziamenti di cui al comma 11 é destinata al finanziamento di progetti di iniziativa delle Regioni volti alla formazione integrata degli operatori dei servizi pubblici e privati convenzionati per l'assistenza socio-sanitaria alle tossicodipendenze, anche con riguardo alle problematiche derivanti dal trattamento di tossicodipendenti sieropositivi". In proposito rileva la ricorrente che: a) tale previsione concernerebbe solo la percentuale relativa alle Regioni, senza menzionare le altre inserite nel decreto impugnato; b) il 7 per cento indicherebbe una soglia minima e di certo non un tetto massimo; c) la percentuale suddetta concernerebbe solo i progetti con una particolare finalità, ma non si riferirebbe anche agli altri progetti che, pur in questa materia, abbiano finalità diverse e che ben potrebbero essere finanziati oltre questo limite. La competenza delle Regioni in questo settore, del resto, sarebbe particolarmente ampia.

Sicchè si deduce la violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 127, comma 3, del detto d.P.R. n. 309 del 1990.

- Con il terzo motivo la Regione Lombardia si richiama al testo dell'art. 2 del d.P.C.m. 19 ottobre 1998, che individua i dati da utilizzare per ripartire per Regione i fondi assegnati ai Comuni mediante il riferimento alla popolazione giovanile residente, individuata in base ai dati ISTAT, al livello di diffusione delle tossicodipendenze, al numero delle strutture pubbliche e del privato sociale ed al rapporto fra rete di servizi pubblici e privati esistente e livello dei bisogni.

Si censura la scelta di richiamare solo dati disponibili a livello nazionale, senza tenere conto di dati sulle tossicodipendenze raccolti a livello locale e regionale, nè delle indicazioni provenienti dalle Regioni medesime. Si deduce, altresì, il difetto di consultazione e la lesione delle competenze programmatorie e gestionali delle Regioni, nonchè la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

- Con il quarto motivo la ricorrente afferma che l'art. 4 del d.P.C.m., indicando le priorità cui devono attenersi le amministrazioni statali, le Regioni ed i Comuni nella predisposizione dei progetti da finanziare, avrebbe attuato una illegittima funzione di indirizzo e di coordinamento in materia riservata alla competenza regionale: siffatta funzione non potrebbe esplicarsi con l'adozione di un atto di questa natura, mancando sia il requisito formale, consistente nella deliberazione apposita del Consiglio dei ministri, sia il requisito sostanziale, consistente in una idonea base legislativa che definisca principi e criteri normativi idonei ad orientare la discrezionalità del Governo.

Oltretutto, con la citata disposizione e la determinazione delle finalità prioritarie incidenti anche sui compiti e le funzioni dei Comuni nella materia in esame, si sarebbe pregiudicato anche il potere delle Regioni di individuare tali compiti e funzioni con proprio provvedimento legislativo, così come previsto dall'art. 132 del d.lgs. n. 112 del 1998. Il predetto art. 4, inoltre, nel descrivere le finalità dei progetti regionali, non avrebbe considerato ulteriori finalità fondamentali collegate all'ampia competenza costituzionale delle Regioni. A titolo esemplificativo si richiamano le funzioni di prevenzione ed informazione, che lo stesso d.P.R. n. 309 del 1990 affida alle Regioni e che invece il d.P.C.m. impugnato indica irragionevolmente tra le priorità dei progetti statali.

Si dovrebbe così registrare un ulteriore profilo di contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, con riferimento alle norme interposte dettate dai d.P.R. n. 4 del 1972, n. 616 del 1977 e n. 309 del 1990, nonchè dal d.lgs. n. 112 del 1998.

- Il quinto motivo dedotto dalla ricorrente concerne l'art. 6 del d.P.C.m. 19 ottobre 1998, secondo il quale i progetti presentati per il finanziamento sono istruiti da un'apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; e che, in ordine ai progetti presentati dai Comuni, prevede che le Regioni effettuino una valutazione preliminare di essi, per poi sottoporne le risultanze all'esame della predetta commissione istruttoria.

Poichè l'assegnazione dei fondi é riservata all’esclusiva competenza dello Stato, con questo sistema si realizzerebbe un fenomeno di sostanziale avvalimento degli uffici regionali da parte dello Stato medesimo, che se ne serve per l'istruzione dei progetti. Detto avvalimento, tuttavia, sarebbe legittimo - prosegue la ricorrente - solo ove si assicuri il rispetto necessario dell'autonomia delle Regioni, anche sotto il profilo della provvista dei mezzi finanziari necessari per fronteggiare nuovi oneri. Circostanza, quest'ultima, che non sarebbe per niente garantita, con la connessa violazione degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

- Il sesto ed ultimo motivo é riferito all'art. 7 del d.P.C.m., secondo il quale l'approvazione dei progetti é disposta con decreto ministeriale, sentito il Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 309 del 1990 e la Conferenza unificata di cui all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 281 del 1997.

L’audizione della Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali e Stato-Regioni, tuttavia, dovrebbe essere circoscritta ai casi in cui si provveda in materia di interesse comune delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle comunità montane. Sicchè non vi sarebbe ragione di sentire sempre la Conferenza unificata, soprattutto quando vengono approvati progetti esclusivamente regionali, essendo sufficiente in tali ipotesi sentire soltanto la Conferenza Stato-Regioni. Anche per tale aspetto si configura una lesione delle prerogative costituzionali delle Regioni.

4.- Con atto del 12 febbraio 1999 si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Dopo aver proposto un inquadramento della disciplina di riferimento, la difesa dello Stato si é soffermata sui motivi esposti nel ricorso, rilevando anzitutto che il d.P.C.m. 19 ottobre 1998 é stato emanato a seguito della regolare acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-città, nella riunione del 30 luglio 1998 e che, per mero errore materiale, in corso di rettifica nella Gazzetta Ufficiale, si sarebbe riportata in premessa la pronuncia del solo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

La previsione dei criteri percentuali di riparto dell’art. 1 sarebbe non solo ragionevole, ma rispettivamente conforme al testo dell’art. 127 del d.P.R. n. 309 del 1990, per quanto concerne le Regioni, ed a precedenti orientamenti del Parlamento (disegno di legge AS 3543), per le percentuali degli altri enti.

Quanto ai dati riportati all’art. 2 del d.P.C.m., relativi alla popolazione giovanile residente, individuata in base ai dati ISTAT, al livello di diffusione delle tossicodipendenze, al numero delle strutture pubbliche e del privato sociale ed al rapporto fra rete di servizi pubblici e privati esistente e livello dei bisogni, non si tratterebbe in realtà di previsione contraria alle istanze della ricorrente: si richiama, a questo riguardo, il d.P.C.m. 30 novembre 1998, in corso di registrazione, relativo alla definizione delle quote del Fondo da assegnare per Regione ai Comuni.

Le priorità indicate dall’art. 4 non costituirebbero oggetto di un atto di indirizzo e coordinamento, ma si tratterebbe solo della indicazione di criteri e linee guida non vincolanti per le Regioni.

Quanto all’intervento degli uffici regionali nell’attività di istruzione dei progetti presentati dai Comuni, strumentale all’esame della commissione statale, lungi dal pregiudicarne la posizione di autonomia costituzionalmente garantita, costituisce, secondo la difesa dello Stato, espressione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

Con riferimento all’ambito applicativo del d.P.C.m., si rileva poi che il trasferimento delle funzioni alle Regioni in materia di servizi sociali previsto dagli artt. 128-134 del d.lgs. n. 112 del 1998 non é ancora efficace, fino all’emanazione dei decreti di trasferimento del personale e dei mezzi finanziari.

Infine, l’Avvocatura dello Stato osserva che il d.P.C.m. 19 ottobre 1998 detta disposizioni di carattere transitorio, in attesa che l’approvazione del disegno di legge in materia attribuisca alle Regioni la piena capacità di programmare e gestire l’utilizzazione delle quote del Fondo loro trasferite; conclude infine per il rigetto del ricorso per conflitto di attribuzione.

5.- Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la ricorrente Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale insiste sui motivi già dedotti a conforto del sollevato conflitto di attribuzione.

In primo luogo, la ricorrente ribadisce che la materia dei servizi sociali, assegnata alla competenza regionale dalle fonti legislative, comprende anche i settori della beneficenza ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, espressamente previsti dall’art. 117 della Costituzione. Nel confermare tale competenza, il d.lgs. n. 112 del 1998 si collocherebbe in linea di continuità con i precedenti e, soprattutto, con il d.P.R. n. 616 del 1977, risultando come l’esito ultimo di un consolidato processo evolutivo. Nè vale l’obiezione formulata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo cui le norme del d.lgs. n. 112 del 1998 non dovrebbero tenersi in conto in quanto non efficaci fino all’intervento dei decreti di attuazione relativi al trasferimento di risorse, personale e mezzi finanziari, previsti dall’art. 7 del medesimo d.lgs. Ed invero, le Regioni sono comunque tenute ad emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 112 del 1998 "la legge di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate ai Comuni ed agli enti locali e di quelle mantenute in capo alle Regioni stesse" (v. l’art. 132, comma 1).

Del resto, secondo la Regione Lombardia, anche al di fuori di tale ambito normativo resterebbe decisivo il fatto che la materia specifica dell'"intervento per la lotta contro la droga" é assorbita nella richiamata nozione costituzionale di "beneficenza pubblica, assistenza sanitaria ed ospedaliera", anche alla luce dell’opportuna interpretazione evolutiva delle materie di competenza regionale indicate nella Costituzione, già più volte seguita dal Giudice delle leggi.

La ricorrente, quindi, conferma le censure sollevate con riguardo ai criteri di riparto del Fondo tra i soggetti beneficiari ed, in specie, con riguardo all’esigua percentuale del 7 per cento riservata alle Regioni: essa risulterebbe irragionevole e priva di riscontro legislativo, poichè una considerazione così limitata del peso regionale non potrebbe fondarsi nè sull’art. 127 del d.P.R. n. 309 del 1990, nella sua originaria stesura, nè sull’art. 127 come novellato dall’art. 1, comma 2, della legge 18 febbraio 1999, n. 45. Tale ultima legge ha, invero, previsto che una ben diversa quota del 75 per cento del Fondo deve attribuirsi alle Regioni, cui compete di governare la leva del finanziamento dei progetti presentati dagli enti locali. A questo proposito la ricorrente smentisce l’assunto sostenuto dalla Presidenza del Consiglio, che trae argomento dagli orientamenti maturati nel Parlamento per sorreggere la detta percentuale del 7 per cento, giacchè proprio nei decreti-legge non convertiti, oggetto della legge di sanatoria n. 86 del 1997, era anticipata la previsione del trasferimento del 75 per cento del Fondo direttamente alle Regioni.

La ridotta percentuale del 7 per cento contenuta nel d.P.C.m. impugnato, infine, non risponderebbe al principio, affermato dalla Corte costituzionale, per cui i flussi finanziari destinati ai compiti istituzionali degli enti locali inerenti a materie regionali debbono essere erogati per il tramite delle Regioni. L’erogazione statale diretta, invero, é consentita solo se si tratta di flussi aggiuntivi rispetto a quelli ordinari, in quanto legati a situazioni di emergenza di carattere eccezionale e temporaneo (sentenza n. 476 del 1991), in considerazione della posizione di centralità che alle Regioni compete.

Alla stessa stregua risulterebbe l’irragionevolezza del riparto per settori regolato nel d.P.C.m., su cui si ripropongono le censure già svolte nel ricorso introduttivo.

La ricorrente ritorna, altresì, sul motivo con cui si é denunciato, nei confronti della Presidenza del Consiglio, l’esercizio di un'illegittima funzione statale di indirizzo e di coordinamento in carenza dei necessari presupposti, mediante l’indicazione delle priorità cui devono attenersi le amministrazioni pubbliche per la predisposizione dei progetti. Siffatta funzione, invero, mancherebbe sia del requisito formale, consistente nella delibera del Consiglio dei ministri, sia del requisito sostanziale, consistente nel riscontro di una base legislativa idonea a garantire il principio di legalità sostanziale.

Anche nel merito, del resto, secondo la ricorrente i vincoli imposti alle Regioni sarebbero irragionevoli.

La Regione Lombardia, infine, ribadisce i motivi esposti nei confronti degli artt. 6 e 7 del d.P.C.m.

Considerato in diritto

1.- Il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Lombardia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri ha per oggetto il d.P.C.m. 19 ottobre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 dicembre 1998, n. 284, recante "Definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998".

Si deduce anzitutto come motivo di ricorso la circostanza legata alla mancata acquisizione del prescritto parere delle Regioni attraverso l’audizione della Conferenza Stato-Regioni. Inoltre si rappresenta che, se il decreto fosse da configurarsi come atto di indirizzo e coordinamento, sarebbe anche carente la delibera del Consiglio dei ministri. Infine, le disposizioni di tale decreto, anche in contrasto con le previsioni della legge statale, avrebbero operato una illegittima invasione delle competenze costituzionali della Regione in materia di "beneficenza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera", in violazione degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, con riferimento anche all’art. 127, comma 3, del d.P.R. n. 309 del 1990, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.

2.- Preliminarmente deve essere esaminato il motivo di ricorso con cui, rilevandosi che nelle premesse del decreto risulterebbe acquisito il parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, si deduce, tra l’altro, che sarebbe mancata la consultazione delle Regioni, attraverso la Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, nonostante la materia rientrasse nel settore della "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera".

Infatti, il motivo coinvolge l’intero decreto, tenuto conto anche dell’invocata previsione normativa dell’art. 133 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che, integrando "l’art. 59, comma 46, penultima proposizione" della legge 27 dicembre 1997, n. 449, prescrive che, ai fini della ripartizione annuale delle risorse finanziarie affluite al Fondo, sia sentita anche "la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281".

In realtà, sia in sede di discussione in udienza, sia dalla documentazione acquisita dalle parti é risultato che lo schema del decreto impugnato é stato effettivamente sottoposto al preventivo esame della Conferenza unificata, che, il 30 luglio 1998, con l’assenso del Governo, ha espresso parere favorevole sul predetto schema, con allegazione di alcuni emendamenti, che risultano essere stati concordati in pari data. Ed il parere é stato espresso all’unanimità e senza che risultino dissensi nell’ambito dei due gruppi delle autonomie che compongono la Conferenza unificata, in modo che non ricorreva neppure l’esigenza sussidiaria di operatività del principio maggioritario nell’ambito di ciascun gruppo, come previsto dall’art. 9, comma 4, del d.lgs n. 281 del 1997 (v. sentenza n. 408 del 1998).

Si deve, tuttavia, avvertire fin da adesso che lo schema sul quale la Conferenza unificata si é pronunciata non comprendeva l’attuale art. 4: il contenuto di esso non trova alcun riscontro nell’originario articolato, nè risulta collegato a modifiche concordate in sede di Conferenza.

Ferma quest’ultima riserva, su cui si tornerà tra breve, la necessità dell’intervento della Conferenza unificata non può essere posta in discussione, sia perchè espressamente prevista dal testo allora vigente dell’art. 59, comma 46, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (con le modifiche introdotte dall’art. 133, comma 4, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), sia perchè ricorrono "materie e compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle comunità montane" e "argomenti di interesse comune vuoi delle Regioni, vuoi degli Enti locali".

Di conseguenza, deve ritenersi privo di fondamento - per questa parte - il primo motivo di ricorso, per difetto del presupposto di fatto, in quanto risulta essere stato preventivamente acquisito il parere della Conferenza unificata.

Un discorso separato, invece, merita l’attuale art. 4 del d.P.C.m. impugnato, per il quale si é rilevato il difetto assoluto della richiesta di parere e della sottoposizione all’esame della Conferenza.

Nel contempo, l’atto impugnato, per la parte che qui interessa, dev'essere considerato come atto amministrativo a contenuto generale, che trova la sua base normativa nella previsione di ripartizione annuale delle risorse ed assume per oggetto la predeterminazione dei criteri di ripartizione e delle relative modalità attuative.

Deve, infatti, escludersi - sempre per questa parte - il carattere di atto di indirizzo e di coordinamento del decreto, poichè esso riguarda una ripartizione di fondi speciali statali destinati ad esigenze straordinarie e unitarie sul piano nazionale, senza incidere direttamente sulle ordinarie competenze e funzioni regionali nella materia dell’assistenza e dei servizi sociali.

Anche per tale profilo una soluzione differente dovrà invece proporsi con riferimento all’art. 4 dell’attuale d.P.C.m. impugnato, che, attraverso la previsione di priorità tassative, presenta un contenuto precettivo e vincolante sull’azione regionale e comunale.

3.- Si passa così all’esame delle censure relative all’art. 4 del d.P.C.m. 19 ottobre 1998.

Risulta dalle predette considerazioni la fondatezza - per questa parte - del primo e quarto motivo di ricorso.

In primo luogo, l’art. 4 non é stato mai sottoposto all’esame, per il parere, della Conferenza unificata, non essendovi alcuna previsione corrispondente nello schema di decreto preso in visione dalla Conferenza, nè alcun collegamento con gli emendamenti suggeriti nel parere. La mancanza della necessaria consultazione delle Regioni attraverso la Conferenza Stato-Regioni o Conferenza unificata (così come prevista dalla vigente normativa sui rapporti Stato-Regioni) ha, invero, l’effetto di viziare quella singola ed autonoma disposizione non inclusa nel testo su cui il parere é stato chiesto ed espresso e che, oltretutto, neppure é stata inserita per l’adeguamento alle modifiche suggerite in sede consultiva.

Con ciò non si esclude, in via tassativa, che lo Stato possa introdurre modifiche aggiuntive ed innovative (a parte quelle di mero coordinamento formale) ad un testo concordato in sede di Conferenza, ma si afferma l’esigenza - del resto rispondente ad una interpretazione delle norme procedurali conforme ai più elementari principi di leale collaborazione tra Stato e Regioni - che in tali evenienze si proceda ad una nuova consultazione della Conferenza: il che non risulta sia avvenuto nella fattispecie con riguardo all’art. 4 in esame.

In secondo luogo, il carattere aggiuntivo e la natura di nuova disposizione dell’art. 4 del d.P.C.m. impugnato (rispetto allo schema originario sottoposto alla Conferenza) risulta evidente dalla constatazione del relativo contenuto, che stabilisce priorità tassative alle quali dovrebbero attenersi le Regioni e i Comuni, con valore precettivo e vincolante sull’azione regionale e comunale nella predisposizione dei progetti da finanziare, senza le garanzie procedurali e sostanziali del legittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento (v. sentenza n. 169 del 1999).

Pertanto, deve dichiararsi che non spetta allo Stato, e, per esso, al Presidente del Consiglio dei ministri, di fissare con d.P.C.m. le priorità cui devono attenersi le Regioni ed i Comuni per la predisposizione dei progetti da presentare per il finanziamento del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998, quando non siano state previamente consultate le Regioni mediante Conferenza unificata e al di fuori della ipotesi di legittimo esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento. Conseguentemente deve essere annullato, nella parte riguardante le Regioni e i Comuni, l’art. 4 del d.P.C.m. 19 ottobre 1998, firmato per delega dal Ministro per la solidarietà sociale, impugnato con il ricorso in epigrafe.

4.- Gli altri motivi proposti dalla Regione Lombardia sono privi di fondamento.

In ordine al secondo motivo, superata in punto di fatto l’asserita mancata audizione delle Regioni, deve escludersi che la scelta delle percentuali di ripartizione sia palesemente irragionevole.

Da un canto deve tenersi conto che la ripartizione é contenuta nei limiti minimi degli stanziamenti previsti dalla legge per le Regioni, che si tratta di finanziamenti di carattere straordinario ed aggiuntivo dello Stato e che essa non esclude ed anzi presuppone (date le finalità dei progetti) che le Regioni intervengano in materia di azione di prevenzione e assistenza per i soggetti a rischio di droga anche con proprie ulteriori iniziative e mediante l’utilizzo di fondi del proprio bilancio. D’altro canto, a conferma della non irragionevolezza della previsione, assume un significato notevole, sul piano logico-giuridico, la circostanza che la Conferenza unificata aveva espresso, sul punto e senza alcun dissenso, parere favorevole; come pure la circostanza che le competenze regionali sui servizi sociali erano all’epoca in una fase transitoria di non completa attuazione. Sicchè non é irragionevole la differenza rispetto alle successive percentuali di ripartizione.

Del resto, é evidente il carattere transitorio dei criteri di ripartizione, limitati agli anni 1997 e 1998, in attesa dell’attuazione dell’art. 132 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, e della elaborazione delle nuove norme in materia di lotta alla droga, che nel complesso avrebbero determinato un ampliamento delle funzioni regionali e quindi giustificato una modifica delle percentuali di ripartizione del fondo.

Quanto alla mancata considerazione di progetti di iniziativa delle Aziende sanitarie locali (ASL), é sufficiente il rilievo che le ASL non erano all’epoca previste come soggetti legittimati a presentare direttamente progetti da finanziare sui predetti fondi statali (si veda il d.P.R. n. 309 del 1990, nell’originario testo), e che non vi era alcuna preclusione a che tali progetti rientrassero senz’altro nella quota dei Comuni, come interventi comunali in collaborazione con le ASL territorialmente competenti (ciò, nonostante l’annullamento della previsione prioritaria dell’art. 4, ultimo comma, del d.P.C.m.). Tale interpretazione rafforza la non irragionevolezza della scelta operata sulle percentuali da ripartire alle Regioni.

5.- Anche per il terzo motivo é caduto il profilo attinente alla mancata consultazione delle Regioni.

Per quanto riguarda i dati di riferimento ai fini della ripartizione, l’art. 2 del d.P.C.m. si richiama a dati nazionali (ISTAT) solo per la popolazione giovanile residente, mentre non esiste alcun limite circa la provenienza degli altri elementi base, alla cui elaborazione certamente possono concorrere le Regioni, anche in merito alla ripartizione regionale dei fondi destinati ai Comuni. Sicchè deve escludersi qualsiasi lesione della sfera regionale e negarsi conseguentemente fondatezza al motivo proposto dalla Regione Lombardia.

6.- Egualmente privo di fondamento é il quinto motivo, in quanto la previsione dell’art. 6 del d.P.C.m. impugnato, relativa al concorso delle Regioni nella valutazione dei progetti presentati dai Comuni, non rappresenta affatto una devoluzione di istruttoria (con i relativi oneri e aggravi di spese) alle Regioni; ciò in quanto l’istruttoria é affidata espressamente ad una apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 6, comma 1), del resto in conformità al sistema istruttorio (mediante apposita commissione) previsto dall'art. 127, comma 6, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (nel testo anteriore alla legge 18 febbraio 1999, n. 45) e dall'art. 1, comma 10, della legge 28 marzo 1997, n. 86.

La partecipazione regionale, mediante preliminare esame dei progetti dei Comuni - pienamente accettata dalle Regioni in sede di Conferenza unificata -, deve leggersi come avente la finalità esclusiva di rispetto sia delle prerogative regionali sia del principio di leale collaborazione nei rapporti Stato-Regioni. Soprattutto tale previsione risponde all’esigenza che ciascuna Regione (nell’ambito della rispettiva competenza territoriale) sia, quanto meno, partecipe e coinvolta nel procedimento di finanziamento delle iniziative e dei progetti dei Comuni (ed altri enti locali).

Le Regioni possono così esprimere anche valutazioni e sono facoltizzate ad inviare elementi sulla situazione locale, proprio nelle ipotesi ritenute ammissibili di finanziamento statale nell’ambito di fondi straordinari ed unitari, quando tali iniziative e progetti comunque interferiscano con materie di competenza regionale. Infatti, é stato riconfermato - ed anzi accentuato - il ruolo regionale come "centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali" (sentenze n. 408 del 1998 e n. 343 del 1991), anche nella fase transitoria, caratterizzata - all’epoca del decreto impugnato - dall’attesa del previsto intervento regionale di definizione del riparto, nel proprio interno, tra funzioni delle stesse Regioni e funzioni rimesse alle autonomie locali, secondo criteri analoghi a quelli delle legislazione statale (sentenza n. 408 del 1998).

7.- Infine é privo di fondamento anche il sesto ed ultimo motivo di ricorso, riferito all’art. 7 del d.P.C.m. impugnato, in quanto l’audizione della Conferenza unificata (Stato-città ed autonomie locali e Stato-Regioni), per l’approvazione dei progetti sia regionali sia comunali, rientra nell’ipotesi di materie e compiti di interesse comune (art. 8, comma 1, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281) e corrisponde a quelle stesse esigenze - sopra sottolineate - di esame unitario nella ripartizione dei fondi, che valgono anche nella fase finale dell'approvazione dei progetti.

D’altro canto il sistema procedimentale di espressione e formazione dell’assenso dei partecipanti alla Conferenza unificata, quale previsto dalla legge di delega e dall’art. 9, comma 4, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, garantisce pienamente l’identità delle due Conferenze e delle rappresentanze in esse presenti, nel quadro di una semplice unificazione funzionale, che mantiene il sistema di rappresentanza delle istanze regionali, con espressione distinta della volontà delle Regioni (sentenza n. 408 del 1998).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato e, per esso, al Presi

dente del Consiglio dei ministri fissare con proprio decreto le priorità cui devono attenersi le Regioni ed i Comuni per la predisposizione dei progetti da presentare per il finanziamento del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998; conseguentemente annulla, nella parte riguardante le Regioni e i Comuni, l’art. 4 del d.P.C.m. 19 ottobre 1998 (Definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998), firmato per delega dal Ministro per la solidarietà sociale, impugnato con il ricorso in epigrafe;

dichiara che spetta allo Stato e, per esso, al Presidente del Consiglio dei ministri fissare con d.P.C.m., previa consultazione delle Regioni mediante Conferenza unificata, i criteri e le modalità di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2001.