Ordinanza n. 465/2000

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ORDINANZA N. 465

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 46 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con ordinanze emesse il 16 febbraio 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano sul ricorso proposto da Spreafico Laura contro l’Ufficio delle imposte dirette di Milano, iscritta al n. 287 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2000 e il 19 maggio 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Biella sul ricorso proposto da Ronco Osvaldo contro l’Ufficio delle imposte dirette di Cossato, iscritta al n. 320 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

 Ritenuto che, nel corso di un procedimento promosso da un contribuente avverso un avviso di accertamento notificatogli dal competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette, successivamente annullato in pendenza di giudizio, la Commissione tributaria provinciale di Biella, con ordinanza emessa il 19 maggio 1997 (pervenuta alla Corte il 17 maggio 2000: r.o. n. 320 del 2000), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), là dove «non riconosce alla parte vincente il diritto alla rifusione delle spese, in caso di cessazione della materia del contendere conseguente al riconoscimento della fondatezza del ricorso da parte dell'Ufficio»;

 che, secondo la Commissione rimettente, la denunciata norma si pone in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., per irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla normativa vigente del processo civile e di quello amministrativo; b) con gli artt. 24 e 113 Cost., perché il mancato rimborso delle spese impedisce una effettiva e piena tutela del diritto azionato e può costringere il contribuente a non instaurare il giudizio per vedere riconosciuto il suo diritto;

 che, nel corso di analogo procedimento, la Commissione tributaria provinciale di Milano, con ordinanza emessa il 16 febbraio 2000 (r.o. n. 287 del 2000), ha sollevato questione di legittimità dello stesso art. 46, comma 3, «nella parte in cui prevede che, in caso di cessazione della materia del contendere, le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano sempre a carico della parte che le ha anticipate»;

 che la norma viene denunciata per violazione del principio di uguaglianza, data la disparità di trattamento con l'omologo caso disciplinato dall'art. 44, nel quale è prevista l'opposta regola per cui il ricorrente che rinuncia al ricorso deve rimborsare le spese alle altre parti;

 che, nel giudizio promosso con r.o. n. 287 del 2000, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza delle sollevate questioni.

 Considerato che i giudizi, concernenti la medesima norma, possono essere riuniti e congiuntamente decisi;

 che (successivamente alla proposizione da parte della Commissione tributaria di Biella dell'odierno incidente di costituzionalità) questa Corte, chiamata al vaglio di identiche questioni, ne ha dichiarato l'infondatezza con sentenza n. 53 del 1998;

 che nella motivazione di tale decisione - oltre che delle ordinanze n. 368 del 1998, n. 77 e n. 265 del 1999, pronunciate su analoghe questioni - la Corte ha già dato esaurienti risposte alle argomentazioni, svolte anche dalla menzionata Commissione rimettente, a sostegno della lamentata violazione del principio di uguaglianza e di razionalità, così come del diritto di difesa del contribuente;

 che, in particolare, questa Corte ha ivi osservato come, in materia, il legislatore - nell’opera, affidata alla sua discrezionalità, di conformazione degli istituti del giudizio tributario a quello civile - non abbia in alcun modo travalicato il limite della razionalità;

 che, infatti, da un lato, la non simmetrica costruzione delle singole norme in specifici sistemi processuali in sé compiuti e riguardanti materie non omogenee è inidonea a produrre lesioni al principio di uguaglianza, non potendo un modello processuale essere assunto a parametro per un rito; e, dall'altro lato, costituisce principio insuperabile esclusivamente quello che la parte vittoriosa non venga gravata, in tutto o in parte, delle spese di lite, mentre la concreta esplicazione del diritto di azione e di difesa della parte prescinde dalla possibilità di conseguirne all’esito della lite la (eventuale) ripetizione;

 che, relativamente a quanto ulteriormente prospettato dalla Commissione tributaria di Milano, in riferimento all'asserita violazione del principio di uguaglianza, basta solo ribadire quanto già sostenuto nelle richiamate ordinanze (tutte ignorate dalla rimettente) circa la disomogeneità – in ordine ai presupposti, nonché agli effetti processuali e sostanziali - fra l'ipotesi di rinuncia al ricorso e quella di cessazione della materia del contendere; donde la palese inconfigurabilità della paventata disparità di trattamento emergente dalla comparazione tra gli artt. 44 e 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992;

 che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

 dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate - in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione - dalla Commissione tributaria provinciale di Biella, e - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 novembre 2000.