Ordinanza n. 68/2000

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ORDINANZA N.68

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 669-quaterdecies del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1998 dal Tribunale di Enna nel procedimento civile vertente tra Mirisciotti Maria Concetta e Puzzo Concetta, iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1999.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che il Tribunale di Enna, con ordinanza emessa il 16 ottobre 1998, dubita della legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - dell'art. 669-quaterdecies cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede che per le azioni nunciatorie proposte dal possessore il corpus normativo del rito cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis e seguenti dello stesso codice si applichi solo in quanto compatibile;

  che, a parere del rimettente, la denunciata norma, imponendo l'integrale applicazione dell'art. 669-septies cod. proc. civ., non consente al possessore, nel caso di rigetto dell'istanza cautelare da lui proposta con ricorso nunciatorio ai sensi del successivo art. 688, nè di proseguire automaticamente il giudizio passando ad una fase a cognizione piena, nè di iniziare con atto di citazione un'autonoma causa di merito, nè di proporre appello contro l'ordinanza di rigetto, potendo egli proporre soltanto reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies;

  che, in conseguenza, sarebbe ravvisabile una lesione del diritto di difesa del possessore, al quale, in caso di rigetto del ricorso nunciatorio, sarebbe appunto inibito l'accesso ad una fase di giudizio a cognizione piena nel merito;

  che sarebbe, altresì, ravvisabile una disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri soggetti, i quali invece possono sempre ottenere la tutela giudiziale dei propri diritti, sia in via cautelare (con cognizione sommaria), sia in via ordinaria (con cognizione piena), ed in particolare rispetto al possessore che agisca ai sensi dell'art. 703 cod. proc. civ., il quale - in ragione del previsto limite della compatibilità nell'applicazione delle norme sul procedimento cautelare uniforme - può ottenere una pronuncia nel merito a cognizione piena anche nel caso di rigetto della richiesta di interdetto, stante la prosecuzione automatica del giudizio possessorio;

  che, in ordine alla rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale, il Tribunale - dopo aver precisato che nella specie é stato interposto appello avverso l'ordinanza con la quale il Pretore aveva rigettato, condannando la parte ricorrente alle spese di lite, sia la denunzia di nuova opera lesiva del possesso, sia la domanda di reintegrazione nel possesso, proposte con unico ricorso - osserva che, di conseguenza, a stregua della censurata norma, l'appello stesso dovrebbe considerarsi inammissibile in relazione alla denuncia di nuova opera, avendo ad oggetto una pronuncia emessa a cognizione sommaria e soggetta solo a reclamo (questo, in concreto, neppure proponibile, per decorso dei termini), mentre certamente ammissibile esso é in relazione alla pronuncia (da qualificarsi come sentenza) emessa in merito alla domanda di reintegrazione nel possesso.

  Considerato che il giudice a quo imposta il proprio ragionamento sulla premessa - poco comprensibile se non contraddittoria - secondo cui l'impugnata ordinanza pretorile avrebbe deciso nel merito (possessorio) in ordine all'azione di reintegrazione e non avrebbe invece deciso nel merito (parimenti possessorio) in ordine alla denunzia di nuova opera;

  che, in realtà, nel giudizio a quo il merito possessorio correlato all'esperita azione di nuova opera non può non identificarsi con il merito dell'azione di reintegrazione unitamente proposta, atteso che la richiesta di provvedimenti sommari nunciatori, nella specie, non costituisce un'istanza cautelare ante causam, ma accede alla causa possessoria di merito contemporaneamente instaurata dinanzi al medesimo pretore con l'azione di reintegrazione e poi da questo decisa col provvedimento impugnato davanti al giudice a quo;

  che, invero, l'identità della causa petendi di natura possessoria, prospettata dal ricorrente tanto per l'azione di reintegrazione quanto per quella nunciatoria, comporta l'unicità di pronuncia nel merito (a cognizione piena) con riguardo ad entrambe le azioni; e, di conseguenza, ove in effetti il provvedimento pretorile costituisca - come afferma il giudice a quo - una decisione nel merito possessorio, non può che essere appellabile anche in relazione alla denunzia di nuova opera, venendo così a risultare irrilevante la questione prospettata;

  che inoltre il rimettente, da una parte dichiara di aderire alla sentenza delle sezioni unite della Cassazione 24 febbraio 1998, n. 1984, e dall'altra asserisce apoditticamente essere ormai venuta meno, quale effetto dell'abrogazione degli artt. 689 e 690 cod. proc. civ. - ma solo nel caso di provvedimento di rigetto -, la fase di merito del procedimento nunciatorio basato sul semplice possesso; mentre, viceversa, un tale risultato, che di certo rimane estraneo alla ratio della riforma del 1990, si mostra non in linea con precise indicazioni normative ricavabili dagli artt. 669-septies, secondo comma, 669-quater, 688, secondo comma, 703, primo comma, cod. proc. civ., nonchè (come chiarito appunto nella motivazione della surrichiamata sentenza, e come incoerentemente ammette lo stesso giudice a quo) dagli artt. 1171 e 1172 cod. civ., salva peraltro la cesura processuale richiesta dal citato art. 669-septies;

  che, in definitiva, la sollevata questione appare priva dei requisiti di inequivocità e chiarezza necessari per un'adeguata valutazione in ordine sia alla rilevanza sia alla fondatezza di essa (v., ex plurimis, ordinanze n. 174 del 1999, n. 437 del 1996, n. 337 del 1996), e va dunque dichiarata manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-quaterdecies del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Enna, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 marzo 2000.