ORDINANZA N. 458
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), promosso con ordinanza emessa il 28 ottobre 1998 dal Tribunale di Messina nel procedimento civile vertente tra Recupero Giuseppe e la Presidenza del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che - nel corso della fase di delibazione dell’ammissibilità di una domanda proposta da un magistrato contro la Presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere il risarcimento dei danni cagionatigli dall’adozione nei suoi confronti, da parte del pubblico ministero e del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, di un provvedimento di custodia cautelare, asseritamente illegittimo - il Tribunale di Messina, con ordinanza emessa il 28 ottobre 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), «nella parte in cui non esclude la competenza del tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato (danneggiante) al momento del fatto, per attribuirla al tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto più vicino, diverso da quello in cui il magistrato (danneggiante) esercitava le sue funzioni al momento del fatto, anche nel caso in cui l'azione sia promossa da un magistrato che, al momento del fatto, operava nel medesimo tribunale indicato come competente o che in ufficio dello stesso distretto sia venuto ad operare al momento della proposizione della domanda»;
che, a giudizio del rimettente - dovendosi ravvisare la ratio della deroga agli ordinari criteri di competenza territoriale dettata dalla disposizione impugnata nella necessità di evitare turbative alla serenità ed imparzialità del giudicante chiamato a decidere nei confronti di un magistrato operante nel suo stesso ufficio o nello stesso distretto di appartenenza -, la denunciata norma si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede analogo e speculare spostamento della competenza territoriale quando l'attore sia a sua volta un magistrato che (come nella fattispecie), sia al momento del fatto, sia all'atto della proposizione della domanda risarcitoria, svolgeva la sua attività nel distretto al quale appartiene l'ufficio giudiziario chiamato a decidere in merito alla stessa;
che infatti, secondo il rimettente, il "magistrato-danneggiante" viene a trovarsi, rispetto al suo contraddittore, in una posizione deteriore, non mitigata dalla circostanza dell’essere l’azione formalmente esperita nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, essendo la relativa decisione comunque idonea ad incidere nei suoi confronti tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello disciplinare, morale e professionale;
che da ciò deriverebbe appunto - come reso evidente dalla comparazione della fattispecie in esame con quella dell'art. 11 cod. proc. pen., dove è previsto l'obbligatorio spostamento della competenza territoriale tanto nell'ipotesi in cui il magistrato sia soggetto passivo dell'azione penale quanto in quella in cui egli assuma la veste di parte lesa dal reato - la violazione del diritto di difesa del magistrato danneggiante e, insieme, del principio di uguaglianza per irragionevole disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente analoghe;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o comunque di infondatezza della sollevata questione.
Considerato che, successivamente alla proposizione dell'odierno incidente di costituzionalità, questa Corte - con sentenza n. 301 del 1999 - ha dichiarato la manifesta infondatezza di altra questione, sollevata dallo stesso rimettente, a questa sostanzialmente identica, fatta eccezione per la sola circostanza che nel presente giudizio a quo il magistrato attore esercitava le sue funzioni nel medesimo distretto del Tribunale sia al momento del fatto, sia anche all'atto della proposizione della domanda risarcitoria;
che, in questa sede, deve ulteriormente sottolinearsi come, nel prospettare la questione, il Tribunale non abbia adeguatamente tenuto conto della peculiarità del giudizio ex lege n. 117 del 1988, che è vòlto all'accertamento dell’esistenza o non di un’obbligazione di danni a carico dello Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, unica parte convenuta (in senso sostanziale e formale) nel giudizio stesso; e che dunque, proprio in ragione di tale peculiarità, è erroneo porre sullo stesso piano e tra loro rapportare la figura dell’attore e quella del magistrato al cui comportamento, atto o provvedimento, si faccia risalire l'asserita responsabilità dei richiesti danni;
che, non sussistendo i presupposti per la comparabilità delle situazioni all’interno di codesto autonomo sistema processuale - la cui ratio si fonda, per precisa ed incensurabile scelta di politica legislativa, sull’esigenza di evitare un contenzioso diretto tra il danneggiato e l’organo giurisdizionale cui si faccia risalire l'asserita responsabilità civile -, non è ravvisabile il vulnus al principio di uguaglianza in correlazione al diritto di difesa, prospettato sotto lo specifico profilo di cui sopra;
che, inoltre, sotto un più ampio profilo, va ribadito come - con riguardo al bilanciamento degli opposti valori e interessi in materia - la netta differenza strutturale e funzionale tra processo civile e processo penale porti ad escludere che la regola derogatoria della competenza di cui al richiamato art. 11 cod. proc. pen. sia da assumere necessariamente a criterio generale (ordinanza n. 462 del 1997); e come il solo legislatore possa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, stabilire quando ricorra quell’identità di ratio che imponga l’estensione del criterio di cui a tale articolo, e quando invece ciò non avvenga affatto o la stessa finalità sia realizzabile attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia (sentenza n. 51 del 1998);
che tali considerazioni valgono evidentemente anche a proposito della regola derogatoria di cui alla denunciata norma, giacché la scelta di regolamentare la relazione tra la qualità dell’attore, di magistrato esercente le funzioni nel distretto, e l’ufficio giudiziario del distretto medesimo, chiamato a decidere sulla sua domanda, ricade - allo stesso modo che con riguardo alle cause civili aventi qualunque altro oggetto - nella sfera riservata al legislatore, il quale può ritenere sufficienti ad assicurare l'imparzialità del giudicante le norme sull’astensione e la ricusazione, ovvero scegliere di ampliare la portata della necessaria garanzia in materia con l’introduzione di ulteriori norme derogatorie;
che costituisce appunto esercizio di detta discrezionalità il successivo intervento attuato con legge 2 dicembre 1998, n. 420, la quale - dettando nuove e diverse disposizioni in materia, peraltro non applicabili, ratione temporis, nel giudizio a quo -, non solo ha modificato gli artt. 4, comma 1, ed 8, comma 2, della legge n. 117 del 1988 e lo stesso art. 11 cod. proc. pen., ma ha anche inserito nel codice di procedura civile l’art. 30-bis, dove si prevede che tutte le cause in cui sono comunque parti i magistrati appartengono alla competenza del giudice, ugualmente competente per materia, determinato a’ sensi dell'art. 11 cod. proc. pen;
che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Messina, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 2 novembre 2000.