ORDINANZA N.63
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 2000 dal Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Imperia, nel procedimento penale a carico di Nazzareno Sirci ed altri, iscritta al n. 403 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che, con ordinanza del 14 aprile 2000, pervenuta alla Corte il 7 giugno 2000, il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Imperia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 425 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, possa condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile - salvo che ritenga di disporne la compensazione totale o parziale per giusti motivi - qualora la mancata decisione sull’azione civile in sede penale, conseguente alla pronuncia di detta sentenza, non si ricolleghi ad una determinazione del danneggiato o non sia al medesimo addebitabile;
che la questione è stata sollevata, in sede di udienza preliminare, in un procedimento penale per un reato di falsa testimonianza, nel quale il pubblico ministero, a seguito di ritrattazione da parte degli imputati ex art. 376 del codice penale, aveva chiesto la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere con declaratoria dell’intervenuta causa di non punibilità, la difesa degli imputati si era associata a tale richiesta e la parte civile aveva chiesto invece, in via principale, il rinvio a giudizio (nel presupposto dell’incompletezza della ritrattazione) ed in via subordinata, per il caso di pronuncia della suddetta sentenza, la condanna degli imputati al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile;
che il rimettente - premesso di dovere, a seguito della ritrattazione, pronunciare sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. - esclude di potersi pronunciare sulle questioni civili, in quanto la possibilità che il giudice penale decida su di esse è ristretta al caso in cui pronunci sentenza di condanna in sede dibattimentale o in sede di giudizio abbreviato, ove tale rito sia stato accettato dalla parte privata, laddove la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. non sarebbe sentenza di condanna (anche perché revocabile ex art. 434 cod. proc. pen.), sarebbe inoppugnabile per la parte civile e non spiegherebbe effetti sull’azione civile;
che siffatta conclusione sarebbe, del resto, rafforzata da quanto questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 443 del 1990, che dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che il giudice, nell’applicare una pena su richiesta delle parti, potesse decidere sull’azione civile per le restituzioni ed i danni;
che, viceversa, secondo il rimettente, la medesima sentenza n. 443 del 1990 - laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso art. 444 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che il giudice penale, nell’applicare una pena su richiesta delle parti, potesse condannare l’imputato alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile - comporterebbe la conclusione che anche in sede di pronuncia della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. sarebbe giustificabile la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese giudiziali sostenute dalla parte civile;
che, infatti, anche nel caso della pronuncia della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., varrebbero le affermazioni fatte da questa Corte nella citata sentenza, sia quanto alla mancanza di necessario collegamento fra la condanna nelle spese processuali e la sentenza di condanna per responsabilità civile, sia quanto al rilievo che, laddove la mancata decisione sull’azione civile in sede penale non sia ricollegata né ad una determinazione del danneggiato (come nella mancata accettazione del giudizio abbreviato) né <>, sarebbe <>;
che tali affermazioni - ad avviso del rimettente - sarebbero adeguate anche in relazione al caso di specie, in quanto <>;
che, sulla base di tali argomenti, il rimettente ha sollevato l’indicata questione di legittimità costituzionale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo genericamente l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.
Considerato che il rimettente ha motivato la prospettata questione esclusivamente con riferimento al tertium comparationis costituito dall’ipotesi della pronuncia della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., nella disciplina risultante dalla sentenza di questa Corte n. 443 del 1990, testualmente riproponendo le motivazioni sulla base delle quali l’articolo citato fu dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevedeva la possibilità della condanna nelle spese processuali a favore della parte civile;
che, pertanto, l’ordinanza di rimessione, ancorché deduca la violazione sia dell’art. 3 che dell’art. 24 della Costituzione, è in realtà motivata con esclusivo riferimento al primo, nel senso che, secondo il rimettente, per la sentenza di cui all’art. 425 cod. proc. pen. ricorrerebbero le medesime ragioni per le quali questa Corte, con la citata decisione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale;
che, dunque, la Corte deve limitarsi ad accertare se la mancata previsione da parte dell’art. 425 del codice di procedura penale della possibilità della condanna nelle spese processuali in favore della parte civile determini una lesione del principio di eguaglianza, in quanto realizzi un trattamento differenziato di situazioni identiche o talmente simili da richiederne uno eguale;
che, sotto tale profilo, il tertium comparationis invocato, cioè l’ipotesi della sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti, presenta evidenti diversità rispetto a quella della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., in quanto - mentre la prima, pur non potendo essere identificata come vera e propria sentenza di condanna, è tuttavia a questa <>, salvo che la legge disponga diversamente, dall’ultimo inciso del primo comma dell’art. 445 cod. proc. pen. - viceversa la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. in nessun caso - nonostante la diversità delle fattispecie in relazione alle quali può essere pronunciata - è equiparata ad una sentenza di condanna, come del resto riconosce lo stesso rimettente;
che, pertanto, risulta invocato un tertium comparationis inidoneo, non diversamente da quanto accadde nel caso deciso da questa Corte con l’ordinanza n. 73 del 1993, nel quale il tertium scrutinato dalla sentenza n. 443 del 1990 era stato invocato a proposito dell’art. 162 del codice penale, per la mancata previsione della condanna nelle spese processuali in favore della parte civile, in ipotesi di sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per oblazione;
che, del resto, analogamente a quanto allora ritenuto, anche nella fattispecie della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 del codice di procedura penale il danneggiato dal reato, costituitosi parte civile, ben può far valere la pretesa alla rifusione delle spese processuali sostenute in relazione allo svolgimento del procedimento conclusosi con tale sentenza, nell’ambito di un successivo giudizio di risarcimento del danno avanti al giudice civile, configurandosi l’esborso per le spese come una componente del danno da reato;
che, conclusivamente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 425 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Imperia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in cancelleria il 13 marzo 2001.