ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544 (Elevazione dei livelli dei trattamenti sociali e miglioramenti delle pensioni), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1999 dal Pretore di Bologna, nel procedimento civile vertente tra Savorani Maria Domenica e l'ENPAF, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visti l'atto di costituzione dell'ENPAF, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi l'avvocato Alberto Angeletti per l'ENPAF e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso del giudizio promosso da Savorani Maria Domenica, al fine di ottenere, quale titolare di trattamento pensionistico erogato dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza farmacisti (ENPAF), l’adeguamento della pensione al trattamento minimo corrisposto dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 26 gennaio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544 (Elevazione dei livelli dei trattamenti sociali e miglioramenti delle pensioni), il quale, dopo aver stabilito che i trattamenti pensionistici corrisposti dalle Casse di previdenza per i liberi professionisti non possono essere di importo inferiore a quello minimo a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, prevede che i competenti organi delle Casse medesime "adottano i provvedimenti necessari ad assicurare la copertura dei relativi oneri, che restano a loro carico, sempreché le disponibilità complessive delle rispettive gestioni lo consentano e con esclusione, comunque, di oneri a carico dello Stato";
che, secondo il giudice a quo, la disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e "38, cpv." (rectius: secondo comma), della Costituzione "nella parte in cui...subordina l’obbligo per le Casse di previdenza per i liberi professionisti ¾ e, in particolare, per l’ENPAF ¾ di corrispondere trattamenti pensionistici d’importo non inferiore a quello minimo a carico del Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, alla correlativa esistenza di disponibilità complessive delle rispettive gestioni";
che il rimettente, nell’evidenziare che, all’esito di apposita istruttoria, è risultata confermata l’allegazione dell'Ente convenuto, secondo cui "le disponibilità complessive della gestione non avevano consentito l’applicabilità ai pensionati della disciplina in parola", esclude che la norma censurata ¾ nella parte in cui contempla l’obbligo per i competenti organi della Cassa di adottare "i provvedimenti necessari ad assicurare la copertura degli oneri" ¾ possa intendersi nel senso di ricomprendere anche "interventi di bilancio straordinari e strutturali", giacché, altrimenti, "resterebbe priva di effetto la clausola di salvaguardia relativa alle disponibilità complessive delle rispettive gestioni";
che, pertanto, secondo l’ordinanza, stante l’accertata "indisponibilità della gestione dell’Ente a sostenere il carico dei trattamenti minimi" di pensione, la domanda proposta dalla ricorrente potrebbe trovare accoglimento soltanto se la menzionata "clausola di salvaguardia...fosse travolta da una pronunzia di illegittimità costituzionale", atteso che, in base ai dati contabili acquisiti per mezzo della consulenza tecnica d’ufficio, risulterebbe "sufficiente un lieve adeguamento contributivo per attuare il disposto dell’art. 7 citato, senza oneri a carico dello Stato";
che il rimettente, nel rammentare che i trattamenti minimi di pensione possono, entro i limiti della ragionevolezza, essere discrezionalmente stabiliti in misura differenziata per le diverse categorie di lavoratori, sostiene che, nel caso in esame, non sussistono "ragioni atte a giustificare la prudenza del legislatore, che ha voluto esimersi dall’affermare tout court l’obbligo delle Casse di adottare tutti i provvedimenti (...ovviamente, leciti alla luce dei singoli ordinamenti)" necessari a consentire, "fermo l’esonero dello Stato", di adeguare ai minimi le pensioni erogate dalle stesse Casse; donde il dubbio che siano stati superati dal legislatore i limiti della ragionevolezza, con violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che, ad avviso dell’ordinanza, stante l’esigenza che a tutte le categorie di lavoratori sia assicurata "la conservazione nel tempo del potere di acquisto della pensione minima ritenuta adeguata alle esigenze di vita", la disposizione censurata, consentendo che "nessuna pensione minima sia prevista", si porrebbe in contrasto anche con l’art. 38, secondo comma, della Costituzione;
che si è costituito in giudizio l’ENPAF, per sentir dichiarare inammissibile o, in subordine, infondata la sollevata questione;
che ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza della questione medesima;
che, in prossimità dell’udienza, sia la parte privata che l’intervenuto Presidente del Consiglio hanno depositato memorie illustrative, insistendo nelle conclusioni già prese.
Considerato che la disposizione si inserisce nel peculiare sistema della previdenza di categoria, il quale presenta un’autonomia organizzativa, contabile e finanziaria, tale da escludere ¾ salvo casi eccezionali ¾ il concorso dello Stato e, dunque, della collettività generale, fondandosi sulla regola ¾ non contestata, del resto, dal giudice a quo ¾ dell’autofinanziamento (tra le altre, vedi sentenze n. 88 e n. 78 del 1995), che viene a realizzarsi, eminentemente, attraverso l’obbligo contributivo posto a carico degli iscritti;
che con tale regola appare del tutto coerente la clausola di salvaguardia delle "disponibilità finanziarie delle rispettive gestioni", la quale, nell’ambito del denunciato art. 7, vale a precisare che i competenti organi di Casse e Fondi sono tenuti ¾ nell’esercizio di poteri-doveri la cui portata ed i cui limiti vanno desunti dai rispettivi ordinamenti ¾ ad adottare tutti i provvedimenti necessari per l’adeguamento dei trattamenti pensionistici, senza trascurare, però, la provvista delle risorse occorrenti ad assicurare, secondo criteri di corretta gestione, il mantenimento dell’equilibrio finanziario;
che, così precisato il senso della disposizione, non risulta violato non solo l’art. 3, ma nemmeno l’art. 38, secondo comma, della Costituzione, posto che, nel sistema di settore, la garanzia dei c.d. trattamenti minimi è da ritenere condizionata, nell’an e nel quantum, al rispetto di quegli equilibri finanziari (vedi sentenze n. 119 del 1997 e n. 243 del 1992) che la norma denunciata, in modo del tutto ragionevole, tende ad assicurare;
che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
PER QUESTI MOTIVILA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544 (Elevazione dei livelli dei trattamenti sociali e miglioramenti delle pensioni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.