SENTENZA N. 13
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 165 e seguenti del Regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1992 dal Tribunale di Firenze nel procedimento di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto "Rettifica di atto dello stato civile" promosso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze nei confronti di Lenzi Vieri, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1993;
Udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
l. Il Tribunale di Firenze, in sede di volontaria giurisdizione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.165 e segg. del Regio decreto 9 luglio 1939 n. 1238, nella parte in cui non prevedono che "a seguito di rettifica degli atti dello stato civile per ragioni indipendenti dall'interessato, il soggetto stesso possa mantenere il cognome fino a quel momento attribuito e che e' entrato a far parte del proprio diritto costituzionalmente garantito all'identità personale".
2. Il remittente premette che, ai sensi dell'art. 165 dell'ordinamento dello stato civile, il Procuratore della Repubblica di Firenze ha richiesto la rettifica dell'atto di nascita di Lenzi Vieri, nato a Firenze il 12.6.1972.
In particolare e' stato richiesto che venga eliminata dall'atto la dicitura "moglie di Lenzi Geri" accanto al nome di D'Aquino Maddalena, dichiarantesi madre del Vieri; l'ufficio ricorrente e' stato a ciò sollecitato dal Comune di Firenze, il quale, con proposta del 5 luglio 1991, ha trasmesso sentenza penale della Corte d'Appello di Firenze dichiarativa della falsità parziale dell'atto di nascita prima citato.
All'udienza di comparizione delle parti il Lenzi richiedeva di conservare il proprio nome, quale segno distintivo, ormai acquisito, nelle proprie relazioni sociali.
3. Ciò premesso, il Tribunale di Firenze rileva la sussistenza di un interesse concreto, attuale ed immediato del Lenzi a conservare integralmente il proprio nome, mentre, in caso di rettifica, sarebbe conseguenza automatica ed inevitabile il cambiamento del cognome attuale con quello della madre poiche', in base all'articolo 262 del codice civile, il figlio, a questo punto naturale, assume il cognome dell'unico genitore che lo ha riconosciuto.
Ad avviso del giudice a quo, se la rettifica è atto dovuto, in quanto la fidefacienza del registro dello stato civile risponde ad un pubblico interesse ed a una pubblica necessità, nondimeno può configurarsi il diritto del Lenzi Vieri di conservare il nome con il quale è individuato, conosciuto, trattato e stimato nell'ambiente in cui vive.
4. Ma nell'ordinamento dello stato civile, prosegue il Tribunale, non esiste una norma di salvaguardia applicabile alla fattispecie, poiché' l'inciso di cui all'art. 165 "avvertite le parti interessate e senza pregiudizio dei loro diritti" certo non può essere fatto valere dal Lenzi che, da un lato, certamente non vanta un diritto alla non rettificazione dell'atto pubblico, dall'altro non vede protetto il diritto al proprio nome dall'art. 6 del codice civile, il quale tutela il "nome che per legge e' attribuito", e non il nome che il soggetto abbia portato per un tempo indefinito senza averne diritto.
Ne' l'angusto ambito nel quale (art. 7 c.c.) è tutelato il diritto al nome (ed anche allo pseudonimo allorché' abbia assunto la stessa importanza del nome), nel senso dell'attribuzione del potere di far cessare il fatto lesivo altrui e ottenere il ristoro del danno, può esaudire le esigenze di protezione di un diritto all'identità personale che può direttamente farsi risalire all'art. 2 della Costituzione, quale garanzia generale di tutela della persona umana.
Anche la Corte di cassazione, rileva ancora il remittente, ebbe a considerare che "ciascun soggetto ha un interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva", e, sulla scorta di tale insegnamento, sottolinea che il Lenzi Vieri non mira a conservare il cognome del presunto padre, ma il proprio segno distintivo, che possiede rilevanza e autonomia proprie, e che ormai fa parte della sua soggettività come caratteristica precisa, personalissima e proiettata all'esterno.
In tale prospettiva l'automatico cambiamento del cognome, palesando immediatamente all'esterno l'origine illegittima dell'interessato, sarebbe suscettibile di produrre un evidente danno anche all'altro personalissimo diritto alla reputazione.
5. Espone ancora il Tribunale di Firenze che esistono già, nell'Ordinamento, alcuni chiari esempi in cui tale situazione soggettiva viene considerata e tutelata: l'art.262, secondo comma, del codice civile consente infatti una possibilità di deroga alla regola generale, dando facoltà al figlio tardivamente riconosciuto dal padre di conservare il cognome originario (mentre prima del 1975 l'assunzione del cognome paterno era automatica), e, per altro verso, nonostante il riconoscimento possa essere rispondente a verità, non produce effetto senza l'assenso del maggiore di sedici anni (art. 250, secondo comma, del codice civile), con ciò proteggendo appunto il diritto all'identità personale fino a quel momento posseduta dal soggetto riconosciuto.
In conclusione, sarebbe configurabile un diritto del soggetto al cognome assunto, con precise radici nella norma costituzionale citata, e che è indipendente da quello dei genitori e dunque da quello che successivamente si riconosca spettante in forza della normativa sullo stato civile. Se quindi e' pregiudizievole l'uso indebito che altri faccia del nome spettante al soggetto, parimenti e forse ancor più pregiudizievole dovrebbe ritenersi la cessazione dell'uso cui il soggetto sia costretto per fatti accertati aliunde che lo vedono estraneo e che si riverberano su una parte rilevante della sua personalità, la quale, perché' a lungo esteriorizzata, ha ormai assunto una dimensione oggettiva.
Considerato in diritto
l. Il Tribunale di Firenze, in sede di volontaria giurisdizione, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 2 della Costituzione, degli artt. 165 e sgg. dell'ordinamento dello stato civile (R.D. 9 luglio 1939, n. 1238), nella parte in cui non prevedono che "a seguito della rettifica degli atti dello stato civile, per ragioni indipendenti dall'interessato, il soggetto stesso possa mantenere il cognome fino a quel momento attribuito e che e' entrato a far parte del proprio diritto costituzionalmente garantito all'identità personale".
2. Il giudice remittente premette che il Procuratore della Repubblica di Firenze ha chiesto, ai sensi del citato art.165, la rettifica dell'atto di nascita di Lenzi Vieri, nato a Firenze il 12 giugno 1972, e, in particolare, l'eliminazione dall'atto dell'annotazione "moglie di Lenzi Geri" accanto al nome di D'Aquino Maddalena, dichiarantesi madre del Vieri;
ciò in seguito a sentenza penale della Corte d'Appello di Firenze dichiarativa della falsità parziale, nei termini sopraindicati, dell'atto di nascita. All'udienza di comparizione delle parti (e cioe' del Lenzi Vieri, della D'Aquino e del pubblico ministero) il Lenzi richiedeva di conservare il proprio cognome quale segno distintivo, ormai acquisito, della sua identità personale.
3. Ciò premesso, il giudice a quo rileva la sussistenza di un interesse concreto ed attuale del Lenzi a mantenere l'integrità del proprio nome, mentre, in caso di rettifica, "sarebbe conseguenza automatica ed inevitabile il cambiamento del cognome attuale in quello della madre, poiché', giusta il disposto dell'articolo 262 del codice civile, il figlio, a questo punto naturale, assume il cognome dell'unico genitore che lo ha riconosciuto".
Se però la rettifica e' atto dovuto, in quanto la fidefacienza del registro dello stato civile risponde ad una pubblica necessità - prosegue il remittente - accanto ad essa può configurarsi il diritto del Lenzi Vieri a conservare il nome con il quale fin dalla nascita e' stato individuato, conosciuto e stimato nel proprio ambiente sociale, e che perciò ha assunto le caratteristiche di un segno distintivo, con rilevanza ed autonomia proprie, della sua identità, come caratteristica precisa, personalissima e proiettata all'esterno.
Ma nell'ordinamento dello stato civile, conclude il Tribunale di Firenze, non esiste una norma di salvaguardia applicabile alla fattispecie, sebbene le esigenze di protezione dell'identità personale trovino riconoscimento diretto nell'art. 2 della Costituzione quale garanzia generale di tutela della persona umana.
La denunziata illegittimità costituzionale consisterebbe pertanto nel mancato riconoscimento del diritto del soggetto al mantenimento del cognome attribuito, allorquando il medesimo sia ormai da ritenersi parte integrante della propria identità personale, indipendentemente da quello che successivamente si riconosca spettante in forza dei rapporti di filiazione correttamente accertati.
4. In questi termini la questione e' fondata.
E' opportuno precisare, in primo luogo, che la questione sollevata dal Tribunale di Firenze riguarda esclusivamente il diritto al mantenimento del nome, quale segno distintivo irrinunciabile dell'identità personale: la soluzione della questione stessa non può avere incidenza alcuna sulle norme del codice civile, o di altre leggi speciali, che riguardano le azioni di status o i rapporti di filiazione in genere.
Nel nostro ordinamento, infatti, l'attribuzione del cognome e' ordinariamente conseguente al possesso di uno status familiae, per cui quando l'art. 6 del codice civile dispone: "Ogni persona ha diritto al nome che le e' per legge attribuito" non rinvia a norme che disciplinano direttamente l'acquisto del nome, bensì a norme che regolano in genere il riconoscimento di uno status (e cioe' prendono in esame tutte le possibili vicende in tema di filiazione legittima, naturale, legittimazione e adozione) e quindi, indirettamente, l'assunzione del nome.
Ma non mancano neppure casi - come in seguito si dirà - in cui non si dà, o non si dà più, corrispondenza tra nome e status, e nei quali, proprio a tutela e protezione della persona, può esserle riconosciuto il diritto alla conservazione di un nome per il quale non ha, o non avrebbe più, titolo.
Nell'ipotesi in esame, mentre e' assolutamente pacifico che l'atto di nascita dell'interessato debba essere rettificato, e che debba indicare l'esatto rapporto di filiazione quale risulta dal rispetto delle norme in materia, viene soltanto in discussione - come sottolinea il giudice a quo - il diritto del soggetto stesso a mantenere il cognome, non in quanto derivatogli dal presunto padre, bensì come segno distintivo che ha comunque assunto la rilevanza e l'autonomia proprie di una caratteristica precisa e personalissima della sua identità.
5.l. Ciò posto, e' certamente vero che tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all'identità personale.
Si tratta - come efficacemente e' stato osservato - del diritto ad essere se' stesso, inteso come rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo.
L'identità personale costituisce quindi un bene per se' medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno e' riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata.
5.2. Tra i tanti profili, il primo e più immediato elemento che caratterizza l'identità personale e' evidentemente il nome - singolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto nel successivo art. 22 della Costituzione - che assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione.
Ora, posto che nella disciplina giuridica del nome confluiscono esigenze di natura sia pubblica che privata, l'interesse pubblico a garantire la fede del registro degli atti dello stato civile e' soddisfatto allorche' sia rettificato l'atto riconosciuto non veritiero.
Una volta certi i rapporti di famiglia della persona, non assume rilevanza ai fini dell'interesse pubblico che questi mantenga il nome precedentemente portato al pari di qualsiasi altro omonimo.
Del resto, l'eventualità che il cognome possa essere diverso dalla paternità accertata non e' un'ipotesi estranea all'ordinamento: essa e' già prevista al secondo comma dell'art. 262 del codice civile, il quale consente al figlio tardivamente riconosciuto dal padre di scegliere se conservare o meno il cognome originario, nonostante il riconoscimento sia rispondente a verità; con ciò tutelando proprio il diritto del soggetto all'identità personale fino a quel momento posseduta.
5.3. In breve, accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, occorre riconoscere che il cognome stesso in alcune ipotesi già gode di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona, e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità.
Da qui l'esigenza di protezione dell'interesse alla conservazione del cognome, attribuito con atto formalmente legittimo, in presenza di una situazione nella quale con quel cognome la persona sia ormai individuata e conosciuta nell'ambiente ove vive. La stessa tutela (art.9 del codice civile) dello pseudonimo non ha altra ragione, ed anche la norma prima citata (art. 262, secondo comma, del codice civile) ha alla base l'esplicito riconoscimento del pregiudizio che la dismissione del cognome, cui il soggetto sia costretto, comporterebbe.
Sotto questo aspetto anche la disciplina dello scioglimento del matrimonio per divorzio prende in considerazione - tra gli altri - tale interesse in quanto non preclude la conservazione alla donna del cognome del marito (pur se la regola e' la perdita del cognome aggiunto), potendo il Tribunale autorizzare la donna che ne faccia richiesta a mantenerlo, aggiunto al proprio, quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela.
6. Per altro verso, occorre rilevare che l'azione di rettifica oggetto del giudizio a quo può essere promossa dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 165 dell'ordinamento dello stato civile, "in ogni tempo";
con la ulteriore conseguenza che ove l'interessato fosse costretto a mutare il cognome in età avanzata, l'effetto ricadrebbe inevitabilmente su tutta la sua discendenza, portatrice anch'essa del medesimo cognome.
Basta riflettere sulla gravissima confusione e sull'incertezza dei rapporti giuridici che una siffatta situazione sarebbe suscettibile di generare, per rendersi immediatamente conto della coincidenza, sotto tale profilo, tra l'interesse generale alla certa e costante identificazione delle persone e quello individuale al mantenimento di un cognome ormai divenuto irreversibile segno distintivo dell'identità personale.
7. Nel novero delle disposizioni contenute nel titolo IX dell'ordinamento dello stato civile, de dicato alle rettificazioni ed alle annotazioni degli atti, l'art. 165 detta una regola di carattere sostanziale disponendo che il Procuratore della Repubblica possa promuovere le azioni di rettificazione richieste dall'interesse pubblico, avvertite le parti interessate, "e senza pregiudizio dei loro diritti";
poiche' in questa sede si fa espressa salvezza dei diritti delle parti interessate ma non e' previsto il diritto al mantenimento del cognome fino a quel momento attribuito e che e' divenuto segno distintivo dell'identità personale, e' di questa norma che va dichiarata, in parte qua, l'illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 2 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 165 del Regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome, il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 03/02/94.