SENTENZA N. 120
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionalità dell'art. 299, primo e secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 2000 dalla Corte di appello di Palermo sul ricorso proposto da S. L., iscritta al n. 472 del registro ordinanze 2000 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2001 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
1.— La Corte di appello di Palermo, adìta in sede di impugnazione del decreto col quale il Tribunale di quella città aveva respinto la richiesta di L. S. di poter aggiungere al cognome acquisito con l’adozione il proprio cognome originario, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell’art. 299 codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione.
Premette in punto di fatto il giudice a quo che il ricorrente, nato nel 1945 e coniugato, é stato adottato da A. S. con decreto del 4 giugno 1999; a sèguito di ciò, egli ha chiesto al Tribunale di poter conservare il proprio cognome anteponendolo a quello adottivo, domanda respinta perchè, trattandosi di figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’art. 299 cod. civ. prevede espressamente che, in tale caso, l’adottato assuma come unico cognome quello dell’adottante.
Ciò posto la Corte rimettente osserva che la norma impugnata non é suscettibile di ricevere un’interpretazione adeguatrice, perchè il testo della stessa esprime, oggettivamente, un dato lessicale indiscutibile. Ne consegue, perciò, la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale dei primi due commi dell’art. 299 cod. civ.; questione che é rilevante, perchè dal suo accoglimento deriverebbe il buon esito del gravame, e non manifestamente infondata in riferimento agli invocati parametri. Rileva in proposito il giudice a quo che il nome ha, nell’attuale ordinamento, un valore fondamentale di identificazione della persona umana, al punto da qualificarsi come un diritto della personalità. Tale diritto si collega a quello, più ampio, all’identità personale, quale si é andato progressivamente maturando nella giurisprudenza e nella coscienza sociale. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 13 del 1994, ha riconosciuto che il diritto all’identità personale rientra nella tutela prevista dall’art. 2 della Costituzione, contribuendo a formare il patrimonio inviolabile della persona umana.
La norma impugnata, introdotta nel suo testo attuale dall’art. 61 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), ha ribaltato il principio previgente, stabilendo che nell’adozione di maggiorenni l’adottato anteponga il cognome adottivo a quello originario. Ove, però, egli sia figlio naturale non riconosciuto, l’acquisto del nuovo cognome implica automaticamente la perdita di quello originario. Tale principio, se trova in linea di massima una giustificazione nell’antico convincimento di tutelare il figlio nascondendo un cognome imposto dall’ufficiale di stato civile (e, perciò, rivelatore dell’origine illegittima), appare, invece, palesemente irrazionale nell’ipotesi dell’adozione di un maggiorenne. Quest’ultimo, infatti, essendo ormai una persona adulta, ha una posizione familiare e sociale da tutelare, rispetto alla quale il cognome originario, benchè imposto dall’ufficiale di stato civile, é ormai un segno distintivo che costituisce parte integrante dell’identità personale, avendolo egli anche trasmesso ai propri figli; la sua eliminazione, quindi, si risolve in un’oggettiva lesione della predetta identità, con conseguente violazione dell’art. 2 della Carta fondamentale.
Al giudice a quo, inoltre, la norma appare anche in conflitto con gli artt. 3 e 30 Cost., perchè il figlio naturale non riconosciuto ha lo stesso diritto del figlio legittimo di tutelare il proprio cognome, mentre la norma impugnata determina "un’ingiustificata disparità di trattamento tra figli non riconosciuti (e non riconoscibili) e figli legittimi".
Considerato in diritto
1.— La Corte di appello di Palermo dubita della legittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell’art. 299 codice civile, nella parte in cui prevedono che l’adottato anteponga il cognome adottivo a quello originario e che, qualora il medesimo sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, egli assuma solo il cognome dell’adottante, perdendo, perciò, quello originariamente imposto dall’ufficiale di stato civile.
Il giudice a quo ritiene che tale previsione sia lesiva degli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, innanzitutto perchè, trattandosi di adottato maggiorenne, il cognome originario ha ormai acquisito per lui il carattere di segno distintivo dell’identità personale, avendolo l’interessato trasmesso ai propri figli ed essendo egli, comunque, identificato in tal modo nel contesto familiare e sociale di appartenenza; ed in secondo luogo perchè il figlio naturale non riconosciuto ha lo stesso diritto del figlio legittimo di tutelare il proprio cognome, mentre la norma impugnata determina "un’ingiustificata disparità di trattamento tra figli non riconosciuti (e non riconoscibili) e figli legittimi".
La prospettazione dell’ordinanza investe, seguendo l’ordine logico, preliminarmente il secondo comma della norma impugnata, che non permette all’adottato di mantenere il proprio cognome e, subordinatamente all’accoglimento, anche il primo comma, poichè il giudice rimettente pare richiedere alla Corte una pronuncia manipolativa che, invertendo la regola vigente, consenta all’adottato di anteporre il cognome originario rispetto a quello adottivo.
2.— La questione principale é fondata.
Il secondo comma dell’art. 299 cod. civ., nel regolare l’assunzione del cognome in caso di adozione di maggiorenne che abbia la qualità di figlio naturale, prevede, nel suo primo periodo, che, qualora si tratti di figlio naturale non riconosciuto, l’adottato assuma solo il cognome dell’adottante. La ratio di tale norma, sulla quale non ha inciso la sostituzione operata dall’art. 61 della legge 4 maggio 1983, n. 184, risiede – come rileva la relazione ministeriale – nella ritenuta opportunità di far scomparire il cognome imposto dall’ufficiale di stato civile ai sensi dell’art. 71, ultimo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238.
Tale scelta, peraltro, risulta in contrasto con l’invocato art. 2 della Costituzione, dovendosi ormai ritenere principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui il diritto al nome – inteso come primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l’identità personale – costituisce uno dei diritti inviolabili protetti dalla menzionata norma costituzionale (sentenze n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994).
Nel caso in esame, non solo l’interessato ha utilizzato da sempre quel cognome, trasmettendolo anche ai propri figli, ma tale segno distintivo si é radicato nel contesto sociale in cui egli si trova a vivere, sicchè precludere all’adottato la possibilità di mantenerlo si risolve in un’ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto "ad essere se stessi". Ed é innegabile, d’altra parte, che l’antico sfavore verso i figli nati fuori del matrimonio é superato dalla nostra Costituzione oltre che dalla coscienza sociale. Per queste ragioni il fatto che l’adottato acquisisca uno status del quale era privo non é motivo sufficiente per negare la violazione dell’art. 2 della Costituzione.
Non può essere dimenticato, d’altronde, che la norma in esame é anche del tutto irrazionale alla luce della riforma dell’adozione di cui alla menzionata legge n. 184 del 1983. Con questa legge, infatti, si é compiuta una netta distinzione fra l’adozione di minori, sia essa legittimante o meno, e quella di maggiorenni, regolata dal codice civile. Se la ratio della prima é, almeno in linea di massima, quella di fornire al minore una famiglia che sia idonea a consentire nel modo migliore il suo sviluppo – il che spiega l’assunzione, da parte dell’adottato, del solo cognome dell’adottante e la cessazione di ogni rapporto con la famiglia d’origine (art. 27 della legge n. 184 del 1983), salvo la c.d. adozione in casi particolari – l’obiettivo della seconda evidentemente non é il medesimo, poichè tale adozione (art. 300 cod. civ.) non crea alcun vincolo di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, tanto che il primo conserva tutti i propri precedenti rapporti, specie quelli con la famiglia di origine (v. sentenze n. 500 del 2000 e n. 240 del 1998 ed ordinanza n. 82 del 2001).
La scomparsa del cognome originario, dunque, nel caso del maggiorenne appare anche priva di razionale giustificazione, sicchè risulta violato l’art. 3 della Costituzione.
3.— L’ordinanza di rimessione, come si é accennato, prospetta un’ulteriore contrarietà agli invocati parametri della regola prevista dal primo comma dell’art. 299 cod. civ., in base alla quale il cognome dell’adottante deve essere anteposto al proprio.
Alla luce delle considerazioni svolte, la precedenza del cognome dell’adottante non appare irrazionale, così come non può costituire violazione del diritto all’identità personale il fatto che il cognome adottivo preceda o segua quello originario. La lesione di tale identità é ravvisabile nella soppressione del segno distintivo, non certo nella sua collocazione dopo il cognome dell’adottante.
Ne consegue l’infondatezza di questa seconda questione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, dalla Corte di appello di Palermo con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2001.