Sentenza n. 309/2000

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SENTENZA N. 309

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI ,Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE  

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della mancata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nel giudizio per conflitto di attribuzione tra la Provincia autonoma di Bolzano e lo Stato iscritto al n. 3 del registro conflitti 1999, avente a oggetto atti emessi dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano, nei limiti in cui la determinazione di non costituirsi non è stata preceduta da una intesa o da una richiesta di parere allo stesso pubblico ministero, promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano, notificato il 26 gennaio 2000, depositato in cancelleria l’8 febbraio 2000 e iscritto al n. 5 del registro conflitti 2000.

 Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

 uditi il dott. Robert Schülmers per la Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano e l’avvocato dello Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso depositato il 3 giugno 1999, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla mancata costituzione di quest’ultimo nel giudizio (iscritto al registro conflitti n. 3 del 1999) per conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano contro lo Stato a seguito di due atti (decreto di esibizione documentale e lettera ai Presidi delle scuole della Provincia) emessi dal pubblico ministero nel corso di un procedimento penale contro funzionari della medesima Provincia.

Precisato che ai sensi dell’art. 112 della Costituzione il pubblico ministero è il titolare diretto ed esclusivo dell’attività di indagine finalizzata all’esercizio dell’azione penale, e che in riferimento a detta funzione esso è legittimato a sollevare il conflitto, il ricorrente rileva che nei conflitti tra Stato e Regioni o Province autonome, in base al consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, sono legittimati a costituirsi in giudizio soltanto gli enti dai quali e nei confronti dei quali può essere sollevato il conflitto stesso, cioè il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta regionale, essendo stata di recente esclusa la possibilità di interpretare l’art. 20, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel senso di riconoscere il diritto di qualsiasi organo statale a intervenire in qualsiasi giudizio pendente innanzi alla Corte costituzionale (sentenza n. 350 del 1998). Inoltre, il ricorrente sottolinea che atti di giurisdizione possono essere a base di conflitto di attribuzioni tanto tra Regioni e Stato che tra poteri dello Stato, ma soltanto in questo secondo caso i singoli organi giudiziari sono legittimati a stare in giudizio, mentre nel primo caso il potere di costituirsi in giudizio spetta unicamente al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro da lui delegato, in rappresentanza dello Stato quale ordinamento unitario.

E’ chiara dunque – prosegue il ricorrente – la diversità di disciplina che contraddistingue i due diversi tipi di giudizi di regolamento di competenza, sotto il profilo della legittimazione a stare in giudizio, allorché oggetto dell’impugnazione sia un atto del pubblico ministero: se a impugnare l’atto è un altro potere dello Stato, il pubblico ministero potrà legittimamente contraddire in giudizio, mentre se a promuovere il conflitto è una Regione o una Provincia autonoma lo stesso pubblico ministero non avrà la possibilità di contrastare la prospettazione della ricorrente, potendo confidare soltanto nell’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, e ciò benché in entrambi i casi possa darsi l’effetto dell’annullamento dell’atto del potere giudiziario che è stato impugnato (artt. 38 e 41 della legge n. 87 del 1953).

Questa differenziazione, fonte di possibili incongruenze (come quella per cui nel conflitto tra enti il potere giudiziario si trova a essere difeso dallo stesso organo statale che, nell’altra sede, potrebbe esserne la controparte), è stata del resto rilevata anche dalla Corte costituzionale, allorché ha avvertito l’esigenza di una “autonoma rappresentanza e difesa dell’ordine giudiziario” nei conflitti tra enti nei quali siano in discussione provvedimenti della magistratura (sentenza n. 70 del 1985).

Il ruolo di rappresentanza dello Stato nella sua unità assegnato al Presidente del Consiglio dei ministri, prosegue il ricorrente, non fa venire meno l’istituzionale indipendenza rispetto a ogni altro potere statale che gli artt. 101, 104, 107 e 112 della Costituzione garantiscono al pubblico ministero: la ripercussione delle scelte processuali del rappresentante Presidente del Consiglio dei ministri nella sfera degli interessi propri ed esclusivi del potere giudiziario rappresentato determinerebbe, secondo il ricorrente, la necessità di ricercare un punto di equilibrio tra i diversi interessi in gioco, attraverso il ricorso all’istituto di carattere generale dell’intesa, quale mezzo di coordinamento e componimento di rapporti tra enti e autorità diversi, o comunque attraverso una preventiva consultazione dell’organo giudiziario coinvolto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri; ciò nel quadro delle regole di correttezza e di lealtà che devono ispirare i rapporti tra governo e autorità giudiziaria, per il rispetto delle attribuzioni a ciascuno spettanti, come la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto (sentenza n. 410 del 1998).

La presidenza del Consiglio dei ministri, al contrario, ha proceduto alle sue determinazioni senza interessare in alcun modo la Procura della Repubblica, neppure attraverso la semplice richiesta di un parere, con conseguente lesione “di attribuzioni riconosciute al ricorrente dal principio generale dell’intesa e dal principio di leale cooperazione tra poteri dello Stato”.

 Infine, il ricorrente rileva che non è di ostacolo all’accoglimento del ricorso il fatto che la eventuale sentenza della Corte non potrebbe produrre alcun effetto in ragione della oramai intervenuta decadenza dello Stato dalla facoltà di costituirsi nel giudizio promosso dalla Provincia, in quanto ciò non farebbe comunque venire meno l’interesse della Procura a ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione, ciò che rappresenta l’oggetto principale del giudizio della Corte, secondo l’art. 38 della legge n. 87 del 1953.

 2. – Con ordinanza n. 470 del 1999, la Corte costituzionale ha dichiarato l’ammissibilità del conflitto proposto dal Sostituto Procuratore di Bolzano; il ricorso e l’ordinanza sono stati regolarmente notificati in data 26 gennaio 2000 e depositati il successivo 8 febbraio.

 3. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo una declaratoria di inammissibilità e, nel merito, il rigetto del ricorso.

 Quanto all’ammissibilità, l’Avvocatura osserva che il ricorrente non contesta né la spettanza al Presidente del Consiglio delle attribuzioni in discorso, vale a dire la legittimazione passiva nel conflitto promosso dalla Provincia autonoma nei confronti dello Stato, né il potere di determinarsi circa la costituzione in quel giudizio; egli contesta infatti solo le modalità di esercizio di quella attribuzione.

 Così essendo, il ricorso per conflitto di attribuzione, in quanto concernente non la spettanza del potere ma le concrete modalità di esercizio del medesimo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe, ad avviso dell’Avvocatura, inammissibile.

 Nel merito, l’Avvocatura sostiene il rigetto del ricorso, osservando che non ha senso chiedere, come fa il magistrato ricorrente, la necessità di una audizione o di un previo parere del potere giudiziario, in vista della decisione sulla costituzione o meno del Presidente del Consiglio nel giudizio costituzionale, poiché tale affermazione comporterebbe pur sempre la prevalenza della determinazione di natura politica del Presidente del Consiglio dei ministri, e ciò non salvaguarderebbe in alcun modo – nella prospettiva da cui muove il Sostituto Procuratore – l’indipendenza della magistratura.

 In ogni caso, prosegue l’Avvocatura, non risulta affatto, nel vigente sistema costituzionale, un “principio generale di intesa” tra gli organi dello Stato; né il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato può implicare la necessità giuridica della previa concertazione tra tutti gli organi interessati alle modalità di esercizio di ogni potere pubblico.

 Infine, l’Avvocatura rileva che deve ammettersi solo una delle due possibilità di ricostruzione del sistema: o la Costituzione ha abilitato ogni potere dello Stato a interloquire nel giudizio per conflitto di attribuzioni di cui all’art. 134, sia nei confronti degli altri poteri dello Stato che nei confronti delle Regioni, e allora ciò pone un problema di conformità alla Costituzione dell’art. 39 della legge n. 87 del 1953; o, al contrario, la Costituzione non impone tale estensione della tutela processuale dei singoli poteri dello Stato nei conflitti di attribuzione tra enti, e allora, oltre a non porsi alcun problema di costituzionalità del citato art. 39, deve ritenersi del tutto legittimo il comportamento del Presidente del Consiglio dei ministri che ha ritenuto, secondo le proprie valutazioni, di non costituirsi nel giudizio per conflitto promosso dalla Provincia di Bolzano.

 4. – In prossimità dell’udienza, hanno depositato memorie sia la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano (quale ufficio ora “incorporante” la Procura presso la Pretura circondariale, a norma dell’art. 31 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51), in persona del Sostituto Procuratore, sia l’Avvocatura generale dello Stato.

 4.1. – Il ricorrente, insistendo per l’ammissibilità del conflitto e, nel merito, contestando – anche con richiami alla giurisprudenza costituzionale, in particolare alla sentenza n. 379 del 1992 - le argomentazioni svolte dall’Avvocatura nel suo atto di costituzione in giudizio, ribadisce la necessità di ricercare una soluzione al problema del contraddittorio nei conflitti tra enti aventi a oggetto atti del potere giudiziario, imperniata sul principio della leale collaborazione e dell’intesa, per salvaguardare – allo stato e in attesa di una auspicabile nuova disciplina legislativa – le prerogative di indipendenza della magistratura.

 4.2. – L’Avvocatura dello Stato ribadisce d’altra parte le proprie conclusioni nel senso dell’inammissibilità e del rigetto del ricorso.

In particolare, l’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità del conflitto anche sotto il profilo soggettivo, nel senso che il Sostituto Procuratore della Repubblica non potrebbe dirsi l’organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene: tale competenza, si afferma nella memoria, andrebbe riconosciuta solo al Procuratore della Repubblica, in quanto il sostituto non assumerebbe autonomo rilievo, data la connotazione gerarchica dell’ufficio.

 Quanto al merito, l’Avvocatura ribadisce che nell’ordinamento non esiste un principio della necessaria tutela processuale di ogni potere dello Stato, sia pure nella forma della intesa o della previa consultazione, nei giudizi costituzionali. Dalla disciplina di questi ultimi, anzi, emerge la contraria impostazione della limitazione della legittimazione processuale, nei conflitti tra enti, agli organi di vertice.

 La partecipazione al giudizio costituzionale di organi statali diversi da quello di vertice, prosegue la memoria, è dunque prevista solo come eccezione, nei conflitti interorganici (art. 37 della legge n. 87 del 1953 e art. 26 delle norme integrative); potrebbe convenirsi con il ricorrente – conclude l’Avvocatura - circa l’esigenza di dare voce al potere giudiziario in casi come quello in esame, ma ciò non potrebbe avvenire se non per opera del legislatore, costituzionale oppure ordinario, ovvero per decisione della Corte costituzionale, in sede di adozione di (nuove) norme integrative.

Considerato in diritto

1. – Il presente conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato è promosso dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano in persona di un suo sostituto, designato ad esercitare le funzioni di pubblico ministero in un procedimento penale contro funzionari della Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento a due atti del quale la Provincia autonoma medesima, ritenendo lese le proprie competenze costituzionali, ha in precedenza promosso conflitto di attribuzioni contro lo Stato. Poiché in tale conflitto costituzionale tra Provincia autonoma e Stato, la Presidenza del Consiglio dei ministri non si è costituita per difendere le attribuzioni dell’organo del potere giudiziario da cui provengono gli atti che hanno dato motivo al conflitto, il Sostituto Procuratore promuove il presente conflitto contro il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla suddetta mancata costituzione nel giudizio costituzionale “senza che sia previamente intervenuta un’intesa o sia stato comunque richiesto un parere al pubblico ministero i cui atti sono stati impugnati dalla Provincia autonoma di Bolzano”.

2. – Il conflitto è inammissibile.

2.1. – Il problema posto con il presente ricorso per conflitto di attribuzione riguarda la partecipazione al giudizio per conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni o Province autonome dell’autorità giudiziaria, quando la controversia abbia avuto origine da un suo atto che si ritenga lesivo di una competenza costituzionale e del quale si chieda l’annullamento.

Nella configurazione attuale di tali conflitti, per lo Stato è sempre e solo legittimato a intervenire il Presidente del Consiglio dei ministri (art. 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e art. 27 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale) anche quando, come nel caso che ha dato origine al presente giudizio, siano in discussione atti provenienti da organi dello Stato che, per la natura delle funzioni che sono chiamati a esercitare, godono secondo la Costituzione di una posizione di assoluta autonomia e indipendenza dal Governo. Si comprende perciò quella “esigenza di autonoma rappresentanza e difesa dell’ordine giudiziario anche nei conflitti tra Stato e Regioni nei quali siano in discussione provvedimenti giudiziari”, sulla quale questa Corte, conformemente a rilievi numerose volte prospettati dai commentatori, già con la sentenza n. 70 del 1985 ha richiamato l’attenzione, esigenza al cui soddisfacimento mira ora il presente conflitto di attribuzioni.

Sennonché, a tale carenza occorre – come ha rilevato la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri - che si ponga rimedio in via normativa, non essendo possibile ovviare a essa in via di interpretazione e applicazione dell’ordinamento vigente. Questo pone bensì l’esigenza di un’idonea rappresentanza e difesa dell’autorità giudiziaria nei giudizi su conflitto di attribuzioni in cui sia coinvolto l’esercizio dei suoi poteri, ma non fornisce indicazioni sufficienti circa il modo di colmare la lacuna, cosicché si possa provvedere al riguardo da questa Corte nell’esercizio dei poteri giurisdizionali che le spettano.

La riprova di quanto testé osservato sta nello stesso ricorso per conflitto qui in discussione, per mezzo del quale si chiede che, nel riconoscere la carenza di potere del Presidente del Consiglio dei ministri nel determinarsi autonomamente in relazione ai suoi poteri di intervento nel giudizio, quando siano in questione atti dell’autorità giudiziaria, la Corte costituzionale detti essa stessa una disciplina relativa alle procedure da seguire e ai poteri esercitabili dall’organo giudiziario interessato: una disciplina che – indipendentemente dalla congruità delle specifiche soluzioni indicate dal ricorrente, con riguardo alla reciproca posizione costituzionale del potere esecutivo e dell’ordine giudiziario – verrebbe necessariamente a configurarsi come la predisposizione ex novo di un complesso di regole che non può che essere posto nella sede competente a dettare norme nella materia dei giudizi costituzionali.

2.2. – La rilevata, assorbente ragione di inammissibilità del conflitto rende superfluo l’esame dell’eccezione sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri circa l’idoneità del Sostituto Procuratore della Repubblica a rappresentare l’ufficio di cui fa parte, in assenza di una designazione del capo dell’ufficio stesso specificamente riguardante il presente giudizio su conflitto di attribuzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano, in persona del Sostituto Procuratore della Repubblica, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, col ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 2000.