Ordinanza n. 83/2001

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ORDINANZA N. 83

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1168 del codice civile, promosso con ordinanza emessa l'11 agosto 2000 dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, nel procedimento civile vertente tra Alfredo Giovagnola ed altra e la Provincia di Ancona, iscritta al n. 668 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2001 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con ordinanza in data 11 agosto 2000 il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 44 e 97 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell’art.1168 del codice civile, concernente la disciplina dell’azione di reintegrazione nel possesso, <<nei limiti in cui è applicabile ad atti della pubblica amministrazione>>;

che l’ordinanza è stata pronunziata in un giudizio promosso dai proprietari di un fondo, per essere reintegrati nel possesso della parte di esso occupata dalla Provincia di Ancona, per l’esecuzione di lavori di manutenzione e consolidamento di una strada provinciale, senza alcun previo provvedimento ablatorio;

che l’ordinanza dà atto dei risultati di una consulenza tecnica d'ufficio, secondo cui alcune delle opere eseguite insistevano effettivamente sul terreno dei ricorrenti;

che - ad avviso del giudice rimettente - nella specie la pubblica amministrazione ha, da un lato, agito <<nel solco delle sue funzioni istituzionali>> (conservazione e manutenzione di beni demaniali) e, dall’altro, indebitamente occupato il terreno dei ricorrenti, in via di mero fatto e senza esercitare, nemmeno per implicito, alcun potere idoneo a degradare il diritto dominicale;

che, pertanto, l’azione possessoria dovrebbe, secondo consolidata giurisprudenza, essere ritenuta proponibile;

che questa conclusione - prosegue il rimettente - comporterebbe un’irragionevole estensione della tutela possessoria nei confronti della pubblica amministrazione, <<ben superiore rispetto a quella che subirebbe la lesione del diritto dominicale corrispondente>>, con la conseguente trasformazione del possesso in una posizione soggettiva nel concreto intangibile nei confronti della pubblica amministrazione, in violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (e di quello, ad esso sotteso, di ragionevolezza), del principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97, non essendo in discussione l’utilità intrinseca delle opere contestate, e di tutti i poteri conformativi di cui agli artt. 41 e seguenti, che <<non possono limitarsi ad incidere sulla proprietà e sull’iniziativa economica in genere>>, onde <<occorre conseguentemente modulare le forme di tutela del possesso al sistema generale>>, anche per <<l’esigenza che l’emergere di interessi pubblici venga soddisfatto con modalità e tempi ragionevoli>>.

 Considerato che l’ordinanza di rimessione riconduce tanto la violazione dell’art.3 quanto quella degli artt. 41, 42, 43, 44 e 97 della Costituzione all’asserita irragionevole illimitatezza della tutela possessoria nei confronti della pubblica amministrazione (che abbia operato in via di mero fatto, ma pur sempre nell’ambito delle sue funzioni istituzionali), a fronte dei limiti più rigorosi cui, nella stessa ipotesi, sarebbe soggetta la tutela petitoria;

che peraltro - proprio sul punto concernente l’irragionevole disparità di disciplina che distinguerebbe, nel caso indicato, le due tutele - l’ordinanza fornisce una motivazione inadeguata, oscillando fra una pluralità di profili, non sempre reciprocamente compatibili, e non scegliendo una precisa linea argomentativa;

che, infatti, il giudice rimettente afferma dapprima, con riferimento alternativo alla sede nella quale il privato reagisca, che la tutela possessoria non incontrerebbe alcun limite mentre invece <<il rilievo dell’interesse pubblico, anche nel caso di atto illecito, è stato da tempo soddisfatto dalla giurisprudenza, nel campo del diritto dominicale, con la figura della c.d. accessione invertita>>;

che, subito dopo, però, la motivazione si sposta su un piano diverso e, con riferimento all’esito globale dei giudizi nelle due sedi, l’irragionevolezza viene ravvisata nel differente trattamento che sarebbe riservato al privato possessore vittima dello spoglio, che <<troverà pur sempre, alla fine, soddisfazione in sede petitoria>> [facendo evidentemente valere la sua posizione di <<titolare del diritto dominicale>>], ed alla pubblica amministrazione, la quale <<trova definitiva preclusione, rebus sic stantibus (e a meno che non promuova una procedura ablativa) alla propria attività amministrativa>> [versando quindi in una situazione in cui per definizione non vanterebbe alcun diritto];

che, infine, nel dispositivo il rimettente censura l’art. 1168 del codice civile <<nei limiti in cui è applicabile ad atti della pubblica amministrazione>>, e così pone la questione in termini del tutto diversi da quelli desumibili dalla motivazione, nella quale aveva sempre escluso l’esistenza in concreto di un qualsiasi atto e aveva invece parlato di comportamenti di mero fatto;

che - in ragione di tali ripetuti mutamenti di impostazione della motivazione, che impediscono di individuare con precisione le ragioni per le quali il giudice rimettente ha sollevato la questione - essa appare priva dei requisiti di inequivocità e chiarezza necessari per un’adeguata valutazione sia della rilevanza sia della fondatezza, e deve quindi essere dichiarata manifestamente inammissibile (cfr., da ultimo, ordinanza n. 68 del 2000).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1168 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 44 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2001.