Ordinanza n. 268/2000

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ORDINANZA N. 268

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE  

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa l’8 luglio 1999 dal Pretore di Palermo – sezione distaccata di Bagheria, nel procedimento penale a carico di Filippo Pomara, iscritta al n. 634 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio dell’8 giugno 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che con ordinanza dell’8 luglio 1999 il Pretore di Palermo – sezione distaccata di Bagheria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

 che, respinta una eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio sollevata dalla difesa dell’imputato per la mancata presenza del difensore all’interrogatorio dell’indagato, il Pretore solleva questione di costituzionalità in quanto la norma impugnata non prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio, oltre che nell’ipotesi, in essa prevista, in cui non sia stato emesso l’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., “anche quando non è stata data comunque la possibilità all’indagato di sottoporsi liberamente e validamente all’interrogatorio”;

che, ad avviso del rimettente, la norma sarebbe “insufficiente e claudicante” in relazione alla ratio sottesa alla legge 16 luglio 1997, n. 234 (che ha modificato la disposizione stabilendo appunto l’obbligo del previo invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio), poiché da essa deriverebbero a) la lesione del diritto alla difesa, in quanto il mero invito a presentarsi per rendere interrogatorio non garantirebbe all’interessato la necessaria assistenza tecnica, e b) una irragionevole disparità di trattamento fra i soggetti che sono messi nella condizione di esercitare appieno il proprio diritto di difesa, attraverso lo svolgimento dell’interrogatorio, e coloro che, invece, “rischiano di giungere alla fase processuale non avendo avuto la possibilità di conoscere le accuse mosse a proprio carico”;

 che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, richiamando le ordinanze nn. 325 del 1999 e 432 del 1998 della Corte costituzionale, ha concluso – nell’assunto dell’analogia tra le questioni definite con le citate ordinanze e quella ora all’esame della Corte – nel senso della manifesta infondatezza.

 Considerato che il giudice rimettente prospetta la possibile lesione del principio di uguaglianza e della garanzia della difesa nella “insufficienza” della disposizione dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., che, per effetto delle modifiche recate dalla legge n. 234 del 1997, prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio se questo non è preceduto dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, dello stesso codice;

 che peraltro, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), che ha modificato la norma denunciata;

 che, per effetto della nuova disciplina, il previo invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio nell’ambito delle indagini preliminari non costituisce più un obbligo incondizionato per il pubblico ministero, bensì è previsto, quale atto eventuale, solo in seguito a una richiesta in tal senso da parte dell’indagato stesso, cui deve essere comunicato l’ “avviso della conclusione delle indagini preliminari” (art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 479 del 1999);

che, in connessione con la diversa configurazione dell’eventuale contraddittorio tra pubblico ministero e indagato, è stata correlativamente posta una nuova e diversa disciplina circa la nullità del decreto di citazione a giudizio per il caso di omissione degli atti sopra detti (v. l’art. 552, comma 2, “sostitutivo” dell’art. 555 previgente, quale risultante dall’art. 44 della legge n. 479 del 1999);

 che, stante il complessivo mutamento (in una prospettiva contraria a quella cui mira la questione sollevata) del quadro normativo su cui cade la censura di incostituzionalità, occorre, preliminarmente rispetto a ogni profilo di valutazione di ammissibilità della addizione richiesta, restituire gli atti al giudice rimettente, a esso spettando di valutare se, a seguito delle modifiche intervenute nella disciplina processuale in esame, la questione sollevata sia, nel giudizio principale, tuttora rilevante nei termini in cui è stata proposta.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 ordina la restituzione degli atti al Pretore di Palermo – sezione distaccata di Bagheria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000.