ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del «comportamento» assunto dal Governo in violazione delle attribuzioni spettanti alla Regione Puglia sulle funzioni già esercitate dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, ed in particolare della approvazione da parte del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dello statuto della Società Acquedotto pugliese e della nomina di un amministratore unico della predetta Società, promosso con ricorso della Regione Puglia, notificato il 6 agosto 1999, depositato in Cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 1999.
Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l'avvocato Vincenzo Caputi Jambrenghi per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1. — La Regione Puglia, con ricorso notificato il 6 agosto 1999, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al «comportamento» del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro del tesoro e del Ministro dei lavori pubblici, per violazione delle attribuzioni spettanti alla Regione Puglia secondo gli articoli 117 e 118 della Costituzione, «sulla attività, le funzioni e la gestione esercitate sinora dall’Ente autonomo acquedotto pugliese», e, in particolare, in relazione alla «approvazione da parte del Ministro del tesoro dello statuto» della Società per azioni Acquedotto pugliese e della «nomina da parte del medesimo Ministro di un amministratore unico».
La Regione chiede che la Corte dichiari non spettante allo Stato ma alla Regione Puglia «l’adozione dei provvedimenti necessari per organizzare e realizzare la gestione delle risorse idriche anche con riferimento specifico a quelle dell’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese» e conseguentemente annulli «la determinazione amministrativa di approvazione da parte del Ministro del tesoro» della clausola statutaria che riserva tutte le attività suddette alla Società Acquedotto pugliese; nonché annulli la nomina da parte del Ministro del tesoro di un amministratore unico «anziché di un consiglio di amministrazione che avrebbe potuto ricomprendere rappresentanti della Regione Puglia».
2. — La ricorrente espone che il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141 - avverso il quale la Regione ha promosso questione di legittimità costituzionale - ha disposto la privatizzazione dell’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese, e che in attuazione della procedura ivi prevista il 2 luglio 1999 si è tenuta in Roma la prima assemblea della costituenda Società «Acquedotto pugliese». In tale occasione il Ministro del tesoro, nella qualità di unico azionista della società, ha provveduto ad approvare lo statuto della società stessa, nonché ha deliberato la nomina di un amministratore unico nella persona del commissario straordinario del disciolto Ente autonomo. Secondo la ricorrente, che ricorda come la struttura acquedottistica in questione sia stata gestita lungo tutto il novecento da amministratori di emanazione dello Stato e delle province originarie di Bari, Foggia e Lecce, nonché, successivamente anche di Taranto, Brindisi e Potenza, nessuna norma di legge avrebbe previsto «l’estromissione completa» della Regione Puglia dall’amministrazione della nuova società, con la conseguenza che il Ministro del tesoro, evitando di nominare un Consiglio di amministrazione al quale avrebbero potuto prendere parte anche rappresentanti delle autonomie locali, «avrebbe sorpassato i limiti imposti dall’ordinamento generale nel rapporto Stato-regioni».
Ulteriore violazione delle prerogative regionali deriverebbe inoltre dalla circostanza che nella definizione statutaria dell’oggetto della nuova società farebbe difetto qualsiasi riferimento alla legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), con la conseguenza che la Regione resterebbe esposta ad ogni decisione unilaterale della Società nella gestione delle acque fuori e dentro gli ambiti ottimali, affidati invece alle Regioni dal predetto testo legislativo. Inoltre la medesima clausola statutaria conterrebbe anche, ad avviso della ricorrente, una «riserva» a favore della società per azioni in relazione ai compiti già affidati al disciolto ente acquedottistico, fra i quali, in particolare, quelli relativi alla «gestione del servizio idrico integrato», e quelli riguardanti «la captazione, l’adduzione, la potabilizzazione, l’accumulo, la distribuzione e vendita di acqua ad usi civili, industriali, commerciali ed agricoli», la quale comporterebbe una ulteriore violazione delle attribuzioni regionali predette nonché degli articoli 90.1 e 6 del trattato istitutivo della Comunità europea e dell’art. 8 della legge 1° ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).
3. — In prossimità dell’udienza, la Regione ha depositato una memoria difensiva nella quale, dopo avere ricordato il ruolo determinante delle istanze locali nella istituzione del Consorzio per l’acquedotto pugliese prima e del corrispondente Ente autonomo poi, ha sottolineato come non vi sia servizio pubblico più collegato al territorio di quello che abbia ad oggetto l’acqua potabile, donde deriverebbe la «ragione ultima della demanialità dei beni acquedottistici». L’estromissione della Regione Puglia dalla nuova struttura organizzatoria dell’acquedotto pugliese, ad avviso della ricorrente, si porrebbe quindi in contrasto con il principio del federalismo amministrativo e con l’affidamento alle Regioni, da parte della legislazione più recente ed in particolare del decreto legislativo 30 marzo 1999, n. 96, della competenza in materia «di opere idrauliche di qualsiasi natura (...) e, più in generale, di gestione del demanio idrico».
Considerato in diritto
1. — Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Puglia nei confronti dello Stato ha ad oggetto il "comportamento" assunto dagli organi di governo in violazione delle attribuzioni spettanti alla Regione Puglia "sulla attività, le funzioni e la gestione esercitate sinora dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese" e in particolare in relazione alla "approvazione da parte del Ministro del tesoro dello statuto della Società per azioni e della nomina da parte del medesimo Ministro di un amministratore unico", in occasione della prima assemblea della stessa società, conseguente al procedimento di privatizzazione disposto dal decreto legislativo n. 141 del 1999.
Secondo la Regione ricorrente sarebbe in particolare censurabile l'approvazione della clausola dello statuto della Società per azioni Acquedotto pugliese, che "riserva" ad essa le attività, già proprie del disciolto Ente, inerenti alla "gestione del servizio idrico integrato", nonché delle ulteriori clausole che prevedono rispettivamente la "riserva di azionariato" al Ministero del tesoro e la nomina di un amministratore unico, anziché di un consiglio di amministrazione al quale avrebbero potuto partecipare anche rappresentanti delle autonomie locali.
2. — Il ricorso è inammissibile.
La regione ricorrente sostanzialmente si duole della "connotazione giuridica esclusivamente statale" della S.p.a. Acquedotto pugliese e della conseguente estromissione della Regione Puglia dall'amministrazione e dalla gestione della società stessa. E, in questa ottica, in particolare articola le proprie censure sulle clausole statutarie che rispettivamente riservano alla società stessa i compiti relativi alla "gestione del servizio idrico integrato", nonché attribuiscono al Ministero del tesoro la totalità delle azioni e la nomina di un amministratore unico.
Si tratta, però, di censure che riguardano propriamente non già lo statuto della Società Acquedotto pugliese, bensì il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, che ha appunto disciplinato la trasformazione del preesistente Ente autonomo acquedotto pugliese in società per azioni. Ed invero è l'art. 2 del decreto a prevedere espressamente l'affidamento alla società "Acquedotto pugliese" delle finalità già attribuite al disciolto Ente autonomo, nonché dei compiti relativi alla "gestione del ciclo integrato dell'acqua e, in particolare, alla captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua a usi civili". E' evidente pertanto che la censurata clausola 4.1. dello statuto della società non rappresenta altro che una trascrizione del contenuto normativo del predetto art. 2 del citato decreto.
Allo stesso modo è l'art. 3 dello stesso decreto legislativo che, al comma 2, stabilisce che "le azioni sono attribuite al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che esercita i diritti dell'azionista" e, al comma 4, prevede che l'organo gestorio della società possa essere un consiglio di amministrazione o un amministratore unico. La censurata clausola statutaria pertanto si mantiene rigorosamente all'interno di un'opzione già compiutamente prefigurata in modo esplicito dal legislatore.
In definitiva, il ricorso in esame prospetta censure che, in realtà, riguardano norme di legge, delle quali i "comportamenti" e le determinazioni impugnati costituiscono applicazione. Essi non hanno, dunque, di per sé, autonoma attitudine lesiva della sfera di attribuzione regionale costituzionalmente garantita, dal momento che il disposto legislativo predetermina, come si è detto, presupposti, contenuto e forme applicative di essi (sentenze n. 277 del 1998 e n. 467 del 1997). Ma secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, si deve escludere che in sede di conflitto di attribuzioni tra Regione e Stato sia possibile impugnare atti (o "comportamenti"), al solo scopo di far valere pretese violazioni della Costituzione da parte della legge, che è a fondamento dei poteri svolti con gli atti (o i "comportamenti") impugnati (sentenze n. 467 del 1997, n. 215 del 1996, n. 472 del 1995).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Puglia nei confronti dello Stato con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.