Ordinanza n. 102/2001

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ORDINANZA N. 102

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera del Consiglio regionale della Lombardia n. VII/25 del 15 settembre 2000, recante “Proposta di indizione di referendum consultivo per il trasferimento delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale, alla Regione”, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 1° dicembre 2000, depositato in cancelleria il 5 successivo e iscritto al n. 56 del registro conflitti 2000.

 Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

 udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

 uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia.

Ritenuto che con ricorso notificato il 1° dicembre 2000 e depositato il 5 dicembre 2000 il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Lombardia, in relazione alla deliberazione del Consiglio regionale del 15 settembre 2000, n. VII/25, recante “Proposta di indizione di referendum consultivo per il trasferimento delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale, alla Regione”;

che il Governo ricorrente impugna la suddetta deliberazione in quanto con essa il Consiglio regionale della Lombardia, contraddicendo i principi affermati nella sentenza n. 470 del 1992 di questa Corte, chiamerebbe la popolazione iscritta nelle liste elettorali dei Comuni della Regione medesima a esprimere il proprio voto su un quesito (così formulato nella parte dispositiva della deliberazione: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale, alla Regione?”) che, non essendo riferibile a provvedimenti che possano dirsi “di competenza” del medesimo Consiglio regionale, come invece stabilisce l’art. 25, primo comma, della legge della Regione Lombardia 28 aprile 1983, n. 34 (Nuove norme sul referendum abrogativo della regione Lombardia - Abrogazione della legge regionale 31 luglio 1973, n. 26 e successive modificazioni), atterrebbe all’esercizio, da parte del citato Consiglio, della facoltà di presentare alle Camere una proposta di legge di revisione della Costituzione della Repubblica;

che inoltre il ricorrente richiama, a sostegno dell’impugnazione, la sentenza n. 496 del 2000 di questa Corte, che ha definito i limiti della ammissibilità della partecipazione di una frazione del popolo – tramite referendum consultivo in ambito regionale – ai procedimenti di revisione costituzionale, escludendo in particolare che sia consentita una “doppia pronuncia” popolare, di una parte prima e dell’intero poi, relativamente alle decisioni politiche di modifica della Costituzione;

che il ricorrente rileva infine che il quesito referendario oggetto della deliberazione impugnata è privo dei requisiti di chiarezza e di omogeneità, menzionando - accanto a materie che già sono devolute, dalla Costituzione e dalle leggi di attuazione, alle autonomie regionali - materie come “l’istruzione, anche professionale” che implicherebbero una revisione costituzionale, alla stregua del vigente testo dell’art. 117 della Costituzione;

che il Governo ricorrente chiede altresì preliminarmente a questa Corte la sospensione dell’esecuzione della delibera del Consiglio regionale impugnata, sulla duplice premessa della “gravità e vistosità del vulnus arrecato alle attribuzioni statali” e per “l’esigenza di impedire distorsioni e di prevenire emulazioni”, sottolineando, in una successiva memoria, che l’auspicio di “correttezza costituzionale” da parte della Regione è stato frustrato, avendo - successivamente al ricorso - il Presidente della Regione Lombardia disposto, con un proprio decreto del 28 febbraio 2001, lo svolgimento del referendum consultivo, per la data “concomitante con la tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento della Repubblica”, decreto a sua volta separatamente impugnato dallo stesso ricorrente;

che nel giudizio per conflitto così promosso si è costituita la Regione Lombardia, che, richiamando l’art. 65, primo comma, del proprio Statuto e la legge regionale n. 34 del 1983 che ne ha dato attuazione, contesta il presupposto - da cui muove il Governo ricorrente – del necessario collegamento tra il referendum consultivo oggetto della delibera e il procedimento politico-parlamentare di revisione costituzionale, osservando in contrario che l’atto impugnato attiene a “iniziative istituzionali” di “promozione” del trasferimento di talune funzioni statali, nelle materie menzionate, da prendersi “nel quadro dell’unità nazionale”: si tratterebbe dunque di iniziative legislative ordinarie, o in campo organizzativo e amministrativo, ma comunque di attività che non si svolgono sul piano della revisione costituzionale;

che, adducendo altresì profili di possibile “virtualità” del conflitto promosso dal Governo per difetto di lesività da parte dell’atto impugnato di una qualsiasi attribuzione riconducibile a parametri costituzionali, la resistente Regione, nel concludere per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso, chiede la reiezione dell’istanza di sospensione della delibera per cui è conflitto, in particolare osservando – in una memoria successivamente depositata - che il decreto di “indizione” del referendum adottato dal Presidente della Regione costituisce, in base alla disciplina legislativa regionale, un atto dovuto, e che comunque non potrebbero ravvisarsi né gli estremi del fumus boni iuris (per gli argomenti addotti sul merito del conflitto) né un estremo di “danno” a un bene di rilievo costituzionale, non sussistendo alcun pericolo di “soggettivizzazione” della popolazione della Regione Lombardia che sia apprezzabile sul piano costituzionale, né tantomeno sussistendo un corrispondente effetto di pericolo per l’unità della Repubblica.

Considerato che, con la delibera del Consiglio regionale della Lombardia del 15 settembre 2000, gli elettori della Regione Lombardia sono chiamati a pronunciarsi sull’opportunità che la Regione medesima “nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale”;

che tale quesito è posto – secondo il preambolo della delibera della quale esso forma parte integrante - nella prospettiva “di un rafforzamento delle prerogative autonomistiche spettanti alla Regione e di riconduzione di materie di competenza dei ministeri ad un modello di amministrazione e gestione ispirato ad un effettivo federalismo che, in base al principio di sussidiarietà, valorizzi il ruolo e le autonomie di tutti i soggetti istituzionali locali”, al fine di “intraprendere iniziative istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale, alla Regione, nel quadro dell’unità nazionale”;

che la delibera consiliare in questione non coinvolge “scelte fondamentali di livello costituzionale” in presenza delle quali non è consentita la separata consultazione di frazioni del corpo elettorale (sentenza n. 496 del 2000) e che pertanto non ricorrono quelle gravi ragioni che, sole, giustificano la sospensione dell’esecuzione degli atti che danno luogo al conflitto di attribuzione tra Stato e Regione (art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87).

Visti gli artt. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 28 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata ogni pronuncia sul rito e sul merito del ricorso,

rigetta l’istanza di sospensione della delibera del Consiglio regionale della Lombardia n. VII/25 del 15 settembre 2000, presentata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2001.