ORDINANZA N. 52
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Cesare RUPERTO, Presidente
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Annibale MARINI
- Dott. Franco BILE
- Prof. Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 181 e 182, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e successive modifiche e dell’art. 36, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure urgenti di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 2000 dal Tribunale di Treviso nel procedimento civile INPS contro Barbaro Luigia ed altri, iscritta al n. 667 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2001 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio d’appello – vertente in materia di ricostruzione di trattamenti pensionistici in base alle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 di questa Corte – il Tribunale di Treviso, con ordinanza emessa il 23 maggio del 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 181 e 182, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art. 3–bis della legge 28 maggio 1997, n. 140 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), e dall’art. 36, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure urgenti di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo);
che, secondo il rimettente, le norme impugnate – sopravvenute nelle more del giudizio a quo e contenenti una serie di disposizioni dirette a risolvere il problema del pagamento delle somme vantate dagli aventi diritto in applicazione alle citate sentenze – vengono a ledere: a) l’art. 3 Cost., nella parte in cui, prevedendo una liquidazione forfettaria del 5% degli interessi sul dovuto e dilazionando i tempi di adempimento, introducono un ingiustificato deteriore trattamento degli accessori dei crediti dei pensionati aventi diritto alla c.d. cristallizzazione; b) l’art. 38 Cost., per la conseguente compressione di tali diritti di natura previdenziale, intesi a garantire il minimo vitale;
che i dubbi di illegittimità costituzionale sono estesi dal rimettente anche all’art. 36, comma 5, della citata legge n. 448 del 1998, per violazione dell’art. 24 Cost., in quanto la previsione dell’estinzione dei giudizi con compensazione delle spese di lite (in assenza di un contestuale arricchimento della posizione giuridica del creditore) vanificherebbe il diritto di agire per la tutela integrale del diritto sostanziale, cui accede la rifusione delle spese, con l’ulteriore rischio per l’interessato di vedersi opporre dall’INPS, in sede amministrativa, argomentazioni ed eccezioni già dedotte in giudizio;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza della sollevata questione;
che si é costituito l’INPS, concludendo per l’infondatezza della questione.
Considerato che identiche questioni, sollevate dallo stesso Tribunale rimettente, sono già state sottoposte a scrutinio di costituzionalità, conclusosi con la sentenza n. 310 del 2000;
che in tale pronuncia questa Corte – con riferimento alla questione, di natura pregiudiziale rispetto alle altre, concernente l’asserita illegittimità della previsione dell’estinzione d’ufficio dei giudizi pendenti con compensazione delle spese – ha affermato che le soluzioni approntate dalla normativa impugnata si appalesano tutte di segno certamente positivo rispetto alle aspettative degli interessati, le quali, pur avendo, appunto in virtù delle citate sentenze di illegittimità costituzionale, assunto il rango di diritti di credito, restavano ancora necessariamente da precisare con riguardo ai modi e ai tempi di adempimento;
che, pertanto, ribadito il giudizio di sufficienza nel rapporto tra siffatto intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata é stato accordato in via legislativa, la questione va dichiarata manifestamente infondata;
che – dato il nesso di subordinazione logico-processuale di ogni altra censura rispetto a quella riguardante la previsione dell’estinzione d’ufficio dei giudizi pendenti non eludibile dai magistrati che ne sono investiti – resta precluso l’esame delle altre questioni sollevate dal rimettente, che risultano manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza (v. ordinanza n. 534 del 2000).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure urgenti di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), sollevata – in riferimento all’art. 24 della Costituzione – dal Tribunale di Treviso, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 181 e 182, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), e dall’art. 36, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure urgenti di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione – dal Tribunale di Treviso, con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente e Redattore
Depositata in cancelleria il 6 marzo 2001.