Ordinanza n. 560/2000

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ORDINANZA N. 560

ANNO 2000

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale:

- dell’art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, nel testo modificato dall’art. 33, comma 1, lettera a) della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 17 febbraio 2000 dal Tribunale di Marsala, il 21 marzo e il 6 aprile 2000 dal Tribunale di La Spezia, rispettivamente iscritte ai nn. 172, 362 e 401 del registro ordinanze del 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17, 27 e 29, prima serie speciale, dell'anno 2000;

- dell’art. 461 del codice di procedura penale nel testo modificato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (recte, dell'art. 464, comma 3, del codice di procedura penale come modificato dall’art. 37 della legge n. 479 del 1999), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 17 (tre ordinanze), il 13, il 10, il 25 e il 31 (due ordinanze) gennaio 2000 dal Tribunale di Genova, iscritte ai nn. da 133 a 136, 173, 191, 192 e 382 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15, 17, 18, e 28, prima serie speciale, dell'anno 2000;

- dell’ art. 557, comma 2, del codice di procedura penale, nel testo introdotto dall’art. 44 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 14, il 7 gennaio e il 2 febbraio 2000 dal Tribunale di Vercelli, nonché il 10 marzo (quattro ordinanze) dal Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, iscritte ai nn. 193, da 313 a 316, 369 e 370 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 24 e 27, prima serie speciale, dell'anno 2000;

- dell’art. 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 18 (due ordinanze), 25 gennaio e il 1° febbraio (due ordinanze) 2000 dal Tribunale militare di Cagliari, nonché il 28 febbraio 2000 (due ordinanze) dal Tribunale di Perugia, iscritte ai nn. da 143 a 147, 297 e 326 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 23 e 25, prima serie speciale, dell'anno 2000;

- nonché degli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 25 febbraio 2000 (cinque ordinanze) dal Tribunale di Verona, sezione distaccata
di Soave, iscritte ai nn. da 371 a 375 del registro ordinanze del 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con due ordinanze in data 21 marzo e 6 aprile 2000 (r.o. nn. 362 e 401 del 2000) il Tribunale di La Spezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale - nel testo modificato dall’art. 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, recante, tra l'altro, "Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale" -, nella parte in cui, allorché il decreto che dispone il giudizio a seguito di udienza preliminare sia precedente all'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 (2 gennaio 2000), non fa salva nei giudizi in corso la facoltà dell'imputato di chiedere l'applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;

che, in riferimento all'art. 25 Cost., il rimettente osserva che l'immediata applicabilità della nuova normativa, anticipando la scadenza del termine per la presentazione della richiesta di applicazione di pena al momento in cui sono formulate le conclusioni nell'udienza preliminare, comporterebbe, nei procedimenti già pendenti nella fase del giudizio, l'introduzione di un termine di decadenza con efficacia retroattiva, che incide su aspetti sostanziali del trattamento penale, quali la quantificazione della pena, il contenuto e gli effetti del provvedimento sanzionatorio;

che tale disciplina, rappresentando un ingiustificato mutamento delle regole nel corso del processo, violerebbe l'art. 24 Cost., in quanto l'imputato è privato della facoltà di presentare richiesta di applicazione della pena senza essere stato in condizione di conoscere il termine entro il quale avrebbe dovuto formularla;

che la disciplina denunciata violerebbe, infine, l'art. 3 Cost., in quanto frustra ogni affidamento sulla certezza del diritto e determina una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati a seconda che la prima udienza dibattimentale sia stata fissata - o rinviata - a data precedente o successiva al 2 gennaio 2000;

che con ordinanza del 17 febbraio 2000 (r.o. n. 172 del 2000) il Tribunale di Marsala ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, nel testo modificato dall’art. 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, nella parte in cui non esclude che il termine e le forme della richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. a seguito di decreto di giudizio immediato si applichino ai procedimenti nei quali tale decreto sia stato emesso e notificato all’imputato prima della data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999;

che il Tribunale di Marsala, premesso che l'imputato - al quale il decreto di giudizio immediato era stato notificato nel settembre 1999 - ha avanzato richiesta di applicazione della pena nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, rileva che l'art. 446 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 33 della legge n. 479 del 1999, non consente più, in assenza di una normativa transitoria che ne regoli l'applicabilità ai procedimenti già pendenti prima dell'entrata in vigore della modifica legislativa, di presentare richiesta di patteggiamento in dibattimento;

che il rimettente ritiene che la nuova normativa, nella parte in cui è immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, violi, in primo luogo, l'art. 24 Cost., in quanto, avendo la norma condizionato l'esperibilità del patteggiamento nel giudizio immediato a una richiesta da effettuarsi, a pena di decadenza, nei sette giorni successivi alla notifica del decreto, ed essendo detto termine già spirato al momento dell'entrata in vigore della novella, «l'imputato è stato privato in itinere della facoltà» di chiedere l'applicazione della pena;

che, ad avviso del Tribunale, sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost., in quanto la disciplina censurata determinerebbe una irragionevole diversità di trattamento tra coloro che hanno potuto usufruire della facoltà di chiedere l'applicazione della pena nel dibattimento fissato prima del 2 gennaio 2000, e coloro che, citati a giudizio per un'udienza successiva, si vedono preclusa tale facoltà;

che con otto ordinanze - in data 10 gennaio 2000 (r.o. n. 135 del 2000), 13 gennaio 2000 (r.o. n. 134 del 2000), 17 gennaio 2000 (r.o. nn. 133, 136 e 191 del 2000), 25 gennaio 2000 (r.o. n. 173 del 2000) e 31 gennaio 2000 (r.o. nn. 192 e 382 del 2000) - il Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 461 del codice di procedura penale nel testo modificato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 [recte, dell'art. 464, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 37 della legge n. 479 del 1999], nella parte in cui non esclude che nei procedimenti instaurati a seguito di opposizione a decreto di condanna, nei quali l'opposizione è stata presentata precedentemente all'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, ma il dibattimento risulta fissato in una data successiva, l’imputato debba chiedere, a pena di decadenza, l’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. con l’atto di opposizione al decreto penale;

 che il Tribunale di Genova premette che in udienza gli imputati hanno presentato richiesta di applicazione della pena, ma che la richiesta deve ritenersi tardiva, in quanto l'art. 464, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 37 della legge n. 479 del 1999, non consente più, in assenza di norme transitorie, di chiedere l'applicazione di pena in dibattimento;

che, a parere del Tribunale, tale indiscriminata preclusione in tutti i procedimenti pendenti alla data del 2 gennaio 2000 determinerebbe una irragionevole omologazione del trattamento dell'imputato che ha formulato opposizione a decreto penale durante la vigenza della precedente normativa rispetto all'imputato che presenta invece opposizione sotto il vigore della nuova normativa, «poiché ad ambedue non è concesso proporre istanza di applicazione pena dinanzi al giudice del dibattimento, benché il primo potesse prima farlo ed ora soltanto tale facoltà gli è preclusa»;

che il Tribunale di Vercelli, con tre ordinanze in data 7, 14 gennaio e 2 febbraio 2000 (r.o. nn. 370, 193 e 369 del 2000), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, e il Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, con quattro ordinanze in data 10 marzo 2000 (r.o. nn. da 313 a 316 del 2000), in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 557, comma 2, del codice di procedura penale (nel testo introdotto dall’art. 44 della legge 16 dicembre 1999, n. 479), nella parte in cui non esclude che, nei procedimenti instaurati a seguito di opposizione a decreto penale di condanna presentata prima dell’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, l’imputato debba chiedere, a pena di decadenza, l’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. con l’atto di opposizione;

che in tali ordinanze le situazioni processuali sono sostanzialmente analoghe a quelle esposte dal Tribunale di Genova;

che entrambi i rimettenti denunciano, in riferimento all'art. 3 Cost., l'irragionevole disparità di trattamento che viene a determinarsi tra imputati a seconda che la prima udienza dibattimentale cada precedentemente o successivamente al 2 gennaio 2000;

che il Tribunale di Vercelli ritiene violato anche l'art. 24 Cost., in quanto la immediata applicabilità del nuovo termine di decadenza priverebbe l'imputato della possibilità di patteggiare e di godere dei benefici (sostanziali) connessi;

che a parere del Tribunale di Marsala la disciplina impugnata lederebbe inoltre l'art. 97 Cost., perché «per il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione [...] non appare ragionevole addossare al cittadino-imputato le conseguenze dei ritardi della definizione dei processi penali»;

che con cinque ordinanze - in data 18 gennaio 2000 (r.o. nn. 145 e 146 del 2000), 1° febbraio 2000 (r.o. nn. 143 e 144 del 2000) e 25 gennaio 2000 (r.o. n. 147 del 2000) - il Tribunale militare di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), nella parte in cui non prevede che l’imputato possa presentare in dibattimento richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. anche nei giudizi instaurati successivamente al 2 giugno 1999 - data di entrata in efficacia dello stesso decreto - e pendenti al 2 gennaio 2000 - data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479 -, allorché l’udienza preliminare sia stata celebrata nella vigenza della normativa precedente;

che con due ordinanze in data 28 febbraio 2000 (r.o. nn. 297 e 326 del 2000), la medesima questione è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Perugia;

che i giudici rimettenti, premesso che gli imputati hanno avanzato richiesta di applicazione della pena nella fase degli atti preliminari al dibattimento, rilevano che l'art. 446 cod. proc. pen. - come modificato dall'art. 33, comma 1, lettera a), della legge n. 479 del 1999 - non consente più di presentare richiesta di applicazione di pena in dibattimento quando questo sia stato preceduto dall'udienza preliminare e che tale possibilità non è consentita neppure dall'art. 224 del d.lgs. n. 51 del 1998, che, ampliando in via transitoria la facoltà di patteggiare nei soli giudizi di primo grado in corso alla data di efficacia del decreto (2 giugno 1999), non è applicabile ai procedimenti, come quelli a quibus, in cui prima di tale data era stata formulata la sola richiesta di rinvio a giudizio, ma non emesso il provvedimento che dispone il giudizio;

che la ristretta sfera di applicazione della disposizione provocherebbe, secondo i rimettenti, la paradossale situazione di precludere, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, l'esercizio della facoltà di presentare in dibattimento richiesta di applicazione di pena in tutti i casi in cui l'udienza preliminare è stata celebrata tra il 3 giugno 1999 e il 1° gennaio 2000 e le parti non hanno chiesto il patteggiamento in udienza preliminare, confidando nella possibilità di presentare la relativa richiesta in dibattimento ai sensi del previgente disposto dell'art. 446 cod. proc. pen.;

che pertanto - per effetto di una «smagliatura legislativa» che i rimettenti ritengono sia conseguente al fatto che l'art. 224 del d.lgs. n. 51 del 1998 è entrato in efficacia il 2 giugno 1999, mentre la normativa sul giudice unico è divenuta efficace complessivamente il 2 gennaio 2000 - sarebbe violato l'art. 3 Cost. per la disparità di trattamento riservata a situazioni processuali sostanzialmente equipollenti, in quanto ingiustificatamente la richiesta di applicazione della pena sarebbe consentita in processi anche in avanzata fase dibattimentale, purché pendenti al 2 giugno 1999, mentre sarebbe preclusa in dibattimenti ancora da iniziare e con riferimento ai quali sino al 2 gennaio 2000 l'imputato non era decaduto dal diritto di chiedere l'applicazione di pena;

che sarebbe altresì violato l'art. 24 Cost., in quanto all'imputato verrebbe improvvisamente preclusa una scelta difensiva comportante una consistente riduzione di pena, in precedenza attivabile sino all'apertura del dibattimento di primo grado;

che con cinque ordinanze in data 25 febbraio 2000 (r.o. nn. da 371 a 375 del 2000) il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, nella parte in cui non prevedono la possibilità di accedere «ad applicazione di pena anche per l'imputato che, avendo proposto opposizione a decreto penale di condanna dopo la data del 2/6/99, ma prima della data del 2/1/2000, non ne abbia fatta espressa richiesta con l'atto di opposizione»;

che il Tribunale di Verona premette che, prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento, gli imputati avevano avanzato in udienza, con il consenso del pubblico ministero, richiesta di applicazione della pena;

che ad avviso del Tribunale di Verona le richieste di patteggiamento sono inammissibili in quanto, in assenza di disposizioni transitorie e in virtù del principio tempus regit actum, nei dibattimenti celebrati dopo il 2 gennaio 2000 deve trovare applicazione il sistema di preclusioni introdotto dagli artt. 33, 37, comma 4, e 44 della legge n. 479 del 1999, a modifica degli artt. 446, comma 1, 464, comma 3, e 557 cod. proc. pen., vigente al momento della decisione sulla tempestività della richiesta di applicazione della pena;

che, a parere del rimettente, l'immediata applicabilità della nuova disciplina a procedimenti instaurati a seguito di opposizione a decreto penale presentata prima della sua entrata in vigore si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata diversità di trattamento riservata a imputati che hanno proposto opposizione a decreto penale di condanna prima del 2 gennaio 2000, a seconda che tale opposizione sia precedente ovvero successiva al 2 giugno 1999;

che l'arbitraria modificazione, in corso di causa e con effetto retroattivo, delle regole relative alla possibilità di accedere ai riti alternativi, cui conseguono consistenti riduzioni di pena, comporta la menomazione del diritto di difesa dell'imputato e sarebbe quindi in contrasto anche con l'art. 24 Cost.;

che nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;

che, in particolare, in relazione alla questione relativa alla illegittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen., sollevata dal Tribunale di Marsala (r.o. n. 172 del 2000), l'Avvocatura osserva che l'interpretazione del rimettente verrebbe a sottrarre all'imputato una possibilità di scelta - già maturata e sulla quale egli ha potuto legittimamente contare -, posto che la nuova ed imprevedibile disciplina riporta il termine di esercizio di quella facoltà ad un momento temporale anteriore alla sua entrata in vigore;

che, al contrario, proprio una corretta applicazione del principio tempus regit actum dimostrerebbe l'erroneità della premessa interpretativa del giudice rimettente, risultando, nella fattispecie in esame, ancora applicabile la "vecchia" disposizione contenuta nell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen.;

che, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 37 della legge n. 479 del 1999, sollevate dal Tribunale di Genova, nonché in relazione alle questioni che investono l'art. 557, comma 2, cod. proc. pen. sollevate dal Tribunale di Vercelli e dal Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, e a quelle degli artt. 223 e 224 del d. lgs. n. 51 del 1998, sollevate dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, l'Avvocatura rileva che i rimettenti erroneamente ritengono "diritto vivente" una sola delle possibili interpretazioni della normativa che prima della legge n. 479 del 1999 disciplinava la richiesta di applicazione della pena a seguito di decreto penale di condanna, e cioè quella secondo la quale tale richiesta, se non formulata in sede di opposizione, poteva comunque essere riformulata al giudice del dibattimento ai sensi del previgente art. 446 cod. proc. pen.;

che invece, ove si ritenesse che il tenore letterale degli artt. 461, comma 3, e 565, comma 2, cod. proc. pen. imponeva già prima di formulare la richiesta di applicazione della pena nell'atto di opposizione, non sussisterebbe la denunciata «discontinuità di disciplina» in quanto la presentazione della richiesta di patteggiamento in sede dibattimentale sarebbe stata inammissibile anche alla stregua del precedente testo della disposizione censurata;

che, in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 224 del d. lgs. n. 51 del 1998 sollevata dal Tribunale di Perugia, l'Avvocatura osserva che il problema dei limiti temporali di applicabilità dei nuovi termini di decadenza per la richiesta di applicazione di pena nei giudizi instaurati a seguito dell'udienza preliminare, introdotti dall'art. 33 della legge n. 479 del 1999, deve essere risolto secondo «i principi generali di efficacia delle norme processuali nel tempo (cfr. tempus regit actum, dovendosi perciò fare riferimento alle leggi vigenti nei rispettivi momenti processuali;

che di conseguenza, secondo l'Avvocatura, poiché il citato articolo 33 ha anticipato i termini di proponibilità della richiesta di patteggiamento al momento della presentazione delle conclusioni nell'udienza preliminare, «l'efficacia di tale disposizione dovrebbe essere limitata solo ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare - cui si riferisce il nuovo termine - deve ancora concludersi, mentre per le precedenti udienze preliminari la valutazione deve operarsi con riferimento alle norme all'epoca vigenti, per le quali il termine per la proposizione del patteggiamento era scadente all'apertura del dibattimento».

 Considerato che alcune delle ordinanze di rimessione sottopongono a scrutinio di legittimità costituzionale la mancanza di norme transitorie relative alla nuova disciplina dei termini di decadenza per la presentazione della richiesta di applicazione della pena, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, con riferimento alle ipotesi di rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare e di decreto di giudizio immediato (art. 446 del codice di procedura penale), nonché di citazione a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna (artt. 464 e 557 del codice di procedura penale, relativi, rispettivamente, al procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale e monocratica);

 che altre ordinanze investono le norme transitorie di cui agli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, in materia di istituzione del giudice unico di primo grado;

 che i rimettenti con il primo gruppo di questioni lamentano che i nuovi termini di decadenza - in assenza di un'apposita disciplina transitoria - si applicano, in base al principio tempus regit actum, indiscriminatamente ad ogni situazione processuale in corso e hanno, quindi, efficacia retroattiva, malgrado i termini stessi si siano già consumati quando era ancora in vigore la normativa precedente; mentre con il secondo gruppo di questioni denunciano che nulla prevedono al riguardo gli artt. 223 e 224 del decreto legislativo n. 51 del 1998;

 che, ad avviso dei rimettenti, l'immediata operatività della nuova disciplina si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. per la sua intrinseca irragionevolezza e perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra imputati a seconda che il dibattimento sia stato fissato prima o dopo il 2 gennaio 2000, data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, recante i nuovi termini di decadenza per la richiesta di applicazione della pena; con l'art. 24 Cost., perché preclude all'imputato una scelta difensiva, comportante, tra l'altro, una consistente riduzione di pena, non esercitata in precedenza in quanto la normativa vigente ne legittimava l'esercizio sino all'apertura del dibattimento; con l'art. 25 Cost., perché determina appunto con efficacia retroattiva la perdita di un diritto che incide sulla quantità della pena, nonché sulla natura e sugli effetti penali della condanna; con l'art. 97 Cost., perché fa ricadere sull'imputato le conseguenze del ritardo della celebrazione dei processi penali; con l'art. 111 Cost., perché viola i principi del giusto processo;

che, malgrado la diversità delle norme censurate, identica è la sostanza di tutte le questioni, che si riferiscono al nuovo sistema dei termini di presentazione della richiesta di applicazione della pena, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che in particolare, con riferimento alla ipotesi di rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare, alla stregua del testo originario dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. le parti potevano formulare la richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, mentre, dopo le modifiche introdotte alla disposizione in esame dall'art. 33, comma 1, lettera a), della legge n. 479 del 1999, la richiesta deve essere formulata sino alla presentazione delle conclusioni del pubblico ministero e dei difensori nell'udienza preliminare, a norma degli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3, cod. proc. pen.;

che anche nella ipotesi di decreto di giudizio immediato, prima della riforma il termine coincideva con la dichiarazione di apertura del dibattimento, sempre in forza della generale previsione dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen., mentre alla stregua della nuova formulazione di tale disposizione, ove viene operato un rinvio al termine e alle forme stabilite per la richiesta di giudizio abbreviato (art. 458, comma 1, cod. proc. pen.), la richiesta di applicazione della pena deve essere proposta entro sette giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato;

che, con riferimento alle ipotesi di decreto che dispone il giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, secondo l'originaria formulazione degli artt. 464 e 565 cod. proc. pen., relativi, rispettivamente, al giudizio davanti al tribunale e al pretore, se entro il termine di quindici giorni l'opponente si fosse limitato a proporre opposizione, senza presentare alcuna specifica richiesta, il giudice emetteva decreto di giudizio immediato e l'opponente avrebbe quindi potuto formulare richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (v. sentenza n. 114 del 1997), mentre il nuovo testo degli artt. 464 e 557 cod. proc. pen. - modificati dagli artt. 37 e 44 della legge n. 479 del 1999 e relativi, rispettivamente, al giudizio davanti al tribunale in composizione collegiale e monocratica - prevede che, ove tale richiesta non sia stata formulata entro il termine di quindici giorni con l'atto di opposizione, all'opponente sia precluso presentarla nel giudizio conseguente all'opposizione;

che, con riguardo a tutte le ipotesi normative ora menzionate, dalle ordinanze di rimessione emerge che le questioni di legittimità costituzionale si riferiscono a situazioni di fatto in cui, nei procedimenti a quibus, la nuova disciplina è entrata in vigore (il 2 gennaio 2000) in un momento compreso tra la data del rinvio a giudizio, nelle varie forme sopra descritte, e la data della celebrazione del dibattimento;

che, in base all'interpretazione che i rimettenti riservano al principio tempus regit actum, da tale situazione deriverebbe che i nuovi termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena, anticipati a momenti precedenti la dichiarazione di apertura del dibattimento, si erano già consumati, con conseguente preclusione per gli imputati di accedere al procedimento speciale;

che il presupposto interpretativo dei rimettenti, secondo cui la disciplina in vigore al momento della decisione ha effetti retroattivi, comporterebbe la conseguenza paradossale che imputati, rinviati a giudizio in presenza di un quadro normativo che consentiva loro di formulare richieste di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, si troverebbero, nel momento della celebrazione del dibattimento stesso, nell'impossibilità di formulare tali richieste, in quanto in base alla nuova disciplina i relativi termini finali sarebbero già scaduti, essendo collocati in fasi, comunque anteriori al dibattimento, che si sono esaurite in epoca nella quale i nuovi termini di decadenza non erano ancora venuti ad esistenza;

che una simile conseguenza si porrebbe effettivamente in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., perché sarebbe manifestamente irragionevole una disciplina che escludesse retroattivamente l'imputato dall'esercizio di un diritto il cui termine, scaduto in base alla nuova legge, è ancora in corso secondo le norme in vigore al momento in cui è stato disposto il rinvio a giudizio, e sacrificasse così il diritto di difesa, privando l'imputato dei vantaggi processuali e sostanziali connessi all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta;

che peraltro, con riferimento a tutte le questioni sollevate in relazione alla disciplina dei nuovi termini entro cui formulare richiesta di applicazione della pena, è sufficiente ad escludere ogni dubbio di incostituzionalità porre mente alla ragione giustificativa della diversa collocazione temporale dei termini di decadenza nel procedimento speciale in esame;

che, nell'originaria impostazione codicistica, il termine finale per la presentazione della richiesta di applicazione della pena era individuato nel momento della dichiarazione di apertura del dibattimento, ritenuto dal legislatore un soddisfacente punto di mediazione tra l'esigenza di incentivare il ricorso al patteggiamento e quella di evitare il dispendio delle risorse personali e materiali necessarie per la celebrazione del dibattimento;

che le profonde innovazioni della legge n. 479 del 1999 in tema di rapporti tra indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio, con particolare riferimento, per quanto qui interessa, alle modalità introduttive e alla sede di celebrazione dei procedimenti speciali, hanno comportato una radicale trasformazione anche del sistema dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena, anticipati a momenti precedenti il dibattimento, nell'ottica di un diverso bilanciamento tra incentivazione dei riti alternativi ed esigenze di più economica e razionale utilizzazione delle risorse processuali;

 che quindi, anche in mancanza di qualsiasi norma transitoria, il nuovo equilibrio delineato dal legislatore tra le fasi delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio dibattimentale, cui è strettamente collegata la mutata disciplina dei procedimenti speciali, conduce necessariamente ad escludere che i nuovi termini di decadenza possano riguardare procedimenti nei quali tali termini sarebbero oramai scaduti, essendo già stato disposto il rinvio a giudizio al momento dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999;

 che, pertanto, tutte le questioni sollevate in relazione agli artt. 446, comma 1, 464, comma 3, e 557, comma 2, cod. proc. pen. vanno dichiarate manifestamente infondate;

 che, per quanto concerne le ordinanze che investono gli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, relativo all'istituzione del giudice unico di primo grado, i rimettenti lamentano che tali norme transitorie non prevedono che l'imputato possa presentare in dibattimento richiesta di applicazione della pena anche nei giudizi instaurati successivamente alla data (2 giugno 1999) di entrata in efficacia del decreto legislativo n. 51 del 1998 e pendenti alla data (2 gennaio 2000) di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, allorché l'udienza preliminare sia stata celebrata nella vigenza della normativa precedente, ovvero l'imputato, avendo proposto opposizione a decreto penale dopo il 2 giugno 1999, ma prima del 2 gennaio 2000, non abbia formulato espressa richiesta di patteggiamento con l'atto di opposizione;

 che gli artt. 223 e 224 del decreto legislativo n. 51 del 1998 prevedono che, nei giudizi in corso alla data di efficacia del decreto stesso, le parti possono presentare richiesta di accesso ai riti alternativi nella prima udienza successiva a tale data, definitivamente fissata, grazie a successivi interventi del legislatore, al 2 giugno 1999 e, cioè, in momento antecedente all'approvazione della legge 16 dicembre 1999, n. 479, che ha modificato la disciplina dei termini di decadenza per la presentazione della richiesta di patteggiamento;

 che le norme transitorie contenute nel decreto legislativo n. 51 del 1998 non hanno - né avrebbero potuto avere, stante la successione cronologica dei due provvedimenti legislativi - alcun collegamento con la disciplina dell'istituto del patteggiamento introdotta dalla legge n. 479 del 1999;

 che, pertanto, le disposizioni censurate sono irrilevanti rispetto all'applicazione dei nuovi termini di decadenza della richiesta di applicazione della pena, per il motivo assorbente che la legge che ha modificato tali termini non era ancora venuta ad esistenza, sicché le relative questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di La Spezia e dal Tribunale di Marsala, con le ordinanze in epigrafe;

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 464, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, con le ordinanze in epigrafe;

 dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 557, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Vercelli e dal Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, con le ordinanze in epigrafe;

 dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale militare di Cagliari e dal Tribunale di Perugia, con le ordinanze in epigrafe;

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.