SENTENZA N. 482
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promossi con ordinanze emesse il 29 aprile 1999 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Fiengo Raffaele e Triola Clementina, iscritta al n. 421 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1999 e il 1° luglio 1999 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Albertoni Valeria e Cadamosti Crespi Ines, iscritta al n. 606 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visti l’atto di costituzione di Albertoni Valeria nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Nicolò Zanon per Albertoni Valeria e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Pretore di Napoli, nel corso di un giudizio in materia di locazione - nel quale il convenuto locatore aveva proposto domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni da ritardato rilascio dell’immobile locato ad uso abitativo, quantificandoli nella differenza tra il canone di mercato e quello effettivamente corrisposto dal conduttore - con ordinanza emessa il 29 aprile 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, allorché sia corrisposta la maggiorazione del venti per cento dell’importo del canone.
Il rimettente osserva anzitutto che la norma impugnata, applicabile anche alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore della nuova legge, stabilisce l’entità del corrispettivo dovuto dal conduttore dopo la cessazione del contratto in tutte le ipotesi in cui il locatore non abbia potuto porre in esecuzione il titolo per il rilascio dell’immobile, a causa delle sospensioni della esecuzione o della graduazione degli sfratti previste da normative precedenti o da disposizioni della stessa legge n. 431 del 1998; il richiamo alle normative previgenti, contenuto nella disposizione impugnata, dimostra che il legislatore ha voluto introdurre, con effetto retroattivo, una limitazione al risarcimento del danno da ritardato rilascio dell’immobile, determinandolo in una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto, con applicazione automatica degli aggiornamenti annuali nella misura del settantacinque per cento della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente e con l’ulteriore maggiorazione del venti per cento sull’importo aggiornato.
Ad avviso del giudice rimettente, l’art. 6, comma 6, della legge n. 431 del 1998, predeterminando in maniera forfettaria il maggior danno subito dal locatore, si porrebbe in contrasto con il criterio di ragionevolezza nelle scelte legislative, poiché non consentirebbe la dimostrazione dell’entità dell’effettivo pregiudizio cagionato dal comportamento illecito del conduttore ed esporrebbe quindi il locatore al rischio di ottenere un risarcimento solo parziale del danno subito, soprattutto nelle ipotesi in cui il canone corrisposto dal conduttore sia largamente inferiore a quello di mercato.
La norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 24 della Costituzione, in quanto al locatore sarebbe negata la possibilità di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla norma stessa.
Sussisterebbe, infine, ad avviso del rimettente, una violazione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà, poiché la norma impugnata non consentirebbe al proprietario di ottenere un pieno ristoro del suo patrimonio, depauperato dal comportamento illecito del conduttore.
2. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione.
La difesa erariale osserva anzitutto che il bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti spetta al legislatore, il quale, nel caso di specie, ha attribuito prevalenza all’interesse del conduttore rispetto a quello del locatore alla reintegrazione del proprio patrimonio.
Tale prevalenza, ad avviso dell’Avvocatura, non sarebbe che una conseguenza della scelta legislativa di prorogare l’esecuzione degli sfratti, la quale scelta non appare irragionevole se posta in relazione sia alla situazione del mercato immobiliare - caratterizzato da canoni elevati, in ragione della penuria dell’offerta di abitazioni, cui fa riscontro un modesto reddito pro capite - sia alla transitorietà della disciplina della proroga degli sfratti.
3. – Il Tribunale di Milano, nel giudizio di appello avverso una sentenza pretorile - con la quale la conduttrice di un immobile adibito ad uso abitativo era stata condannata a risarcire il danno per ritardato rilascio nella misura del venti per cento del canone contrattuale, ai sensi dell’art. 1-bis della legge n. 61 del 1989, e con la quale era stata rigettata la più ampia domanda di risarcimento proposta dal locatore - ha sollevato, con ordinanza emessa il 1° luglio 1999, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione.
Il Tribunale rimettente censura la disposizione contenuta nell’art. 6, comma 6, della citata legge, con argomentazioni analoghe a quelle svolte dal Pretore di Napoli, ponendo in particolare risalto l’incoerenza del meccanismo risarcitorio stabilito dalla disposizione impugnata e deducendo la violazione del principio di eguaglianza che deriverebbe dalla parificazione di situazioni diverse.
4. – Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la locatrice appellante, che ha sostenuto la tesi della illegittimità costituzionale della norma impugnata.
5. - Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione sulla base delle medesime considerazioni svolte in relazione alla questione sollevata dal Pretore di Napoli.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Napoli ed il Tribunale di Milano dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, allorché sia corrisposta la maggiorazione del venti per cento dell’importo del canone, prevista dalla medesima norma.
Ad avviso dei giudici rimettenti, la predeterminazione del maggior danno subito dal locatore, così come stabilita nella disposizione censurata, non solo si porrebbe in contrasto con il criterio di ragionevolezza nelle scelte legislative, non consentendo la dimostrazione dell’entità dell’effettivo pregiudizio cagionato dal comportamento illecito del conduttore ed equiparando situazioni diverse, ma darebbe luogo anche ad una violazione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà, in quanto il proprietario non potrebbe ottenere il pieno ristoro del suo patrimonio, depauperato dal comportamento illecito del conduttore. Il Pretore di Napoli assume a parametro anche l’art. 24 della Costituzione, affermando che al locatore sarebbe negata la possibilità di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella prestabilita dalla norma stessa.
La sostanziale identità delle questioni sollevate consente la riunione dei giudizi affinché siano decisi con un’unica sentenza.
2. – La questione è fondata nei limiti di seguito indicati.
3. - La legge n. 431 del 1998, recante la nuova disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, rappresenta sotto più profili il superamento dei precedenti regimi vincolistici necessitati dalla grave situazione del mercato immobiliare e particolarmente di quello locativo, che per oltre un quarantennio ha rappresentato una delle più rilevanti cause di tensione e di conflitto sociale.
Le disastrose condizioni economiche in cui versava il Paese all’indomani della seconda guerra mondiale provocarono una serie di provvedimenti legislativi i quali, prorogando i contratti ovvero sospendendo le esecuzioni degli sfratti, contribuirono a rendere meno aspro il confronto sociale in quella severa contingenza storica, assicurando la permanenza dei conduttori negli immobili locati, in attesa di un’opera di ricostruzione che si preannunciava lenta e difficile.
La carenza di alloggi si rivelò però come un fenomeno non transeunte né limitato agli anni del dopoguerra: essa si protrasse nel tempo, segnatamente nelle città verso le quali fu maggiore il flusso migratorio interno.
La riforma delle locazioni, emanata con la legge n. 392 del 1978, prende atto che ancora a quell’epoca non erano maturate le condizioni economico-sociali per porre termine al regime vincolistico.
Un significativo graduale ritorno all’autonomia contrattuale nella determinazione del canone si poté realizzare con l’art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modifiche, dalla legge n. 359 del 1992, che consentì alle parti di stipulare o rinnovare contratti in deroga alle disposizioni limitative del canone contenute nella legge n. 392 del 1978. Con la nuova tipologia di contratti (cd. “patti in deroga”), destinata peraltro ad avere applicazione fino alla revisione della disciplina delle locazioni, si volle perseguire la finalità di dare impulso al mercato delle locazioni, arricchendolo di quegli immobili rimasti per lungo tempo al di fuori di esso a causa della reazione opposta dai proprietari ai vincoli relativi alla determinazione del canone; e ciò per rendere più agevole il passaggio dal vecchio regime vincolistico ai nuovi modelli locativi delineati poi dalla legge n. 431 del 1998.
La nuova disciplina delle locazioni ha avuto per scopo, come risulta dalla relazione alla Camera dei deputati, di superare “il complesso di norme transitorie, temporanee o derogatorie ad altre normative, che non hanno più riscontro nella realtà” e la “liberalizzazione controllata del settore delle locazioni a fini abitativi”.
Il raggiungimento dei detti obiettivi non avrebbe potuto attuarsi senza la emanazione di norme temporanee e destinate ad agevolare la transizione al nuovo regime delle locazioni, come quella impugnata nel presente giudizio.
4. – L’art. 6 della legge n. 431 del 1998, che disciplina il rilascio degli immobili, si caratterizza per la limitazione temporale e spaziale dei suoi effetti, poiché contiene disposizioni evidentemente volte a regolare e a definire situazioni sorte nel vigore delle precedenti normative e circoscrive il proprio ambito di operatività ai comuni ad alta tensione abitativa, di cui all’art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitative), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61.
Tali peculiarità assumono rilievo essenziale nella valutazione di costituzionalità della norma impugnata, la quale, al comma 6, statuisce, in relazione ai periodi di sospensione dell’esecuzione specificamente indicati e fino all’effettivo rilascio, la misura del risarcimento del danno per ritardata restituzione dell’immobile, quantificandola in una somma corrispondente al canone dovuto alla cessazione del contratto, a cui si applicano automaticamente ogni anno aggiornamenti in misura pari al settantacinque per cento della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente, e disponendo che l’importo così determinato è maggiorato del venti per cento. La corresponsione di tale maggiorazione esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno ai sensi dell’art. 1591 del codice civile.
La norma, pur risultando formulata in termini analoghi a quelli dell’art. 1-bis del d.l. n. 551 del 1988, che predeterminava in base ad identici parametri la somma mensile dovuta dal conduttore, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., durante il periodo di sospensione dell’esecuzione, chiarisce tuttavia che la quantificazione legale del danno opera fino all’effettivo rilascio dell’immobile, e ciò nel palese intendimento di superare i contrasti giurisprudenziali insorti nel vigore del citato decreto-legge in ordine all’applicabilità della disposizione nel periodo compreso tra la cessazione della sospensione dell’esecuzione e l’effettivo rilascio.
Il legislatore del 1998, nella già rilevata finalità di agevolare la transizione al nuovo regime locativo, ha disposto la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio durante il periodo di centoottanta giorni dall’entrata in vigore della legge, quantificando correlativamente l’importo delle somme dovute dal conduttore nel detto periodo e negli altri periodi di sospensione delle esecuzioni, di cui all’art. 11, comma quarto, del d.l. n. 9 del 1982 e all’art. 3 del d.l. n. 551 del 1988.
Le due misure consistenti nella sospensione dell’esecuzione e nella determinazione del quantum sono dunque strettamente connesse, in quanto alla sospensione ex lege dell’esecuzione corrisponde, quale previsione altrettanto eccezionale e temporanea, la determinazione parimenti ex lege dell’indennità relativa allo stesso periodo.
Non vi è alcun elemento di contrasto con il canone della ragionevolezza nella previsione normativa che disponendo, attraverso la sospensione delle esecuzioni, uno spostamento del termine di rilascio provvede anche a stabilire la misura dell’indennità da corrispondersi nello stesso periodo, poiché essa costituisce il risultato di una equilibrata valutazione di contrapposti interessi ed esigenze, i cui caratteri di eccezionalità e temporaneità pongono la norma stessa al riparo dalle censure di incostituzionalità dedotte dai giudici rimettenti.
La ragionevolezza della norma risiede quindi nel suo stesso motivo ispiratore, consistente nel definire quei rapporti locativi sorti e sviluppatisi in epoche di seria e spesso drammatica emergenza che ha dato origine a tutta la legislazione vincolistica in materia; non si tratta perciò di un regime ordinario bensì di un provvedimento a carattere temporaneo, che esplica i propri effetti nella fase del graduale passaggio alla nuova disciplina delle locazioni.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che i limiti legali al diritto di proprietà, previsti dall’art. 42 della Costituzione al fine di assicurarne la funzione sociale, consentono di ritenere legittima la disciplina vincolistica a condizione che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo (sent. n. 108 del 1986). Il medesimo principio deve riaffermarsi con riferimento a quella parte della norma impugnata che pone in correlazione la limitazione risarcitoria ai periodi di sospensione ex lege delle esecuzioni, riconoscendosi ad essa quella finalità temporanea e di emergenza, che giustifica e rende legittimo l’intervento legislativo in esame (sentenza n. 148 del 1999 con riferimento al limite del risarcimento del danno nelle occupazioni appropriative).
Nel contemperamento dei confliggenti interessi delle parti, il legislatore ha tuttavia mitigato le sfavorevoli conseguenze economiche derivanti per il locatore dalla predeterminazione della misura del risarcimento, introducendo a suo favore una presunzione di notevole rilievo sotto il profilo probatorio: infatti la norma in esame per un verso esonera il conduttore dall’obbligo di risarcire il danno oltre il limite prestabilito ma per altro verso esonera il locatore stesso dall’onere della prova del danno da ritardato rilascio, presumendone l’esistenza e determinandone l’ammontare.
Anche sotto tale aspetto la norma appare dotata di intrinseca coerenza.
Le censure mosse dai giudici rimettenti non possono perciò condividersi: il parametro dell’art. 42 Cost. non è certamente invocabile nella specie, poiché la funzione sociale della proprietà, intesa quale “dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali” (sentenza n. 108 del 1986), legittima interventi legislativi finalizzati all’attuazione di esigenze di carattere primario; né tantomeno può valere il richiamo all’art. 24 della Costituzione, poiché la tutela giurisdizionale dei diritti è garantita a condizione che i diritti stessi siano riconosciuti e attribuiti da norme sostanziali (tra le tante, sentenza n. 420 del 1998).
5. – La disposizione censurata contrasta tuttavia con il canone della ragionevolezza, là dove estende i suoi effetti al periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione o di quello giudizialmente fissato per l’esecuzione, prolungando l’esenzione fino all’effettivo rilascio dell’immobile.
Occorre considerare che mentre la predeterminazione legale del danno risulta, nei limiti della temporaneità già sottolineati, una misura coerente alla sospensione ope legis dell’esecuzione, non altrettanto può ritenersi nelle ipotesi in cui essa sia svincolata da un termine di esecuzione legislativamente o giudizialmente fissato. Potendosi verificare la mancata coincidenza tra la scadenza del termine di rilascio ed il momento dell’effettiva riconsegna dell’immobile ed essendo altresì ipotizzabile che tra i due momenti intercorra un periodo di tempo anche considerevole, l’incongruenza del sistema che disciplina gli obblighi risarcitori al di fuori del controllo giudiziale emerge con tutta evidenza.
Nelle anzidette ipotesi viene meno l’equilibrato componimento dei contrapposti interessi, in quanto la limitazione dell’entità del risarcimento non è più sorretta dalla ragione giustificatrice sopra illustrata e rappresentata dalla temporaneità della esenzione in relazione ai soli periodi di sospensione della esecuzione. La conseguente protrazione sine die dell’esenzione del conduttore dall’obbligo di risarcire il danno secondo le regole ordinarie, essendo il termine del rilascio ormai sottratto alla valutazione del giudice, costituisce un elemento gravemente perturbatore di quell’equilibrio in precedenza menzionato: in esso si sostanzia la irragionevolezza della norma.
Nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione legale ovvero di quello fissato dal giudice e fino all’effettivo rilascio non vi è motivo per cui non debba operare il regime ordinario, che regola il risarcimento del maggior danno secondo la disciplina dell’art. 1591 cod. civ. e che ne rimette al giudice la determinazione sulla base degli elementi probatori che il locatore sarà in grado di offrire secondo le regole ordinarie.
E’ quindi costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 6, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, anche nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione della esecuzione stabilito ope legis o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell’immobile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, anche nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione della esecuzione stabilito ope legis o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell’immobile.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 9 novembre 2000.