SENTENZA N. 184
ANNO 2000REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzione dell’art. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), degli artt. 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, e dell’art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse l’11 marzo 1998 (n. 5 ordinanze) dal Tribunale di Torino e il 12 maggio 1998 dal Pretore di Trieste rispettivamente iscritte ai nn. 368, 369, 370, 371, 372 e 527 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 29, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di costituzione di Griotto Giorgio, De Caroli Giovanna e dell’INPS nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi gli avvocati Sergio Vacirca per Griotto Giorgio, Salvatore Cabibbo per De Caroli Giovanna, Giuseppe Fabiani per l’INPS e l’Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse nel corso di altrettante controversie di lavoro in grado di appello, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), degli artt. 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, e dell’art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).
Premette il Tribunale che il giudizio tende al riconoscimento del diritto della parte privata a vedersi adeguata l’indennità di mobilità, a decorrere dal 1995, in ragione dell’80 per cento della variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, e ciò in base al disposto dell’articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427, il cui secondo comma è stato modificato dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994.
L’art. 7, comma 3, della legge n. 223 del 1991 stabilisce che l’indennità di mobilità, calcolata in percentuale del trattamento straordinario di integrazione salariale, venga incrementata ogni anno “in misura pari all’aumento dell’indennità di contingenza dei lavoratori dipendenti”. Senonché, venuto meno detto meccanismo e non essendo stati convertiti i decreti-legge 20 marzo 1992, n. 237, e 20 maggio 1992, n. 293 - che prevedevano un adeguamento dell’indennità di mobilità con lo stesso sistema fissato per l’integrazione salariale straordinaria - le norme attualmente vigenti non consentono di ritenere esistente un criterio di rivalutazione dell’indennità di mobilità. Ed infatti la legge 13 agosto 1980, n. 427, nel testo modificato dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994, impone sì che a decorrere dal 1° gennaio di ciascun anno, ad iniziare dal 1995, il trattamento straordinario di integrazione salariale venga aumentato in ragione dell’80 per cento della variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, ma con una norma che non può valere per il trattamento di mobilità.
L’impossibilità di estendere, in via di interpretazione, il campo di applicazione della norma in ultimo citata anche all’indennità di mobilità verrebbe a creare un’evidente disparità di trattamento, del tutto ingiustificata in considerazione dell’originaria matrice comune tra l’indennità suddetta ed il trattamento straordinario di integrazione salariale. Entrambi gli istituti, d’altra parte, costituiscono attuazione del dettato dell’art. 38 Cost. ricollegato con l’art. 2 della medesima Carta; e la previsione normativa di un meccanismo di adeguamento dell’indennità di mobilità risponde alle esigenze evidenziate anche da questa Corte nella sentenza n. 497 del 1988, esigenze che oggi non sono più tutelate a causa dell’assenza di siffatto meccanismo.
All’impugnazione dei menzionati artt. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, il Tribunale di Torino aggiunge anche quella dell’art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, poiché il rinvio ivi contenuto all’indice ISTAT è stato fissato solo a decorrere dal 1° gennaio 1998, senza nulla disporre per il passato, periodo che interessa i ricorrenti nei giudizi a quibus.
Il Tribunale conclude chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, nella parte in cui esse stabiliscono che l’incremento annuale, fissato secondo gli indici ISTAT a decorrere dal 1° gennaio 1995, si applichi soltanto all’integrazione salariale straordinaria e non anche all’indennità di mobilità.
2.— In tutti i giudizi si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale, con memorie identiche, chiedendo che la proposta questione venga dichiarata non fondata.
L’INPS condivide innanzitutto l’interpretazione restrittiva del Tribunale di Torino, secondo cui il meccanismo di rivalutazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria, che fino al 31 dicembre 1994 era uguale a quello previsto per l’indennità di mobilità, dal 1° gennaio 1995 non è più applicabile anche a quest’ultima, non essendo possibile in materia un’interpretazione analogica o estensiva.
Ciò nonostante, l’ente previdenziale rileva che la diversità di trattamento non viola il principio di uguaglianza, perché i due emolumenti hanno obiettivi fra loro diversi, tali da non consentire un confronto. La Cassa integrazione, infatti, fornisce una provvidenza economica al lavoratore che, benché temporaneamente sospeso dal lavoro, è ancora legato da un rapporto contrattuale con l’impresa, mentre l’indennità di mobilità è una sorta di sostegno reddituale per il lavoratore che ha definitivamente perduto il proprio posto, in vista del reperimento di una nuova occupazione. Ne deriva che l’adeguamento annuale degli importi dell’integrazione salariale allo scopo di fronteggiare l’inflazione si giustifica nell’un caso, in cui il rapporto di lavoro è ancora in corso, e non nell’altro, in cui la provvidenza rimane ragionevolmente cristallizzata nella misura della liquidazione iniziale.
Parimenti è esclusa, secondo l’INPS, ogni violazione degli artt. 2 e 38 della Costituzione. Poiché, infatti, l’indennità di mobilità rientra tra le prestazioni erogate contro la disoccupazione involontaria, il fatto che la legge non preveda un meccanismo di indicizzazione non determina, di per sé, alcuna lesione dell’art. 38 Cost., tanto più che la stessa garantisce comunque un trattamento migliore rispetto alle ordinarie prestazioni di disoccupazione. Ed essendo detta indennità concessa in proporzione al trattamento di integrazione salariale straordinario, gli aumenti che la legge ha concesso a quest’ultimo si riflettono indirettamente anche sulla prima.
3.— In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con identiche memorie, chiedendo che la proposta questione venga dichiarata non fondata.
La difesa erariale osserva che, pur essendo indubbio che fino agli anni novanta tutti i cosiddetti “ammortizzatori sociali” godevano di meccanismi di indicizzazione, ciò non è sufficiente per escludere l’intrinseca diversità dell’uno rispetto all’altro. Tanto comporta che il trattamento di integrazione salariale e l’indennità di mobilità, sia pure entrambi confluenti nel sistema di garanzie di cui all’art. 38 Cost., muovono da presupposti diversi, perché l’adeguamento del primo al mutato potere di acquisto della moneta trova fondamento nella permanenza del rapporto di lavoro.
4.— Davanti a questa Corte si sono costituite solo due parti private, Griotto Giorgio e De Caroli Giovanna, con diverse memorie difensive.
Il Griotto, prestando adesione all’interpretazione estensiva fatta propria dal Pretore di Torino nel giudizio di primo grado e disattesa dal Tribunale rimettente, sostiene che le norme impugnate possono essere lette nel senso che il meccanismo di indicizzazione previsto dalla legge per l’integrazione salariale sia applicabile anche all’indennità di mobilità. La parte, quindi, chiede a questa Corte una sentenza interpretativa che salvi le norme impugnate e, solo in subordine, l’accoglimento della questione.
La De Caroli, invece accetta l'interpretazione compiuta dal Tribunale di Torino ed osserva che, a seguito delle modifiche introdotte col decreto-legge n. 299 del 1994, si è venuta a creare un’evidente sperequazione, poiché nulla giustifica la diversificazione compiuta tra le due provvidenze economiche in questione sotto il profilo dei sistemi di indicizzazione. Tale sperequazione non può dirsi risolta neppure dall’art. 54, comma 12, della legge n. 449 del 1997, impugnato dal Tribunale di Torino, perché l’operatività di tale norma decorre dal 1° gennaio 1998, sicché non potrebbe comunque avere alcuna influenza sulle situazioni pregresse.
La medesima parte privata, inoltre, rileva che la norma in ultimo menzionata non può essere ritenuta in grado di “depurare” i vizi dell’art. 7, comma 3, della legge n. 223 del 1991, in quanto il legislatore è intervenuto (art. 45, comma 1, lettera r), della legge 17 maggio 1999, n. 144) con una delega che dovrebbe altrimenti considerarsi del tutto inutile.
5.— Il Pretore di Trieste, nel corso di analoga controversia di natura previdenziale, ha sollevato, con motivazione pressoché coincidente, un’identica questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e 1, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, in riferimento agli stessi parametri costituzionali richiamati dal Tribunale di Torino.
6.— Anche in questo giudizio si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale, con memoria identica a quella già vista, rassegnando le medesime conclusioni.
7.— Ha prestato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con memoria identica a quella degli altri giudizi, chiedendo che la proposta questione venga dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Torino, con cinque ordinanze, ed il Pretore di Trieste ritengono che gli artt. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, nel prevedere che l’indennità di mobilità venga adeguata annualmente “in misura pari all’aumento della indennità di contingenza” (mentre il trattamento di integrazione salariale straordinaria è aumentato annualmente, dal 1° gennaio 1995, “nella misura dell’80 per cento dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo”), siano in contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione. E ciò in quanto le predette norme, a seguito della soppressione dell’istituto dell’indennità di contingenza, nello stabilire che l’incremento annuale secondo gli indici ISTAT, a decorrere dal 1° gennaio 1995, si applichi soltanto all’integrazione salariale straordinaria e non anche all’indennità di mobilità, riservano un trattamento ingiustificatamente differenziato nei confronti di due provvidenze economiche sostanzialmente simili nella genesi e nelle finalità, costituendo entrambe una forma di attuazione del dettato dell’art. 38 della Costituzione.
Il solo Tribunale di Torino, inoltre, impugna anche l’art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, poiché il rinvio ivi contenuto all’indice ISTAT è stato fissato a decorrere dal 1° gennaio 1998, senza nulla disporre per il passato, periodo che interessa i ricorrenti nei giudizi a quibus.
2.— Trattandosi di questioni identiche, esse possono essere riunite e decise con una sola pronuncia.
3.— Giova anzitutto valutare se sia accoglibile la preliminare tesi della difesa di una delle parti private intervenienti circa l'interpretazione adeguatrice ritenuta possibile dal Pretore di Torino ed esclusa invece dal Tribunale rimettente. Va in proposito premesso che il secondo comma dell’articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427, prevedeva nel suo testo originario che il trattamento straordinario di integrazione salariale fosse aggiornato annualmente, a partire dal 1° gennaio 1981, “in misura pari all’80 per cento dell’aumento della indennità di contingenza dei lavoratori dipendenti maturato nell’anno precedente”. Il successivo art. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nel regolare l’adeguamento dell’indennità di mobilità, si è richiamato al medesimo criterio, sicché può dirsi che i due trattamenti previdenziali in esame siano stati regolati, almeno in origine, allo stesso modo per ciò che concerne i criteri di rivalutazione. Una prova indiretta di tale assunto si rinviene nei due decreti-legge citati dal Tribunale di Torino, entrambi decaduti per mancata conversione, che prevedevano, appunto, che l’indennità di mobilità venisse aggiornata con gli stessi criteri stabiliti per l’integrazione salariale straordinaria (decreto-legge 20 marzo 1992, n. 237 e 20 maggio 1992, n. 293).
Il venir meno, a séguito di note vicende economiche nazionali, del sistema dell’indennità di contingenza come strumento di rivalutazione degli emolumenti (c.d. “scala mobile”), ha portato alla sostanziale inoperatività del meccanismo di cui all’art. 7, comma 3, oggi in esame, con la conseguenza che l’indennità di mobilità è attualmente priva della possibilità di aggiornamento annuale. La sostanziale divaricazione rispetto al trattamento straordinario di integrazione salariale si è verificata nel 1994, quando il secondo comma del citato articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427, è stato modificato dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, prevedendosi che (solo) il trattamento di integrazione salariale straordinaria sia adeguato, a decorrere dal 1° gennaio 1995, “nella misura dell’80 per cento dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo”.
Il Tribunale di Torino, nel sollevare la presente questione, precisa di non poter accedere alla diversa interpretazione, seguita dal giudice di primo grado – secondo cui la disposizione in ultimo citata dovrebbe essere applicabile anche all’indennità di mobilità – dal momento che la chiara portata limitativa della norma non consente alcuna interpretazione estensiva o analogica. Ritiene in proposito questa Corte che tale orientamento del Tribunale non sia implausibile e trovi un'implicita conferma nell’art. 45, comma 1, lettera r), della legge 17 maggio 1999, n. 144, che specificamente delega il Governo ad introdurre norme per adeguare nei successivi anni l’indennità di mobilità con il medesimo criterio già vigente per il trattamento straordinario di integrazione salariale; diversamente argomentando, tale delega sarebbe incomprensibile ed inutiliter data.
4.— Ciò premesso, la Corte rileva che la sollevata questione di incostituzionalità è infondata, non ravvisandosi lesione dei parametri costituzionali cui si fa riferimento.
Non è invocabile, infatti, l’art. 3 Cost., poiché il trattamento di integrazione salariale straordinaria non costituisce un idoneo tertium comparationis, stante la diversità strutturale dei due istituti. Anche se per entrambi i casi si parla di ammortizzatori sociali (v. sentenza n. 337 del 1992), va sottolineato che la posizione del lavoratore collocato in cassa integrazione è giuridicamente diversa da quella del lavoratore collocato in mobilità: l’uno mantiene ancora il proprio rapporto di lavoro, benché con peculiari effetti, mentre l’altro è già, in sostanza, un disoccupato. Mentre la cassa integrazione, in altre parole, presuppone la prospettiva di una ripresa dell'attività lavorativa, l’iscrizione nelle liste di mobilità, cui seguono gli effetti indicati nella sentenza n. 413 del 1995 di questa Corte, implica lo scioglimento di quel rapporto (il che giustifica, fra l’altro, il diritto di precedenza nell'eventuale ricollocamento previsto dall’art. 8, comma 1, della legge n. 223 del 1991). La scelta del legislatore appare non irrazionale anche alla luce della considerazione che è proprio la permanenza del rapporto di lavoro (esistente solo per il lavoratore in cassa integrazione) a spiegare il riconoscimento di un periodico adeguamento dell’emolumento previdenziale.
5.— Non è configurabile una incostituzionalità nemmeno in relazione all’art. 38 della Costituzione.
Detto parametro, com’è noto, impone che al lavoratore siano garantiti “mezzi adeguati” alle esigenze di vita in presenza di determinate situazioni che richiedono tutela. Da questa affermazione di principio, peraltro, non può discendere, come conseguenza costituzionalmente necessitata, quella dell’adeguamento costante di un emolumento finalizzato a dare un aiuto (maggiore dell'indennità di disoccupazione) al lavoratore in un momento di difficoltà; tanto più che l’erogazione dell’indennità di mobilità è compiuta in vista di una nuova occupazione, e perciò per un tempo limitato (salvo l’ipotesi della c.d. mobilità “lunga”, che è uno strumento di “accompagnamento” alla pensione), sicché sono meno pressanti le esigenze di un adeguamento dell’importo originario.
Non va inoltre trascurato che quest'ultimo importo è certamente adeguato al momento della concessione poiché, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge n. 223 del 1991, l’indennità di mobilità spetta in misura percentuale del trattamento straordinario di integrazione salariale che i lavoratori “hanno percepito ovvero sarebbe loro spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro”. Ne deriva che gli aumenti del trattamento straordinario menzionato vanno a riflettersi, sia pure indirettamente, sull’indennità di mobilità.
Il legislatore, peraltro, nell’esercizio della sua discrezionalità, può evidentemente intervenire per concedere anche all’indennità di mobilità un meccanismo di rivalutazione, identico a quello esistente per la cassa integrazione straordinaria, ma tale scelta non è costituzionalmente vincolata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, e dell’art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Torino e dal Pretore di Trieste con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in cancelleria il 9 giugno 2000.