ORDINANZA N. 154
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 17 (Pene principali: specie), 18 (Denominazione e classificazione delle pene principali) e 24 (Multa) ( quest'ultimo come sostituito dall'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ( del codice penale, dell’art. 660 (Esecuzione delle pene pecuniarie) del codice di procedura penale e degli articoli 102 e 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 2000 dal Tribunale di sorveglianza per i minorenni di Napoli, iscritta al n. 606 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 21 giugno 2000, pervenuta a questa Corte l’11 settembre 2000, il Tribunale per i minorenni di Napoli, in funzione di Tribunale di sorveglianza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, degli articoli 17 (Pene principali: specie), 18 (Denominazione e classificazione delle pene principali) e 24 (Multa) – quest'ultimo come sostituito dall'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 – del codice penale "nei limiti in cui non escludono l'applicabilità della pena pecuniaria all'imputato minorenne", nonchè dell’art. 660 (Esecuzione delle pene pecuniarie) del codice di procedura penale e degli articoli 102 e 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "nei limiti in cui non escludono l'applicabilità ai condannati da minorenne della conversione della pena pecuniaria in pena diversa";
che il remittente, chiamato a pronunciarsi sulla revoca, a carico di un condannato per fatto commesso durante la minore età, della libertà controllata – in cui era stata in precedenza convertita, per insolvibilità, la pena pecuniaria inflitta – per mancato rispetto delle relative prescrizioni, ritiene che le norme impugnate violino il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, non apparendo conforme a logica che un minorenne possa essere condannato ad una pena, quella pecuniaria, che, salvo il caso di intervento di parenti, non sarebbe per il condannato eseguibile, non avendo egli, proprio perchè minorenne, disponibilità economica;
che tale irragionevolezza emergerebbe anche dal confronto con le norme (art. 10 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448; art. 29 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272) che, rispettivamente, escludono l'esercizio dell'azione civile nel processo penale minorile, ed escludono che l'imputato minorenne possa essere condannato a rifondere le spese di giudizio e quelle di mantenimento in carcere, norme la cui ratio risiederebbe nel riconoscimento della incapacità economica del minorenne: ciò renderebbe ancor più irrazionale la possibilità, derivante dalle norme impugnate, di condannare il minorenne a pena pecuniaria che, in caso di insolvibilità, si converte dapprima in libertà controllata e poi in pena detentiva, ipotesi – quest'ultima – che non sarebbe marginale in quanto sarebbe "pressochè inevitabile" che il giovane condannato violi le prescrizioni, specie quando la libertà controllata sia applicata per un tempo non breve;
che, sempre ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate violerebbero altresì l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la possibilità di infliggere una pena pecuniaria contrasterebbe con il principio di rieducatività della pena, posto alla base del sistema sanzionatorio minorile, e con il principio di minima afflittività del processo penale per il minorenne, cui si ispirerebbe il sistema normativo; detta pena non avrebbe funzione rieducativa, sia per la impossibilità per il minore di sottoporvisi, sia per il rischio – che sarebbe quasi una certezza – di trasformazione dapprima in una limitazione della libertà, e poi nel carcere;
che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Considerato che il Tribunale di sorveglianza remittente non é chiamato ad applicare, nel giudizio a quo ( concernente la conversione della libertà controllata in pena detentiva per inosservanza delle relative prescrizioni, a norma dell'art. 108 della legge n. 689 del 1981 ( nè gli articoli 17, 18 e 24 del codice penale, che prevedono le pene pecuniarie senza escluderle per gli imputati minorenni, e che hanno trovato già applicazione nel giudizio di cognizione con la condanna inflitta, e divenuta definitiva, a pena pecuniaria; nè l'art. 660 cod. proc. pen. e l'art. 102 della legge n. 689 del 1981, che hanno trovato già applicazione ad opera del competente magistrato di sorveglianza, il quale ha provveduto alla conversione della pena pecuniaria in libertà controllata per insolvibilità del condannato;
che pertanto la questione, relativamente alle predette norme, é manifestamente inammissibile per difetto palese di rilevanza;
che, quanto all'art. 108 della legge n. 689 del 1981 – del quale unicamente il Tribunale é chiamato a fare applicazione nella specie –, la questione (peraltro prospettata, anche a questo riguardo, con prevalente riferimento al problema della legittimità di una condanna a pena pecuniaria nel caso di imputato che abbia commesso il fatto in età minore, e con riferimento alla "incapacità economica" del minore, affermata senza tener conto della distinzione fra incapacità di agire, a certi effetti, del minorenne e titolarità da parte sua – che può sussistere – di beni e di redditi) appare comunque priva di consistenza;
che, infatti, in primo luogo, le prescrizioni inerenti alla libertà controllata (che peraltro, quando il condannato sia minorenne al momento in cui inizia l'esecuzione, é eseguita, ai sensi dell'art. 75 della legge n. 689 del 1981, nelle forme dell'affidamento in prova al servizio sociale) sono determinate, in parte, dal magistrato di sorveglianza che provvede alla conversione della pena pecuniaria (art. 107, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, che rinvia all'art. 62 della stessa legge), e può quindi adattare le prescrizioni medesime alla situazione individuale del condannato in funzione delle esigenze della sua risocializzazione, e modificarle per sopravvenuti motivi di assoluta necessità (art. 64, primo comma, della legge n. 689 del 1981);
che, comunque, non appare in fatto fondata l'asserzione del remittente, secondo cui la violazione delle prescrizioni da parte del giovane condannato sarebbe "pressochè inevitabile" specie quando la libertà controllata sia applicata per un tempo non breve; dovendosi inoltre sempre apprezzare in concreto, in sede di decisione sulla conversione della libertà controllata per inosservanza delle prescrizioni, il carattere sostanziale della violazione, al di fuori di un totale e cieco automatismo;
che, in ogni caso, l'ipotesi della conversione della libertà controllata in pena detentiva non é affatto inevitabile, posto che é sempre possibile disporre, in suo luogo, l'affidamento al servizio sociale, oltre che la semilibertà, non operando, nel caso di conversione della libertà controllata derivante a sua volta da conversione di pena pecuniaria, il divieto (peraltro comunque inapplicabile ai condannati minorenni, in forza della sentenza n. 109 del 1997) di cui all'art. 67 della legge n. 689 del 1981 (art. 108, primo comma, ultimo periodo, della legge n. 689 del 1981: e cfr. in proposito ordinanza n. 418 del 1990);
che la questione deve dunque dichiararsi in parte manifestamente inammissibile e in parte manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 17 (Pene principali: specie), 18 (Denominazione e classificazione delle pene principali) e 24 (Multa) ( quest'ultimo come sostituito dall'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ( del codice penale, nonchè dell'art. 660 (Esecuzione delle pene pecuniarie) del codice di procedura penale e dell'art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Napoli, in funzione di Tribunale di sorveglianza, con l'ordinanza in epigrafe;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 108 della predetta legge n. 689 del 1981, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Napoli, in funzione di Tribunale di sorveglianza, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2001.