ORDINANZA N. 106
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1998), promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 15 marzo 1999, depositato in cancelleria il 23 successivo e iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1999.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi gli avvocati Giuseppe F. Ferrari e Massimo Luciani per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Regione Lombardia, con ricorso regolarmente notificato e depositato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1998), che, disponendo l’attuazione di un elenco di direttive mediante regolamento ministeriale o atto amministrativo, violerebbe gli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 della Costituzione;
che ad avviso della ricorrente numerose direttive elencate nell’allegato D alla legge n. 25 del 1999 disciplinano materie riguardo alle quali la potestà legislativa e amministrativa regionale è garantita dall’art. 117 della Costituzione, e che sin dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), sono state oggetto di trasferimento di funzioni e risorse;
che inoltre il comma 3 dell’impugnato art. 4, nel prevedere la facoltà per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di inviare, nelle materie di loro competenza, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 25 del 1999, alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie proposte in merito al contenuto dei regolamenti o degli atti amministrativi di attuazione del diritto comunitario, introdurrebbe un procedimento in parte divergente rispetto a quello delineato dalla legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), ove si dispone che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario sia prodotto direttamente dalla legge comunitaria, da decreti legislativi delegati o da regolamenti governativi (art. 3), mentre l’attuazione mediante atti amministrativi sarebbe ammessa solo «per materie particolari» (art. 4, comma 7);
che la ricorrente, rilevato come i principi stabiliti dalla legge n. 25 del 1999 con riferimento all’attuazione del diritto comunitario mediante decreti legislativi delegati e regolamenti autorizzati facciano espressamente salva la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato, regioni e province autonome, mentre analoga salvaguardia non sarebbe disposta dall’art. 4 riguardo all’attuazione mediante regolamenti ministeriali od atti amministrativi, lamenta che l’omissione non potrebbe ritenersi casuale, ma intesa ad escludere il vincolo al rispetto delle competenze regionali nell’attuazione in via amministrativa o tramite regolamento ministeriale;
che ulteriore profilo di incostituzionalità deriverebbe dall’aver il legislatore predisposto l’attuazione amministrativa e con regolamento ministeriale non su materie «particolari», bensì riguardo a un complesso di direttive, senza compiere alcuna valutazione in ordine alla effettiva necessità di provvedere in tal modo, violando il principio costituzionale di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative (art. 3 della Costituzione) e ledendo le attribuzioni regionali di cui agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione;
che il principio di autonomia tutelato dall’art. 5 della Costituzione verrebbe leso dal meccanismo dell’art. 4, comma 3, della legge n. 25 del 1999, che vedrebbe un ruolo eventuale e meramente propositivo delle regioni, lasciando ai Ministeri le determinazioni sul contenuto degli atti da adottare, mentre spetterebbe alle prime di recepire il diritto comunitario al proprio interno in tutti i casi in cui l’attuazione delle norme comunitarie attinge materie di loro competenza, pur nel rispetto dell’interesse nazionale e dei limiti posti dalla Costituzione all’esercizio delle funzioni legislative ed amministrative regionali: l’intervento statale dovrebbe al contrario avere carattere residuale e risultare adeguatamente motivato in ordine ai presupposti giustificativi e costituzionali, potendosi ammettere solo ove tenda a soddisfare esigenze di unitarietà nel recepimento, oppure ad ottemperare a obblighi posti dalle disposizioni comunitarie in presenza di omissioni da parte delle regioni o, infine, ove esso sia imposto da ragioni di urgenza;
che un ulteriore ed «ancor più radicale» profilo di incostituzionalità della disposizione impugnata viene individuato nella violazione delle garanzie procedurali che dovrebbero presiedere all’intervento statale in attuazione della normativa comunitaria;
che a tale proposito è richiamata nel ricorso la sentenza n. 126 del 1996 di questa Corte, dalla quale la Regione Lombardia ricava l’ammissibilità di interventi statali preventivi e “cedevoli” rispetto alla successiva produzione normativa regionale, al fine di rispondere ad esigenze di garanzia del quadro nazionale, ma tassativamente circoscritti all’esercizio di poteri in via d’urgenza, di legislazione di principio e di dettaglio suppletiva e cedevole, oltre che di indirizzo e coordinamento, a norma dell’art. 9 della legge n. 86 del 1989; ne conseguirebbe che il regolamento ministeriale e l’atto amministrativo sarebbero esclusi dal novero degli strumenti di intervento disponibili per l’attuazione delle direttive comunitarie proprio perché privi del necessario corredo di garanzie procedurali desumibili, ad avviso della ricorrente, dai principi che regolano l’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, imponendo l’intervento del Parlamento o del Governo anziché del singolo Ministro;
che, infine, viene lamentata la violazione dell’art. 11 della Costituzione, in relazione agli artt. 5, 117 e 118, atteso che le limitazioni di sovranità cui lo Stato può consentire devono rispettare i principi fondamentali della Costituzione, tra i quali si annoverano quelli che garantiscono l’autonomia regionale;
che nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata, poiché la disposizione impugnata non avrebbe portata generale o di principio, essendo rivolta all’attuazione di un numero di direttive ben definito, risultante dall’allegato D alla legge; la questione relativa all’idoneità a ledere competenze costituzionalmente garantite non avrebbe dovuto, ad avviso dell’Avvocatura, essere sollevata in astratto, bensì accertata con riferimento a ciascuna direttiva inclusa nell’allegato D, secondo la specifica attribuzione - risultante dall’art. 117 della Costituzione - di volta in volta interessata; in subordine l’Avvocatura ha richiesto una pronuncia di infondatezza perché il recepimento delle direttive indicate non involgerebbe competenze regionali;
che in prossimità dell’udienza la Regione Lombardia ha depositato una memoria illustrativa nella quale ha ribadito ulteriormente le argomentazioni sostenute nel ricorso.
Considerato che la Regione Lombardia solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1998), per violazione degli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 della Costituzione;
che, in particolare, la ricorrente si duole (a) del comma 1 dell’articolo anzidetto il quale, prevedendo che «l’allegato D [alla legge] elenca le direttive attuate o da attuare mediante regolamento ministeriale da emanare ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, o atto amministrativo, nel rispetto del termine indicato nelle direttive stesse», configurerebbe un nuovo sistema di adeguamento dell’ordinamento nazionale al diritto comunitario, diverso da quello stabilito dalla legge n. 86 del 1989 e privo di riserve a garanzia delle attribuzioni regionali e troverebbe inoltre irragionevole applicazione in relazione a un complesso di direttive, e non in riferimento a materie particolari (art. 4, comma 7, della legge n. 86 del 1989), con violazione delle attribuzioni regionali; (b) del comma 1 dell’art. 4 anzidetto, in correlazione con il comma 3 del medesimo articolo, il quale – stabilendo che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, «nelle materie di loro competenza, possono inviare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie proposte in merito al contenuto dei provvedimenti da emanare ai sensi del comma 1» - degraderebbe le regioni a un ruolo solo eventuale e propositivo da svolgersi entro un termine irragionevolmente breve, privandole della competenza ad attuare il diritto comunitario nelle materie di loro spettanza e presupponendo un potere dello Stato eminente, estraneo al quadro dei rapporti con l’autonomia normativa regionale delineato dalla Costituzione e definito da questa Corte con la sentenza n. 126 del 1996, incompatibile inoltre con i principi fondamentali della Costituzione (artt. 5, 117 e 118) che nemmeno le «limitazioni di sovranità» consentite dall’art. 11 della Costituzione giustificano;
che l’impugnato art. 4, comma 1, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, non istituisce nuove forme di recepimento delle direttive comunitarie ma, conformemente al suo dettato letterale («L’allegato D elenca ...»), presuppone l’esistenza della disciplina delle forme di recepimento, di cui esso stesso costituisce applicazione, come è confermato dal seguito del comma stesso: «Resta fermo il disposto degli articoli 11 e 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183», i quali, per l’appunto, prevedono in astratto – il primo – l’attuazione degli atti normativi comunitari tramite regolamenti o atti amministrativi generali e – il secondo – l’attuazione tramite decreti ministeriali delle direttive comunitarie nelle parti in cui modifichino modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico di altre direttive già recepite nell’ordinamento nazionale;
che, comunque, l’attuazione delle direttive comunitarie tramite regolamenti ministeriali e atti amministrativi, di cui è questione nella disposizione impugnata, non appare in sé illegittima, comportando ovviamente il necessario rispetto nei casi concreti di tutte le regole che disciplinano tanto la distribuzione del potere normativo tra gli organi dello Stato e tra gli organi del Governo, quanto i presupposti e i limiti materiali del potere statale rispetto alle competenze regionali e provinciali, e non precludendo comunque l’esercizio, anche successivo, da parte delle regioni e delle province autonome degli ordinari poteri che loro spettano nell’attuazione del diritto comunitario;
che, pertanto, le eventuali doglianze regionali e provinciali contro l’attuazione delle direttive comunitarie operata tramite i regolamenti ministeriali e gli atti amministrativi di cui all’impugnato art. 4, comma 1, della legge n. 25 del 1999 hanno da essere dirette nei confronti dei singoli atti attuativi, qualora si prospetti, con la violazione dei limiti che essi incontrano, la lesione delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni e alle province autonome;
che la previsione del comma 3 dell’art. 4, attribuendo alle regioni e alle province autonome la facoltà di formulare proposte all’autorità governativa, per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di loro competenza, lungi dal rappresentare una limitazione dell’autonomia – autonomia che, come già detto, resta integra, secondo i principi sopra richiamati, di fronte all’attuazione regolamentare e amministrativa menzionata dal comma 1 dello stesso art. 4 - costituisce il riconoscimento di una possibilità di partecipazione all’esercizio di poteri che – nei limiti consentiti – spettano allo Stato.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1998), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2001.