ORDINANZA N. 265
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con ordinanze emesse il 17 febbraio 1998 dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano sul ricorso proposto da Beta Costruzioni s.r.l. contro la Cassa di Risparmio s.p.a. ed altro, iscritta al n. 58 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1999, e il 5 febbraio 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Terni sui ricorsi riuniti proposti da Galleria Botticelli Antiquariato s.n.c. ed altri contro l'Ufficio delle imposte dirette di Terni, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che nel corso di un procedimento promosso da una società avverso l’iscrizione a ruolo di una cartella esattoriale la Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con ordinanza emessa il 17 febbraio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le spese del giudizio tributario, estinto per cessazione della materia del contendere, restino a carico della parte che le ha anticipate, escludendo l’applicabilità del criterio della soccombenza virtuale;
che, affermata la rilevanza della questione per intervenuto annullamento dell’atto impositivo in sede di autotutela dopo l’instaurazione del giudizio, ritiene la Commissione rimettente che la norma impugnata - la quale disciplina una situazione equivalente a quella prevista dal precedente art. 44, secondo cui chi rinuncia al ricorso deve rimborsare le spese di lite alle altre parti, salvo diverso accordo - si pone in contrasto: a) con l'art. 3, primo e secondo comma, Cost., per l'ingiustificata disparità di trattamento tra chi rinuncia al ricorso, il quale deve rimborsare le spese alle altre parti, e l'amministrazione finanziaria, la quale invece, ove rinunci alla pretesa tributaria, é esonerata dal pagamento delle spese di giudizio; b) con l’art. 24 Cost., per la conseguente lesione del diritto di difesa del contribuente;
che nel corso di analogo giudizio - promosso da una società avverso alcuni avvisi di accertamento notificati dal competente ufficio delle imposte dirette e successivamente annullati nelle more del processo - la Commissione tributaria provinciale di Terni, con ordinanza emessa il 5 febbraio 1998, ha anch’essa sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992;
che, secondo la rimettente, la disposizione censurata viola: a) l’art. 3 Cost., per irrazionale disparità di trattamento tra l’ufficio finanziario, il quale, avvalendosi del potere di autotutela, ha la possibilità di impedire la prosecuzione del giudizio senza incorrere nella condanna alle spese - come viceversa accadrebbe di fronte alle altre giurisdizioni (civile, amministrativa e contabile) - ed il contribuente, il quale può solo rinunciare agli atti del giudizio dovendo rimborsare le spese di causa alla controparte; b) l’art. 24 Cost., per conseguente lesione del diritto di difesa dei ricorrenti diversi dalla pubblica amministrazione, i quali, pur avendo sostanzialmente ragione, possono indursi a non agire in giudizio perchè sanno che l’amministrazione stessa, riconoscendo i propri errori, potrebbe far cessare il contenzioso e lasciare a loro carico l’onere delle spese già sostenute;
che, in entrambi i giudizi, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria dell'infondatezza delle sollevate questioni.
Considerato che i giudizi - concernenti la medesima norma, censurata con riferimento a profili sostanzialmente coincidenti - possono essere riuniti e congiuntamente decisi;
che successivamente alla proposizione degli odierni incidenti di costituzionalità questa Corte, chiamata al vaglio di identiche questioni, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza con le ordinanze n. 368 del 1998 e n. 77 del 1999;
che nella motivazione di tali ordinanze - oltre che della sentenza n. 53 del 1998, pronunciata su analoghe questioni - la Corte ha già dato esaurienti risposte alle argomentazioni, svolte anche dalle attuali rimettenti, a sostegno della lamentata violazione del principio di uguaglianza e di razionalità, così come del diritto di difesa del contribuente;
che, in particolare, questa Corte ha ivi osservato come, in materia, il legislatore - nell’opera, affidata alla sua discrezionalità, di conformazione degli istituti del giudizio tributario a quello civile - non abbia in alcun modo travalicato il limite della razionalità, costituendo principio insuperabile esclusivamente quello che la parte vittoriosa non venga gravata, in tutto o in parte, delle spese di lite, mentre la concreta esplicazione del diritto di azione e di difesa della parte prescinde dalla possibilità di conseguirne all’esito della lite la (eventuale) ripetizione;
che essa ha altresì rilevato come, da un lato, la non simmetrica costruzione delle singole norme in specifici sistemi processuali in sè compiuti e riguardanti materie non omogenee é inidonea a produrre lesioni al principio di uguaglianza, non potendo un modello processuale essere assunto a parametro per un rito, e come, dall’altro lato, la disomogeneità, quanto a presupposti ed effetti processuali e sostanziali, fra la rinuncia al ricorso e la cessazione della materia del contendere nel giudizio tributario, renda palese la inconfigurabilità della paventata disparità di trattamento risultante dalla comparazione tra gli artt. 44 e 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992;
che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate - entrambe in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 24 della Costituzione - dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano e dalla Commissione tributaria provinciale di Terni, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.