SENTENZA N. 434
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 1994, n. 14 (Modifica alla legge regionale 10 giugno 1991, n. 12, relativa a "Organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione"), promosso con ordinanza emessa il 9 aprile 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Leone Antonio contro la Regione Veneto, iscritta al n. 382 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visto l'atto di intervento della Regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Alfredo Bianchini e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di un giudizio promosso da un dipendente della Regione Veneto avverso il provvedimento di rigetto della domanda di permanenza in servizio per un periodo massimo di due anni oltre i limiti di età previsti per il collocamento a riposo, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato, in riferimento agli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 1994, n. 14 (Modifica alla legge regionale 10 giugno 1991, n. 12, relativa a "Organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione").
Il provvedimento impugnato è stato adottato in applicazione dell'art. 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 1994, n. 14, che, sostituendo l'art. 115 della legge regionale 10 giugno 1991, n. 12, ha statuito che "ai dipendenti regionali non si applica l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503", fino all'adozione di una nuova organizzazione amministrativa regionale.
Su tale rilievo, il giudice a quo fonda la rilevanza della questione, con la considerazione che soltanto la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata comporterebbe il buon esito della domanda di permanenza in servizio per un ulteriore biennio, con i conseguenti benefici giuridici ed economici e, quindi, previdenziali, in capo al ricorrente, quanto meno sotto il profilo della ricostruzione della carriera.
Ad avviso del giudice rimettente la norma in questione avrebbe sostanzialmente abrogato una disposizione, che la legge statale avrebbe espressamente dichiarato applicabile anche ai dipendenti "degli enti pubblici non economici", tra i quali dovrebbero essere ricompresi i dipendenti regionali.
Pertanto, la legge regionale in esame sarebbe in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, in quanto la norma statale si porrebbe come norma di principio, non derogabile ad opera di leggi regionali.
Essa determinerebbe, inoltre, in violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza ed imparzialità dell'amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, una disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti della Regione Veneto, rispetto a quelli dello Stato e di altre regioni.
La norma anzidetta, infine, nel prevedere la sospensione temporanea dell'applicazione della norma statale senza, peraltro, ancorare tale sospensione ad un termine finale, concretizzerebbe, in sostanza, un’abrogazione della norma statale.
2.- Nel giudizio introdotto con l'ordinanza di cui sopra ha spiegato intervento la Regione Veneto, sostenendo l’infondatezza della questione.
In data 22 giugno 2000 (fuori termine) è pervenuta memoria della Regione Veneto, che illustra ulteriormente l’infondatezza della anzidetta questione.
Considerato in diritto1.- La questione di legittimità costituzionale, sottoposta in via incidentale all'esame della Corte, riguarda l'art. 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 1994, n. 14 (Modifica alla legge regionale 10 giugno 1991, n. 12, relativa a "Organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione"), contenente la disposizione che prescrive: "ai dipendenti regionali non si applica l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503" (proroga del servizio per un biennio), fino all'adozione di una nuova organizzazione amministrativa regionale.
E’ denunciata la violazione dell'art. 117 della Costituzione per contrasto con un principio fondamentale della legislazione statale, di cui sarebbe espressione l'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti della Regione Veneto, rispetto a quelli dello Stato o di altre Regioni, in violazione dei principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di imparzialità della pubblica amministrazione.
2.- La questione sollevata è infondata sotto tutti i profili denunciati.
Innanzitutto deve essere rilevata la erroneità dei presupposti su cui si basa l’ordinanza di rimessione, in quanto l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 non contiene affatto una disposizione direttamente cogente per le regioni in ordine ai propri dipendenti, in modo da modificare (imponendo alle regioni di consentire la prosecuzione biennale del rapporto, oltre i limiti di età, con carattere di generalità) o da vincolare in ogni dettaglio l’ordinamento e lo status giuridico dello stesso personale regionale. Di conseguenza, completamente ingiustificato è il richiamo fatto nell’ordinanza di rimessione ad una abrogazione della norma statale da parte del legislatore regionale.
A prescindere da ciò, la norma delegata deve essere interpretata alla luce della delega legislativa (art. 3, comma 1, lettera b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421). La ratio della delega è, invero, quella di riservare un ambito applicativo più ristretto alla speciale ed eccezionale previsione relativa ai "dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici", in quanto previsione di carattere eccezionale. La necessità di una interpretazione restrittiva è confortata, in particolare, dal confronto con il più ampio oggetto della delega, riferito alla "previdenza" ed al riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti privati e pubblici (art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nonché con l'oggetto della delega sul pubblico impiego con richiamo agli artt. 1, primo comma, e 26, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 421 del 1992, citata).
3.- Inoltre non esiste un principio fondamentale della legislazione statale in base al quale vi sarebbe un diritto incondizionato del dipendente pubblico al mantenimento in servizio per un biennio (sentenze n. 113 del 1999; n. 162 del 1997).
Infatti, il principio fondamentale della legislazione statale, che si desume dall’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, "è quello secondo il quale il trattenimento in servizio oltre i limiti di età può avvenire solo su istanza dell’interessato". La prosecuzione del rapporto di impiego è configurata dal legislatore statale come eccezione alla regola dei limiti di età per il servizio (rimasti, si noti, immodificati) ed, anche se introdotta con finalità di contenimento della spesa pubblica previdenziale e di quiescenza (permanendo tuttavia il carico del trattamento di servizio attivo e degli oneri riflessi complessivamente maggiore rispetto a quello di nuove assunzioni meramente eventuali, anche in relazione a ricorrenti blocchi), non è incompatibile con le disposizioni normative che prevedono la sussistenza dei requisiti per la continuazione del rapporto di impiego con un soggetto pubblico (come l’idoneità fisica, l’assenza di incompatibilità, la persistenza del posto ecc.) (sentenza n. 162 del 1997). Né la suddetta norma può valere a comprimere le attribuzioni del legislatore regionale nella materia degli ordinamenti degli uffici e di provvista e status del relativo personale, compresi i limiti di età e il trattenimento in servizio. In detti ultimi specifici campi di regolamentazione non esiste un obbligo per la Regione di conformarsi pedissequamente alle singole disposizioni statali e tantomeno all’intero contenuto dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 (sentenza n. 162 del 1997), essendo vincolata dai principi fondamentali della legislazione dello Stato.
4.- La giurisprudenza della Corte ha sottolineato che in materia esiste un principio di divieto per il legislatore regionale di stabilire in via generale una disciplina che preveda una età massima per il collocamento a riposo superiore a quella fissata per la corrispondente categoria dei dipendenti dello Stato (sentenze n. 162 del 1997; n. 186 del 1990 e n. 238 del 1988).
In ordine al limite di età e al prolungamento dell’età pensionabile per il settore pubblico non esistono norme uniformi, essendo diverse a seconda delle categorie di personale e delle esigenze dell’ente. Deve riconoscersi, infatti, al legislatore un’ampia discrezionalità con il limite della manifesta arbitrarietà (sentenze n. 162 del 1997; nn. 380 e 422 del 1994) con l'esclusione di un obbligo di estensione generalizzata al trattenimento in servizio. Di contro, il bene protetto a garanzia dei diritti previdenziali, è rappresentato, in materia, dal conseguimento della pensione al «minimo», mentre non gode eguale protezione il raggiungimento del trattamento pensionistico massimo o il semplice prolungamento del servizio attivo (sentenze n. 195 del 2000; n. 227 del 1997).
5.- La anzidetta discrezionalità deve essere riconosciuta anche al legislatore della Regione Veneto, la cui scelta, per il momento negativa, non può ritenersi manifestamente irragionevole o palesemente arbitraria, in attesa della adozione di una nuova organizzazione amministrativa regionale. In altri termini, la Regione ha voluto, in relazione alla situazione del proprio personale, attendere una verifica delle esigenze organizzative e del nuovo assetto, prima di accogliere nel proprio ordinamento un prolungamento biennale a domanda dei limiti di età per tutte le categorie dei propri dipendenti.
Come ulteriore conseguenza deve escludersi che la suddetta scelta possa contrastare con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), essendo anzi confliggente con detti principi la pretesa di un indiscriminato trattenimento in servizio, indipendente da una valutazione necessaria al fine di verificare l'esigenza di personale e la persistenza di posti di organico da parte della amministrazione.
6.- Infine, non può parlarsi di diseguaglianza e disparità di trattamento, poiché, in assenza di un principio di necessaria uniformità, lo stesso legislatore non ha sempre scelto l’applicabilità generale del prolungamento biennale a domanda del servizio oltre i limiti di età, avendolo, di contro, escluso per una serie di categorie di personale (sentenze nn. 422, 380 del 1994; n. 475 del 1993) o in relazione alla situazione finanziaria dell’ente (sentenza n. 113 del 1999), ovvero avendolo condizionato a valutazioni inerenti alle esigenze di servizio (cfr. sentenza n. 162 del 1997).
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 1994, n. 14 (Modifica alla legge regionale 10 giugno 1991, n. 12, relativa a "Organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione"), sollevata, in riferimento agli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 ottobre 2000.