SENTENZA N. 299
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'allegato A), lettera d), della legge della Regione Toscana 20 dicembre 1996, n. 96 e degli artt. 5, comma 1, 35, comma 1, lettera d), stessa legge (Disciplina per l'assegnazione, gestione e determinazione del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui rinviano a detto allegato, promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, II sezione, sul ricorso proposto da I. T. contro il Comune di Firenze ed altra, iscritta al n. 383 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visto l'atto di intervento della Regione Toscana;
udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, II sezione, solleva, con ordinanza del 14 gennaio 1999, questione di legittimità costituzionale dell’allegato A), lettera d), nonché degli artt. 5, comma 1, e 35, comma 1, lettera d), nella parte in cui entrambe le norme rinviano a detto allegato, della legge della Regione Toscana 20 dicembre 1996, n. 96 (Disciplina per l'assegnazione, gestione e determinazione del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), in riferimento agli artt. 3, 117 e 118 della Costituzione.
2. ¾ Nel giudizio a quo l’assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica (in seguito, e.r.p.) ha impugnato l’ordinanza sindacale che lo ha dichiarato decaduto dall’assegnazione, in quanto egli avrebbe perduto uno dei requisiti stabiliti a detto fine. In particolare, il Tar osserva che l’art. 5, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 96 del 1996 dispone che, per l’assegnazione dell’alloggio di e.r.p., è richiesto il possesso dei requisiti fissati nella tabella A) allegata a detta legge, tra i quali, alla lettera d), è prevista la mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su uno o più alloggi, anche sfitti, ubicati in qualsiasi località, la cui quota di valore locativo, determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, sia almeno pari al valore locativo di alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso, computandosi detto valore secondo le modalità stabilite dalla legge da ultimo richiamata; il successivo art. 35, comma 1, lettera d), stabilisce che il venire meno di detto requisito determina la decadenza dall’assegnazione.
La questione, secondo il giudice a quo, sarebbe anzitutto rilevante in quanto il provvedimento impugnato è stato adottato proprio in virtù delle norme censurate, che devono appunto essere applicate nel giudizio. Il Tar espone, quindi, che la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) del 13 marzo 1995 ha stabilito i criteri generali per l’assegnazione degli alloggi, disponendo che costituisce requisito per l’assegnazione dell’alloggio di e.r.p. <<la mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare>> (paragrafo 3.1, lettera c), eliminando il riferimento al reddito percepito dall’immobile, commisurato al valore locativo determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978, già contenuto nella precedente delibera Cipe del 19 novembre 1981. Ad avviso del Tar, le norme impugnate, attribuendo rilievo al fine dell’assegnazione e della decadenza alla natura di un determinato reddito quantificato con riferimento al valore locatizio ex lege n. 392 del 1978, violerebbero il principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), sia in quanto detto valore non costituisce un indice idoneo ad esprimere il fabbisogno abitativo, sia in quanto esso costituisce una componente del reddito complessivo pure previsto quale requisito dell’assegnazione. Le disposizioni si porrebbero, quindi, in contrasto con la ratio delle più recenti direttive del Cipe del 1995, identificata proprio nell’intento di eliminare il riferimento al valore locatizio, allo scopo di espungere il vizio di ragionevolezza che inficiava la precedente direttiva. Peraltro, secondo il Tar, la legge regionale avrebbe dovuto conformarsi alle direttive del Cipe del 1995, in quanto le regioni a statuto ordinario non sarebbero titolari di una competenza legislativa costituzionalmente garantita nella materia dei criteri per l’assegnazione degli alloggi di e.r.p. Quest'ultima non rientra infatti tra quelle elencate nell’art. 117 della Costituzione (sentenza n. 27 del 1996) e neppure è stata attribuita alle regioni dalle norme che la hanno disciplinata (d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), le quali hanno anzi riservato al Cipe la fissazione dei <<criteri generali per le assegnazioni>> (art. 2, secondo comma, n. 2, della legge 5 agosto 1978, n. 457). Pertanto, conclude il rimettente, poiché le norme impugnate non introducono mere specificazioni dei criteri di assegnazione, conformi alla ratio di quelli stabiliti dal Cipe, esse violerebbero anche gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
3. ¾ Nel giudizio è intervenuto il Presidente della Giunta regionale della Toscana, il quale, nell'atto di intervento e nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo l'interveniente, la deliberazione Cipe del 13 marzo 1995, al paragrafo 3.1, lettera c), recherebbe un criterio più restrittivo rispetto alle norme impugnate, in quanto esso non attribuisce nessun rilievo al luogo di ubicazione dell'immobile e ciò influirebbe sulla rilevanza della questione. A suo avviso, le censure sarebbero comunque infondate, dato che le norme impugnate avrebbero introdotto specificazioni non in contrasto con la ratio delle deliberazioni del Cipe, in quanto stabiliscono che, se l’immobile è ubicato al di fuori dell’ambito territoriale di riferimento del bando di concorso, la decadenza viene dichiarata qualora esso garantisca un reddito pari ad un importo quantificato, con disposizione non irragionevole, avendo riguardo al valore locativo del bene. In ogni caso, la Regione avrebbe disciplinato la materia conformandosi alle direttive del Cipe del 1981, anziché a quelle del 1995, le quali sarebbero peraltro caratterizzate da una maggiore indeterminatezza, proprio allo scopo di ampliare la facoltà del legislatore regionale di introdurre specificazioni dei criteri di assegnazione. L'interveniente conclude, infine, osservando che la questione sarebbe infondata anche in quanto l'art. 60 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 ha attribuito alle regioni la competenza a stabilire i criteri per l'assegnazione degli alloggi.
Considerato in diritto
1. ¾ La questione di legittimità costituzionale promossa con l'ordinanza indicata in epigrafe concerne l'allegato A), lettera d), nonché gli artt. 5, comma 1, e 35, comma 1 lettera d), della legge della Regione Toscana 20 dicembre 1996, n. 96, nelle parti in cui stabiliscono i requisiti necessari per l'assegnazione e la decadenza degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Tali norme che prevedono, tra i vari requisiti prescritti, quello della mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione "su uno o più alloggi, anche sfitti, ubicati in qualsiasi località, la cui quota di valore locativo complessivo, determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, sia almeno pari al valore locativo di alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso", sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 117 e 118 della Costituzione.
Ad avviso del giudice a quo, infatti, le norme impugnate violerebbero il principio di ragionevolezza nella parte in cui quantificano il godimento del reddito di immobili, commisurandolo al valore locativo ex lege n. 392 del 1978, poiché si tratterebbe di un indice inidoneo ad esprimere il fabbisogno abitativo, anche perché quel tipo di reddito è già compreso in quello complessivo del nucleo familiare, che costituisce ulteriore requisito. Le stesse norme inoltre violerebbero, secondo il giudice rimettente, la delibera Cipe del 13 marzo 1995, che esclude in materia la possibilità di ogni riferimento al valore locativo, cosicché, sotto questo profilo, sarebbero in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
2. ¾ La questione è fondata.
Le norme regionali impugnate precludono la possibilità di godimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica a coloro che, in particolare, abbiano la titolarità di diritti che assicurano un certo reddito derivante da immobili, anche non situati nell'ambito territoriale cui si riferisce il relativo bando di concorso.
Tale preclusione peraltro non è di per sé, secondo la giurisprudenza costituzionale, arbitraria. Nel quadro delle finalità della legislazione sull'edilizia residenziale pubblica, diretta ad agevolare il compito, a carico della collettività, di favorire l'accesso all'abitazione, a canoni inferiori a quelli correnti sul mercato, a categorie di cittadini meno abbienti (sentenza n. 419 del 1991), non appaiono infatti incongrue le norme che mirano ad evitare che di tali alloggi possa godere anche chi sia titolare di un bene immobiliare avente la stessa natura di quello al quale aspira, ovunque esso sia ubicato.
Questa Corte ha peraltro affermato di recente, nell'esaminare norme regionali di contenuto pressoché identico a quelle ora sottoposte a scrutinio, che appare invece incongrua, rispetto a tali finalità, l'adozione del criterio, costituito dalla assunzione del canone di locazione, determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978, quale parametro del valore dell'alloggio che sia ubicato in località diversa da quella di residenza dell'assegnatario, in quanto l'impostazione di fondo della disciplina dell'equo canone è ormai da considerarsi superata (sentenza n. 176 del 2000). Ed invero, a partire dall'introduzione dei cosiddetti "patti in deroga" (d.l. 11 luglio 1992, n. 333) e soprattutto dopo la legge 9 dicembre 1998, n. 431, la determinazione dei canoni di locazione non è più agganciata ai precedenti, uniformi indici convenzionali e coefficienti di valutazione, ma risulta rimessa ai variabili equilibri del mercato, così da rendere ben possibili, a parità di condizioni, sensibili variazioni d'importo del canone.
Le norme impugnate fondano dunque, in modo irragionevole, al pari di quelle esaminate nella citata sentenza n. 176 del 2000, la preclusione all'assegnazione dell'alloggio di edilizia pubblica sul presupposto di un tipo di reddito (il valore locativo ex lege n. 392 del 1978), che però non può più costituire, per le ragioni già dette, un parametro oggettivo di valutazione del cespite immobiliare. Tanto più se si considera che la citata delibera del Cipe del 13 marzo 1995 esclude in materia ogni rilievo al valore locativo dell'alloggio.
L'accoglimento della questione sotto il profilo prospettato comporta l'assorbimento delle ulteriori censure proposte dal Tar rimettente nei confronti delle medesime norme.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.5, comma 1, dell'art. 35, comma 1, lettera d) e dell'allegato A), lettera d) della legge della Regione Toscana 20 dicembre 1996, n. 96 (Disciplina per l'assegnazione, gestione e determinazione del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), limitatamente alle parti in cui individuano il reddito immobiliare, rilevante ai fini rispettivamente dell'assegnazione dell'alloggio e della dichiarazione di decadenza, commisurandolo al canone di locazione determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 19 luglio 2000.