Sentenza n. 63/2000

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SENTENZA N. 63

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

- Dott.   Franco BILE 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

a) nei giudizi per conflitto di attribuzione sorti a seguito del decreto del Ministro della sanità 25 febbraio 1997, recante "Determinazione di termini e sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere", promossi con due ricorsi delle Province di Trento e Bolzano, notificati il 2 e il 3 giugno 1997, depositati in cancelleria il 4 ed il 6 successivi, ed iscritti ai nn. 33 e 34 del registro conflitti 1997;

b) nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 4 del decreto legge 20 giugno 1997, n. 175, recante "Disposizioni urgenti in materia di attività libero-professionale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", convertito nella legge 7 agosto 1997, n. 272, promossi con ricorsi (il primo nei confronti del d.l., il secondo della legge di conversione) della Regione Puglia notificati, rispettivamente, il 23 luglio ed il 12 settembre 1997, depositati in Cancelleria, rispettivamente, il 1° agosto ed il 19 settembre 1997, ed iscritti ai nn. 49 e 59 del registro ricorsi 1997; e delle Province di Trento e Bolzano notificati il 12 settembre 1997, depositati in Cancelleria, rispettivamente, il 18 e il 19 settembre 1997, ed iscritti ai nn. 57 e 58 del registro ricorsi 1997.

  Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;

  uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Provincia di Trento, Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia di Bolzano, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Puglia e l’Avvocato dello Stato Nicola Bruni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 4 giugno 1997 (R. confl. n. 33 del 1997) la Provincia autonoma di Trento ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti dello Stato in riferimento al decreto del Ministro della sanità 25 febbraio 1997, recante "Determinazione di termini e sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere", ritenuto lesivo dell’autonomia legislativa e amministrativa della Provincia, come in particolare stabilita dall’art. 9, n. 10, e dall’art. 16 dello statuto speciale approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e dalle relative norme di attuazione.

La ricorrente ricorda che il decreto in questione é stato emanato ai sensi dell’art. 1, comma 33, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il quale appunto conferisce al Ministro della sanità il compito di fissare "i termini e le sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori, per la completa attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 4 e 5, del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502"; e che però il comma 143 dello stesso art. 1 della legge n. 662 escludeva l’applicabilità alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei commi da 1 a 44 del medesimo art. 1, perciò anche del comma 33. Ciononostante – osserva la ricorrente – il decreto del Ministro individua esplicitamente fra i destinatari delle proprie disposizioni anche le Province autonome: tali disposti, nella parte in cui pretendono di applicarsi ad esse, sarebbero dunque del tutto privi di fondamento legislativo, e in quanto tali interferirebbero illegittimamente con le potestà legislative e amministrative provinciali.

In via subordinata rispetto a questa principale censura, la ricorrente afferma che il decreto in questione, ove dovesse considerarsi quale atto regolamentare, violerebbe altresì il principio secondo cui la potestà regolamentare statale non può avere ad oggetto materie e funzioni regionali e provinciali; se poi dovesse considerarsi quale atto di indirizzo, sarebbe illegittimo per violazione delle norme di attuazione di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 266 del 1996, sull’esercizio della potestà di indirizzo e coordinamento nei confronti della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome, in quanto non é stato sottoposto al parere della Provincia e non stabilisce obiettivi e risultati.

La ricorrente chiede quindi dichiararsi che non spetta allo Stato emanare, nei confronti della ricorrente medesima, il decreto in questione, e conseguentemente annullarsi il decreto medesimo.

2.– Con ricorso depositato il 6 giugno 1997 (R. confl. n. 34 del 1997) la Provincia autonoma di Bolzano ha a sua volta proposto conflitto di attribuzioni in relazione al medesimo d.m. 25 febbraio 1997, per violazione delle competenze provinciali derivanti dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione in materia di sanità e di funzionamento e gestione delle istituzioni e degli enti sanitari, nonchè dell’art. 107 dello stesso statuto speciale e delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1996.

La ricorrente premette che la disciplina dettata dall’art. 5 del decreto legislativo n. 502 del 1992 in tema di contabilità e di gestione economico-finanziaria e patrimoniale delle unità sanitarie locali non era applicabile alle Province autonome, e che il comma 143 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 ha escluso l’applicabilità alle stesse Province di varie disposizioni dello stesso art. 1, fra cui il comma 33, sulla cui base é stato emanato il decreto impugnato.

Il decreto medesimo, ove applicabile alla Provincia autonoma di Bolzano, sarebbe pertanto illegittimo, in primo luogo, in quanto pretenderebbe di dettare una disciplina rientrante integralmente nella competenza propria della Provincia stessa; in secondo luogo, in quanto pretenderebbe di condizionare l’esercizio della funzione legislativa della Provincia, in contrasto con le norme di attuazione di cui agli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 266 del 1996, secondo cui solo atti legislativi dello Stato possono porre obblighi di adeguamento al legislatore provinciale, onde risulterebbe violato anche l’art. 107 dello statuto.

Ove poi si potesse configurare il decreto come atto di indirizzo e coordinamento, esso sarebbe illegittimo e lesivo delle attribuzioni provinciali perchè violerebbe l’art. 3 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1996, in quanto non si limiterebbe a vincolare la Provincia solo al conseguimento di obiettivi e risultati, e non é stato sottoposto al parere della Provincia; in subordine, comunque, perchè non deliberato dal Consiglio dei ministri e privo di sufficiente fondamento legislativo sostanziale sotto forma di limiti e vincoli per l’esercizio del potere di indirizzo e coordinamento.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non si é costituito nei due giudizi per conflitto di attribuzioni.

4.– Con ricorso depositato il 1° agosto 1997 (Reg. ric. n. 49 del 1997) la Regione Puglia ha sollevato questione di legittimità costituzionale del decreto legge 20 giugno 1997, n. 175 (Disposizioni urgenti in materia di attività libero-professionale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale), ed in particolare degli articoli 1 e 4 del medesimo, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione all'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, all'art. 5 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 ed all'art. 1, comma 8, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

La ricorrente premette che l'art. 1 della legge n. 662 del 1996 ha dettato una nuova disciplina dell'attività libero-professionale dei dirigenti sanitari del Servizio sanitario nazionale, stabilendo, in particolare, l'incompatibilità fra la professione c.d. "intramuraria" e quella "extramuraria" e il divieto di svolgere la libera professione in strutture private accreditate anche solo parzialmente (comma 5); l'obbligo per i direttori generali delle aziende sanitarie di attivare e organizzare, d'intesa con le Regioni, l'attività libero-professionale "intramuraria" (comma 8); la facoltà delle Regioni di integrare a tal fine i programmi di edilizia sanitaria (comma 9); imponendo l'opzione tra la libera professione intramuraria e quella extramuraria, da effettuare entro il 31 marzo 1997 per i sanitari operanti in strutture che avessero già organizzato la professione intramuraria (comma 10), e per gli altri sanitari entro trenta giorni dalla comunicazione alla Regione, da parte dei direttori delle aziende, delle strutture attivate nonchè del numero di sanitari che possono in esse operare (comma 11); prevedendo un trattamento economico aggiuntivo per il personale che abbia optato per la professione intramuraria (comma 12).

Il comma 14 a sua volta prevedeva un decreto del Ministro della sanità, da adottare entro il 28 febbraio 1997, che stabilisse "i termini per l'attuazione dei commi 8, 11 e 12, le modalità per il controllo del rispetto delle disposizioni sulla incompatibilità, nonchè la disciplina dei consulti e delle consulenze". La ricorrente ricorda che il decreto ministeriale 28 febbraio 1997 é stato sospeso in via cautelare dal TAR del Lazio in quanto contenente una disciplina di ordine generale regolante anche aspetti estranei al potere attribuito dalla legge al Ministro, e che toccano anche competenze delle Regioni. A seguito di ciò, per attribuire un fondamento legislativo al decreto sospeso e ad eventuali ulteriori atti ministeriali in materia, sarebbe stato emanato il d.l. n. 175 del 1997. L'art. 1 di quest'ultimo stabilisce che con il decreto previsto dall'art. 1, comma 14, della legge n. 662 del 1996 "sono individuate, in attuazione dei commi 8, 11 e 12 dello stesso articolo 1, le caratteristiche dell'attività libero- professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, le categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sull'attività intramuraria" e sono disciplinate "l'opzione tra attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalità del controllo del rispetto delle disposizioni sull'incompatibilità, le attività di consulenza e consulto"; mentre l'art. 4, comma 1, dello stesso decreto legge conferisce al Ministro il potere di emanare, sentita la conferenza Stato-Regioni e di concerto, per taluni aspetti, con il Ministro della ricerca scientifica e tecnologica, "le linee guida dell'organizzazione dell'attività libero-professionale intramuraria".

Ad avviso della ricorrente, che richiama la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 355 del 1993), sarebbe indubbia la competenza regionale in materia di organizzazione dell'attività professionale intramuraria, come risulterebbe dalla legge n. 833 del 1978, dall'art. 35 del d.P.R. n. 761 del 1979, dall'art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 nonchè dall'art. 1, comma 8, della legge n. 662 del 1996 che impone ai direttori generali delle USL di attivare e organizzare l'attività libero-professionale d'intesa con le Regioni. Lo stesso d.l. n. 175 del 1997, adottando una disciplina differente per le materie di cui all'art. 1 e per quelle di cui all'art. 4, avrebbe implicitamente riconosciuto la riconducibilità delle stesse a competenze diverse: le prime spettanti allo Stato, le seconde alle Regioni.

Posto dunque che in tema di organizzazione dell'attività libero-professionale intramuraria, materia di competenza regionale, lo Stato potrebbe fissare principi e indirizzi solo con atti di indirizzo e coordinamento, forniti dei requisiti formali e sostanziali per essi richiesti, l'art. 4 del decreto legge, omettendo di richiedere, per l'emanazione delle linee guida, una delibera del Consiglio dei ministri, si porrebbe in contrasto con i principi affermati da questa Corte. - aggiunge la ricorrente - la necessità di tale deliberazione potrebbe ritenersi esclusa alla luce dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997, il cui comma 5 ha abrogato l'art. 2, comma 3, lettera d, della legge n. 400 del 1988, che prevedeva appunto la sottoposizione al Consiglio dei ministri degli atti di indirizzo e coordinamento: infatti tale abrogazione sarebbe stata dovuta solo all'intento di ridisciplinare completamente la materia; mentre il comma 1 dello stesso art. 8, richiedendo la previa intesa con la conferenza Stato-Regioni o con la singola Regione interessata, non escluderebbe la competenza deliberativa del Consiglio dei ministri, e i commi 2 e 3, prevedendo che il Consiglio dei ministri possa deliberare in situazioni particolari come il mancato raggiungimento dell'intesa e l'urgenza di provvedere, non comporterebbero l'esclusione della competenza collegiale nelle situazioni normali. D'altra parte la tesi secondo cui la legge n. 59 del 1997 avrebbe soppresso la necessità della delibera consiliare sarebbe, secondo la ricorrente, in contraddizione con la giurisprudenza costituzionale che afferma l'esclusiva spettanza al Governo nella sua collegialità della funzione di indirizzo e coordinamento.

L'art. 4, comma 1, del decreto legge impugnato sarebbe inoltre illegittimo anche perchè prevede che il Ministro si limiti a "sentire" la conferenza Stato-Regioni, laddove l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 richiede per l'adozione degli atti di indirizzo la previa intesa con la conferenza medesima.

Ad una diversa censura di illegittimità costituzionale si esporrebbe, ad avviso della ricorrente, anche l'art. 1 del d.l. n. 175 del 1997, laddove prevede che nelle materie ivi contemplate il Ministro provveda senza alcun raccordo con le Regioni. Infatti l'imbricazione fra settori come "le caratteristiche dell'attività libero-professionale intramuraria" e l'organizzazione della medesima attività avrebbe richiesto che anche per le competenze di cui all'art. 1 il Ministro individuasse una qualche forma di concertazione con le Regioni.

5.– Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo il rigetto del ricorso.

Sostiene l'Avvocatura che la disciplina dell'attività libero-professionale, sia intramuraria sia, a maggior ragione, extramuraria, del personale sanitario é materia non appartenente alle Regioni ma allo Stato, competente in tema di professioni sanitarie, come confermerebbero il d.lgs n. 266 del 1993 sul riordino del Ministero della sanità e il relativo regolamento n. 196 del 1994. Non si tratterebbe qui del reperimento degli spazi per l'esercizio dell'attività intramuraria, di consentire tali attività libero-professionali, che trovano il loro fondamento nell'art. 1, comma 8, della legge n. 662 del 1996, ma di definirne le caratteristiche, di individuare le categorie cui si applica, di disciplinare l'opzione e le modalità del controllo, aspetti che sarebbero estranei alle competenze regionali. , secondo l'Avvocatura, si potrebbe sostenere che si tratti di personale regionale, poichè ciò che viene regolato non sarebbe l'attività dei sanitari in quanto dipendenti, ma la loro attività professionale, estranea al rapporto di impiego.

Rispetto a siffatta attività, che sfuggirebbe alla competenza delle Regioni, non sarebbe configurabile alcuna potestà statale di indirizzo e coordinamento, e per questo il decreto legge impugnato avrebbe adottato la diversa terminologia di "linee guida".

La difesa del Presidente del Consiglio osserva poi, per l'eventualità che, limitatamente agli aspetti organizzativi dell'attività, si ritenesse che le linee guida possano contenere indirizzi vincolanti per le Regioni, che l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 prevede la competenza del Consiglio dei ministri a deliberare gli atti di indirizzo solo ove non sia stata raggiunta l'intesa ovvero si proceda in via d'urgenza senza previamente investire la conferenza Stato-Regioni. Onde la norma censurata non potrebbe dirsi illegittima, perchè ben potrebbe essere interpretata in senso conforme alla nuova disciplina, e cioé nel senso che basti il decreto ministeriale quando sia raggiunta l'intesa, occorrendo la deliberazione consiliare solo ove sia emerso un parere difforme in sede di conferenza.

6.– A seguito della conversione in legge, senza modificazioni, del decreto legge n. 175 del 1997, avvenuta con legge 7 agosto 1997, n. 272, la Regione Puglia ha sollevato nuovamente le medesime questioni nei confronti di quest'ultimo atto, con ricorso depositato il 19 settembre 1997 (Reg. ric. n. 59 del 1997), di tenore identico al precedente.

7.– Anche nel nuovo giudizio si é costituito il Presidente del consiglio dei ministri, svolgendo identiche difese.

8.– Con ricorso depositato il 18 settembre 1997 (Reg. ric. n. 57 del 1997) la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 4, comma 1, del d.l. n. 175 del 1997, convertito dalla legge n. 272 del 1997, nonchè dell'art. 2 del medesimo decreto in quanto dispone l'applicazione nella Provincia stessa dei commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per violazione degli articoli 9, n. 10, 8, n. 1, e 16 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione, in particolare di quelle di cui al d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, e al d.lgs. n. 266 del 1992.

La ricorrente ricorda che, secondo il testo originario del comma 143 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, in conseguenza dell'assenza di concorso statale nel finanziamento del servizio sanitario in Trentino-Alto Adige, non si applicavano nelle Province autonome le disposizioni di cui ai commi da 1 a 44 dello stesso articolo. Ora invece l'art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 ha modificato detto comma 143, riducendo il novero delle disposizioni dichiarate inapplicabili alla Provincia, e in particolare rendendo invece applicabili i commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33, che riguarderebbero, secondo la ricorrente, materie di competenza provinciale.

La Provincia afferma di non voler sostenere che la non applicazione di tutte le disposizioni indicate nel testo originario del comma 143 rispondesse ad una rigida necessità di ordine costituzionale, ma ritiene che la modifica intervenuta ponga il problema della compatibilità della disciplina resa applicabile e del suo modo di operare con le disposizioni statutarie e di attuazione. In particolare, la nuova statuizione lascerebbe supporre che le disposizioni rese operanti nella Provincia siano destinate ad applicarsi immediatamente e in tutti i loro dettagli nel territorio provinciale, in violazione delle garanzie stabilite dalle norme di attuazione statutaria in tema di rapporto fra leggi provinciali e leggi statali sopravvenute e di rapporto fra indirizzi statali e attuazione locale.

Ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata sarebbe peraltro interpretabile in modo costituzionalmente conforme, intendendola nel senso che le disposizioni ora rese applicabili producano solo un obbligo di adeguamento della legislazione provinciale nei limiti dei vincoli statutari, e che i poteri di integrazione normativa e di indirizzo attribuiti al Ministro della sanità, al di là del loro contenuto non riconducibile ad una funzione di indirizzo, non estendano la loro capacità di vincolo nei confronti della Provincia al di là di quanto previsto dalle norme di attuazione per gli atti di indirizzo e coordinamento. Ove però la si intendesse diversamente, la disposizione impugnata sarebbe illegittima.

La ricorrente analizza le disposizioni rese ex novo applicabili alla Provincia, rilevando che un primo gruppo di esse (commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, e 16, secondo periodo) riguarda l'esercizio della libera professione intramuraria e della relativa opzione - materie di competenza provinciale -, mescolando aspetti di principio e di dettaglio, nonchè aspetti più marcatamente organizzativi. In particolare osserva che il comma 14 conferisce al Ministro della sanità poteri prettamente normativi (estesi dall'art. 1 del decreto impugnato), privi di fondamento costituzionale; e che la disposizione del comma 16, secondo periodo, che fa obbligo alle Regioni di tenere conto dell'organizzazione dell'attività intramuraria in sede di verifica dei risultati ottenuti dai direttori generali delle aziende sanitarie, fa riferimento da un lato all'art. 1, comma 6, del d.l. n. 512 del 1994, già dichiarato illegittimo in relazione alla Provincia di Bolzano dalla sentenza n. 373 del 1995, per ragioni che valgono anche in relazione alla Provincia di Trento, dall'altro lato alla corresponsione di una quota integrativa del trattamento economico dei direttori generali, che non può estendersi alle Province autonome, dotate di propria specifica disciplina in materia.

Siffatto complesso di disposizioni, secondo la ricorrente, ridurrebbe le Regioni al rango di amministrazioni disciplinate dalla legge statale, mentre le garanzie statuite dalle norme di attuazione dello statuto speciale tenderebbero proprio ad evitare una continua sovrapposizione della normativa statale a quella locale.

Quanto al comma 28, che introduce il vincolo per i medici del servizio sanitario al rispetto di percorsi diagnostici e terapeutici determinati in sede ministeriale e tecnica, la ricorrente osserva che, avendo tale vincolo una funzione puramente finanziaria, cioé il fine di assicurare l’uso appropriato delle risorse, il presupposto dell'autofinanziamento provinciale del servizio avrebbe dovuto portare il legislatore statale a rispettare l'autonomia provinciale nella decisione sulla opportunità di tale vincolo; e che inoltre tali percorsi sono determinati in sede centrale senza alcuna partecipazione locale, ciò che non si giustificherebbe nemmeno alla luce del carattere tecnico (peraltro non esclusivamente tale) delle decisioni. L'attribuzione poi, risultante dallo stesso comma 28, al Ministro della sanità del potere di fissare, sia pure d'intesa con la conferenza Stato-Regioni, gli indirizzi per l'uniforme applicazione dei percorsi in ambito locale e le misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli, sarebbe radicalmente incostituzionale poichè contrasterebbe con l'esclusiva competenza del Consiglio dei ministri ad adottare atti di indirizzo e coordinamento: fermo restando che l'atto di indirizzo dovrebbe seguire, in quanto rivolto alla Provincia, le regole sostanziali e procedurali previste dall'art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Quanto al comma 29, che prevede l'attivazione di un sistema informativo sulla base degli indirizzi del livello centrale e regionale, la ricorrente lamenta che ciò sia operato in termini di pura acquisizione di conoscenze e non di partecipazione, e che sia in pratica "saltato" il livello delle istituzioni responsabili del servizio sanitario, poichè la normativa statale si sostituirebbe direttamente a quella locale; pure invasiva sarebbe la disposizione secondo cui il Ministero può, senza accordi con la Provincia, attivare forme campionarie di rilevazione.

In relazione al comma 33, che affida ad un decreto del Ministro la fissazione dei termini e delle sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori in materia di contabilità delle aziende, con disposizione che verrebbe a fornire ex post base legislativa al decreto ministeriale del 25 febbraio 1997, già impugnato dalla stessa Provincia con conflitto di attribuzioni, la ricorrente ritiene che non possa essere attribuito al Ministro il compito di fissare i termini entro i quali le Regioni debbano emanare le proprie leggi e di disciplinare la materia con atto di normazione secondaria. Inoltre la stessa disposizione contrasterebbe con la normativa di attuazione dello statuto, pretendendo di attribuire al Ministro il potere di fissare termini per il legislatore provinciale, e di disciplinare direttamente una materia che nemmeno il legislatore statale potrebbe regolare con efficacia diretta nell'ambito provinciale.

La Provincia di Trento impugna altresì gli articoli 1 e 4, comma 1, del d.l. n. 175 del 1997. Il primo, estendendo i poteri ministeriali già previsti dal comma 14 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1997 in tema di disciplina dell'attività libero- professionale dei sanitari del servizio sanitario nazionale, il secondo, assegnando allo stesso Ministro il compito di emanare linee guida dell'organizzazione dell'attività intramuraria, riguarderebbero oggetti tutti rientranti pro quota nella disciplina del personale, dell'organizzazione e dell'erogazione del servizio, di competenza della Provincia. Varrebbero dunque le regole sui rapporti di necessario adeguamento della legislazione provinciale a quella statale, e l'impossibilità di affidare poteri di normazione secondaria ad un Ministro. Che anche nell'art. 4, comma 1, si tratti di un improprio conferimento di compiti normativi, sarebbe confermato dal contenuto delle linee guida approvate con decreto del 31 luglio 1997.

9.– Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo il rigetto del ricorso.

Secondo l'Avvocatura erariale, le disposizioni denunciate ben potrebbero essere interpretate in modo non contrastante con le competenze provinciali, in parte perchè regolerebbero materie estranee a tali competenze, in parte perchè dovrebbe ritenersi che esse presuppongono, nei confronti delle Regioni speciali e delle Province autonome che hanno specifica competenza in materia, che queste provvedano ad adeguarsi nel tempi e nei modi previsti dagli statuti e dalle norme di attuazione.

La difesa del Presidente del Consiglio sostiene poi, con argomenti analoghi a quelli svolti nel giudizio promosso dalla Regione Puglia, che la disciplina della attività libero-professionale del personale del servizio sanitario nazionale sarebbe di competenza esclusiva dello Stato; per l’eventualità che si ritenesse che le linee guida da emanare possano contenere indirizzi vincolanti per le Regioni, osserva che la riserva al Consiglio dei ministri della competenza ad adottare l'atto di indirizzo non sussisterebbe, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997, nel caso in cui sia raggiunta l'intesa con la conferenza Stato-Regioni.

10.– Con ricorso depositato il 19 settembre 1997 (Reg. ric. n. 58 del 1997), la Provincia autonoma di Bolzano ha a sua volta impugnato gli articoli 1, 2 e 4 del d.l. n. 175 del 1997, come convertito in legge, lamentando la violazione degli artt. 8, n. 1, 9, n.10, 16 e 107 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione, in particolare del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267.

Premesso che sia l'attività libero-professionale dei medici ospedalieri, sia la gestione delle unità sanitarie locali e il servizio sanitario provinciale sono stati disciplinati con normativa organica dalle leggi provinciali, e richiamata la disciplina già recata dall'art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996 nel testo originario, la Provincia di Bolzano osserva anzitutto che, pur non essendo cambiata la premessa secondo cui il servizio sanitario é interamente autofinanziato dalla Provincia stessa, il decreto legge impugnato ha preteso di estendere anche ad essa una serie di disposizioni dell'art. 1 della legge n. 662 del 1997. Con la nuova formulazione del citato comma 143, secondo la ricorrente, si vorrebbe stabilire che non solo i principi desumibili dalle disposizioni di cui ai commi da 5 a 43 del medesimo art. 1, che, in quanto disposizioni di principio, possono, secondo la giurisprudenza di questa Corte, configurarsi come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, ma tutte le disposizioni, di principio e non, di cui ai commi non espressamente esclusi dal nuovo testo del comma 143, siano da considerare come norme fondamentali di riforma, vincolanti anche nei confronti della competenza esclusiva, oltre che di quella concorrente, della Provincia autonoma. Ma in tal modo il legislatore statale avrebbe compresso le competenze provinciali oltre i limiti costituzionalmente stabiliti, in quanto le disposizioni rese applicabili difetterebbero dei caratteri di incisiva innovatività, e di principio, propri delle norme fondamentali di riforma. Inoltre la previsione (nei commi 14 e 33) dell'emanazione di decreti ministeriali in materie di competenza provinciale lederebbe tale competenza.

Con un secondo motivo di ricorso la Provincia di Bolzano sostiene che anche l'art. 1 e i due commi dell'art. 4 del d.l. n. 175 del 1997 conterrebbero una disciplina non di principio e priva dei caratteri propri delle norme fondamentali di riforma, e dunque sarebbero incostituzionali perchè pretendono di applicarsi alla Provincia in contrasto con i limiti statutari.

Con il terzo motivo di ricorso la Provincia lamenta che l'art. 1 del decreto impugnato attribuisce al Ministro della sanità il potere di dettare una disciplina riguardante l'organizzazione del personale sanitario, rientrante nell'ambito della competenza primaria (personale addetto agli uffici provinciali) e secondaria (igiene e sanità) della Provincia stessa. Infatti esso prevederebbe un atto di natura sostanzialmente regolamentare in materia riservata alla Provincia e già disciplinata da legge provinciale; e implicherebbe un vincolo per lo stesso legislatore provinciale, in violazione del particolare sistema di adeguamento della legislazione provinciale previsto dalle norme di attuazione dello statuto, secondo cui tale vincolo potrebbe derivare solo da atti legislativi, e nei limiti e nei termini previsti dagli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Se anche poi il decreto ministeriale previsto – prosegue la ricorrente – potesse essere configurato come un atto di indirizzo e coordinamento, risulterebbero violati sia i principi per cui gli atti di indirizzo debbono essere adottati dal Consiglio dei ministri e trovare un sufficiente fondamento sostanziale nella legge, sia le speciali norme dell'art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo cui gli atti di indirizzo potrebbero esplicare effetto nei confronti delle Province autonome solo in ordine al conseguimento di obiettivi o risultati, e dovrebbero essere adottati previa consultazione delle Province stesse. Tali censure sono estese dalla ricorrente anche all'art. 2 del decreto impugnato nella parte in cui pretende di rendere applicabili alla Provincia i commi 14 e 33 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, che prevedono anch'essi l'emanazione di decreti ministeriali rivolti a disciplinare materie di competenza provinciale.

Col quarto motivo di ricorso la Provincia censura l'art. 4 del decreto impugnato, che sarebbe illegittimo per motivi analoghi a quelli illustrati a proposito dell'art. 1. Infatti il decreto ministeriale previsto interverrebbe in materia di competenza provinciale, già regolata in gran parte dalla legge provinciale; violerebbe, nella misura in cui potesse configurarsi come atto che richiede un adeguamento della legislazione provinciale in vigore, le regole degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; e non risponderebbe ai requisiti dell'atto di indirizzo, se come tale venisse configurato, in quanto non sarebbe sorretto da una disciplina legislativa sostanziale, e violerebbe le norme di attuazione di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992 in ordine alla competenza del Consiglio dei ministri, alla necessaria sottoposizione al parere della Provincia, che non può essere sostituito da quello della conferenza Stato-Regioni, e all'efficacia limitata alla fissazione di obiettivi e risultati.

11.– Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per il rigetto del ricorso, con argomenti identici a quelli esposti nella difesa nei confronti del ricorso della Provincia autonoma di Trento.

12.– In prossimità dell'udienza del 29 settembre 1998 hanno presentato memorie la Regione Puglia e le Province autonome di Trento e di Bolzano, quest'ultima congiuntamente trattando il ricorso avverso il d.l. n. 175 del 1997 (Reg. ric. n. 58 del 1997) e quello per conflitto di attribuzioni promosso nei confronti del d.m. 27 febbraio 1997, emanato ai sensi dell'art. 1, comma 33, della legge n. 662 del 1996 (R. confl. n. 34 del 1997).

In particolare, la Regione Puglia ribadisce che la competenza statale in materia di professioni e attività sanitarie non comprende l'organizzazione della attività libero- professionale intramuraria, di cui all'art. 4 del decreto impugnato, che sarebbe di competenza regionale; e che la previsione, in detto art. 4, di un decreto ministeriale, col solo parere della conferenza Stato-Regioni, viola le condizioni richieste per l’emanazione di atti di indirizzo e coordinamento, in quanto non si prevede la competenza del Consiglio dei Ministri all'adozione, l'intesa con la conferenza Stato-Regioni, di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1997. La disciplina di detto art. 8, secondo la ricorrente, non potrebbe essere interpretata nel senso che escluda, salve le ipotesi particolari di cui ai commi 2 e 3, la competenza del Consiglio dei ministri. Infine la Regione Puglia ribadisce la censura nei confronti dell'art. 1 del decreto impugnato in quanto, nell'attribuire al Ministro il potere di disciplinare materie strettamente connesse a quella dell'organizzazione dell'attività libero-professionale intramuraria, non prevede alcuna forma di consultazione con le Regioni.

13.– Nella memoria della Provincia autonoma di Trento relativa al ricorso contro il d.l. n. 175 del 1997 si afferma che, mentre la ricorrente non ha alcuna ostilità verso la possibile interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni impugnate, non sarebbe accettabile la tesi dell'Avvocatura erariale, secondo cui la disciplina dell'attività libero-professionale extramuraria ed intramuraria sarebbe di competenza statale, non trattandosi di disciplina della professione bensì dell'attività dei dipendenti del servizio sanitario. La Provincia non contesta il vincolo per essa discendente dal principio che consente l'esercizio della libera professione da parte dei dipendenti, ma afferma che l'implementazione di tale principio deve seguire le regole circa i rapporti fra legislazione statale e provinciale.

Con riferimento poi al comma 33 dell'art. 1 della legge n 662 del 1996, la Provincia fa presente di avere già dettato, con la legge provinciale n. 3 del 1998, disposizioni per l'attuazione dell'art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992 in tema di gestione economico-finanziaria e patrimoniale delle aziende sanitarie.

Con riferimento infine all'art. 4 del decreto impugnato, si osserva che la competenza ministeriale ivi configurata concerne profili essenzialmente organizzativi, di spettanza provinciale per ammissione della stessa controparte; e, quanto alla possibilità di intendere le norme ministeriali come meri "indirizzi", si afferma che l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 non può intendersi nel senso di escludere la necessità della delibera del Consiglio dei ministri per l'adozione degli atti di indirizzo; e che in ogni caso l'art. 4 impugnato risulterebbe illegittimo in quanto non soddisferebbe il principio di legalità sostanziale, e tenderebbe a rendere gli indirizzi vincolanti per il legislatore provinciale, in assenza dei presupposti perchè ciò possa verificarsi, vale a dire l'operatività di altri limiti costituzionali alla potestà legislativa provinciale. Infine, da un punto di vista procedurale, risulterebbe violato l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 là dove richiede per gli atti di indirizzo l'intesa con la conferenza Stato-Regioni e non la semplice consultazione della medesima.

14.– Nella memoria della Provincia autonoma di Bolzano si afferma che l'interpretazione in bonam partem data dalla difesa del Presidente del Consiglio alle disposizioni impugnate é difficilmente conciliabile con il loro tenore testuale, e si ricorda che il legislatore statale ha omesso una espressa clausola di salvezza delle autonomie speciali, e ha introdotto la nuova disposizione, che rende fra l'altro applicabile il comma 33 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, quando era già stato emanato, ed era già stato impugnato dalla ricorrente con conflitto di attribuzioni, il decreto ministeriale fondato su detto comma 33, che ha preteso di dettare prescrizioni direttamente vincolanti per le Province autonome e per lo stesso legislatore provinciale.

Si nega poi che la disciplina delle attività professionali intramurarie abbia ad oggetto la professione medica, di competenza statale, riguardando essa invece l'attività di dipendenti provinciali e aspetti organizzativi delle strutture del servizio sanitario provinciale; e si ricorda che la Provincia, ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n.267 del 1992, ha potestà legislativa e amministrativa anche su ogni aspetto dello stato giuridico ed economico del personale del servizio sanitario provinciale. Le disposizioni oggi impugnate avrebbero altresì natura di norme di dettaglio, o addirittura demanderebbero una successiva disciplina di minuto dettaglio ad atti ministeriali di normazione secondaria. In particolare la Provincia ricorda che la sentenza n. 373 del 1995 di questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale, nei confronti della stessa Provincia, dell'art. 1, comma 6, del d.l. n. 512 del 1994, in quanto norma di dettaglio incidente sulla gestione delle unità sanitarie locali, di competenza provinciale: cioé di quella stessa disposizione che oggi l'art. 2 del decreto impugnato, dichiarando applicabile alle Province autonome l'art. 1, comma 16, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996, vorrebbe di nuovo imporre alla Provincia, con ciò violando lo stesso giudicato costituzionale.

Nella memoria si riafferma che sarebbero incostituzionali le disposizioni impugnate che si intendessero come attributive al Ministro della potestà di emanare atti di indirizzo e coordinamento (artt. 1 e 4 del decreto, e disposizioni, come il comma 33 dell'art. 1 della legge n. 662, rese applicabili dall'art. 2 del decreto stesso), in quanto, in primo luogo, la necessità di una deliberazione del Consiglio dei ministri sarebbe sancita dalle norme di attuazione di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992, e, in secondo luogo, l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 non avrebbe abolito tale esclusiva competenza ma anzi l'avrebbe confermata.

Infine si ribadisce la censura all'art. 2 del decreto nella parte in cui rende applicabile il comma 33 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996: trattandosi di materia di competenza provinciale, la legge statale non potrebbe, con norma di dettaglio, disciplinare termini e sanzioni per le inadempienze degli amministratori delle aziende sanitarie, e tanto meno attribuire al Ministro il potere di disciplinare tale oggetto; se poi l'atto ministeriale dovesse intendersi come atto di indirizzo, risulterebbero violate ancora una volta le regole che disciplinano, in generale e in particolare nei confronti delle Province autonome, l'esercizio della potestà di indirizzo e coordinamento.

In ordine al conflitto di attribuzioni, la Provincia rileva che la applicabilità del comma 33 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 alle Province autonome, disposta dall’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 dopo l’emanazione del decreto ministeriale impugnato, non vale a sanarne la originaria illegittimità per mancanza di fondamento legislativo nei confronti della ricorrente. Secondo la Provincia, anche se l’art. 2 del decreto legge non fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo, il rispetto del principio di legalità sostanziale da parte del decreto ministeriale dovrebbe essere verificato alla stregua della normativa in vigore al momento della emanazione del decreto medesimo.

15.– La cause sono state discusse all’udienza del 29 settembre 1998, in esito alla quale questa Corte ha pronunciato l’ordinanza interlocutoria 24 febbraio-4 marzo 1999, con la quale – riuniti tutti i giudizi in vista della connessione oggettiva fra di essi – ha disposto che i ricorsi fossero trattati nuovamente in udienza, onde rendere possibile alle parti di esprimere le proprie valutazioni sull’incidenza di talune disposizioni legislative sopravvenute nelle more della decisione della Corte, e precisamente della legge delega 23 dicembre 1998, n. 419, che demandava al Governo il compito di dettare norme per la "razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale", nonchè dell’art. 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, contenente disciplina di taluni aspetti del rapporto d’impiego e dell’attività libero-professionale, intramuraria ed extramuraria, dei dirigenti del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, di incompatibilità e di relativi controlli, di organizzazione dell’attività intramuraria.

16.– Fissata per la nuova discussione delle cause l’udienza del 22 giugno 1999, e successivamente - a seguito di istanza di rinvio avanzata dalle parti in vista dell’opportunità di tenere conto dell’imminente entrata in vigore del decreto legislativo delegato emanato sulla base della delega di cui all’art. 1 della legge n. 419 del 1998 – l’udienza del 9 novembre 1999, in vista della medesima hanno depositato memorie sia la Regione Puglia, sia le Province autonome di Trento e di Bolzano; non ha depositato memoria l’Avvocatura dello Stato.

Nella memoria della Regione Puglia, ricordato che, sulla base della delega di cui all’art. 1 della legge n. 419 del 1998, é stato nel frattempo emanato, posteriormente all’ordinanza interlocutoria di questa Corte, il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, contenente norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, si esamina separatamente l’incidenza dello jus superveniens in relazione all’art. 1 e all’art. 4 del decreto legge impugnato.

Quanto all’art. 1, si osserva nella memoria che la materia in esso contemplata – ad eccezione delle attività di consulenza e dei consulti – é stata completamente ridisciplinata dall’art. 72 della legge n. 448 del 1998 e dal d.lgs. n. 229 del 1999: ma che l’assenza di una abrogazione espressa della disposizione impugnata lascerebbe aperta la questione circa la permanenza o meno in capo al Ministro del potere di disciplinare la materia medesima. Sarebbe poi tuttora attuale, comunque, la parte della disposizione relativa al potere ministeriale di dettare le norme in tema di consulenze e di consulti, oggetto su cui lo jus superveniens non avrebbe inciso.

Quanto all’art. 4 del decreto impugnato, la Regione osserva che l’art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998 ha disposto esplicitamente che le linee guida dettate dal Ministro con il d.m. del 31 luglio 1997 "si applicano" fino all’emanazione dell’apposito atto di indirizzo previsto dallo stesso comma in relazione alle misure che i direttori delle aziende debbono adottare per consentire l’esercizio della professione intramuraria e per garantire la riduzione delle liste d’attesa; che tale atto di indirizzo non é stato ancora emanato, nonostante sia da tempo decorso il termine di novanta giorni previsto dalla stessa norma; e che l’art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999, nel disciplinare (nel nuovo art. 15-quinquies inserito nel testo del d.lgs. n. 502 del 1992) le caratteristiche del rapporto di lavoro esclusivo dei dirigenti sanitari, fa salvo espressamente il disposto del citato art. 72. Pertanto, secondo la Regione, lo jus superveniens non avrebbe inciso sul potere ministeriale attribuito dalla disposizione impugnata sul decreto emanato dal Ministro. Peraltro il rinvio dell’art. 72 ad un futuro atto di indirizzo confermerebbe che la materia é di spettanza regionale. Il disposto in questione non sarebbe poi univoco, perchè non sarebbe chiaro se l’atto di indirizzo ivi previsto riguardi solo i criteri per il reperimento di spazi sostitutivi e l’utilizzazione di studi professionali privati, e per l’attivazione di misure atte a garantire la riduzione delle liste d’attesa, a cui testualmente la legge si riferisce, ovvero l’intera materia della organizzazione dell’attività professionale intra moenia: pur se, secondo la Regione, sia da ritenere ragionevole questa seconda, estensiva interpretazione.

La ricorrente osserva poi che l’interesse ad un coinvolgimento delle Regioni nella disciplina della attività libero-professionale dei dirigenti del Servizio sanitario é confermato dalla impugnazione promossa dalla stessa ricorrente, con ricorso tuttora pendente davanti a questa Corte, nei confronti del d.lgs. n. 229 del 1999, e in particolare del suo art. 13.

In definitiva, la Regione Puglia insiste nella richiesta di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto impugnato, specificamente "nella parte in cui prevede che materie di competenza regionale siano disciplinate da un atto ministeriale, anzichè da un atto di indirizzo e coordinamento"; e dell’art. 1 "nella parte in cui la disciplina dettata dai decreti ministeriali di attuazione non sia stata abrogata o modificata o comunque superata (…) dalla disciplina sopravvenuta".

17.– La Provincia autonoma di Trento rileva che la disciplina sopravvenuta si sovrappone solo in parte, superandola, a quella dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, resa applicabile alla Provincia stessa dall’art. 2 del decreto legge impugnato, nonchè a quella contenuta nell’art. 1 dello stesso decreto, quanto alla disciplina dell’opzione fra professione intramuraria ed extramuraria; mentre altre disposizioni oggetto dell’impugnazione sarebbero ancora attuali.

In particolare, secondo la Provincia, persisterebbe materia del contendere in relazione alle seguenti disposizioni dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996: il comma 8 (in materia di attivazione dell’attività intramuraria e di incentivi relativi ad essa); in parte il comma 14 (che prevede una disciplina integrativa da dettare con decreto ministeriale); il comma 16, secondo periodo (in base al quale le Regioni tengono conto dell’organizzazione dell’attività intramuraria in sede di verifica dei risultati ottenuti dal direttore generale); inoltre il comma 5, ultimo periodo (sull’accertamento delle incompatibilità) e il comma 12, primo periodo (sul trattamento economico aggiuntivo per chi svolge attività intramuraria), che sono espressamente richiamati, rispettivamente, dall’art. 72, comma 7, della legge n. 448 del 1998 e dal nuovo art. 15-quater, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999.

Per quanto riguarda gli artt. 1 e 4 del d.l. n. 175 del 1997, ad avviso della Provincia ricorrente, se la disciplina dell’opzione fra professione intramuraria ed extramuraria sembra superata dal nuovo art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, per altri oggetti le norme impugnate potrebbero ritenersi ancora attuali, pur dovendo ormai essere riferite all’attività libero-professionale svolta nell’ambito del rapporto di lavoro esclusivo previsto dal nuovo art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999.

La Provincia osserva poi che le clausole di salvaguardia dell’autonomia provinciale contenute nell’art. 72, comma 14, della legge n. 448 del 1998 (secondo cui le norme dello stesso articolo non si applicano alle Province autonome di Trento e Bolzano, e nei predetti enti i principi di cui all’articolo medesimo sono attuati secondo quanto disposto dallo statuto e dalle relative norme di attuazione), e nell’art. 2, comma 2, della legge di delega n. 419 del 1998 (secondo cui le Province autonome adeguano la propria legislazione, in coerenza con il sistema di autofinanziamento del settore sanitario e nei limiti dello statuto e delle relative norme di attuazione, ai principi fondamentali dei decreti legislativi attuativi della delega) potrebbero rilevare ai fini di interpretare l’art. 2 del decreto impugnato nel senso che le norme dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 rese applicabili alle Province autonome lo sono solo nel modo in cui la sopravvenienza di norme statali opera secondo le norme di attuazione, cioé imponendo un obbligo di adeguamento della legislazione provinciale nei limiti dello statuto.

In relazione al comma 11 dell’art. 72 della legge n. 448 del 1998 – secondo cui le linee guida sull’organizzazione dell’attività intramuraria emanate con il d.m. 31 luglio 1997 si applicano fino all’emanazione di apposito atto di indirizzo - la Provincia ricorrente osserva che di tale comma é espressamente esclusa l’applicazione alle Province autonome (art. 72 citato, comma 14): onde nemmeno le linee guida potrebbero applicarsi ad esse.

In subordine, si osserva nella memoria che, anche a voler intendere la disposizione nel senso che le linee guida producono solo gli effetti di un atto di indirizzo, egualmente l’art. 4 del d.l. n. 175 del 1997 resterebbe illegittimo, perchè non sarebbero rispettati, in relazione alle linee guida, i requisiti costituzionali per l’esercizio del potere di indirizzo e coordinamento.

Infine, la Provincia ritiene tuttora attuale il conflitto di attribuzioni proposto contro il d.m. 25 febbraio 1997, in quanto nessun rilievo avrebbe in proposito la normativa sopravvenuta, e non potrebbe ritenersi legittimamente attribuita ex post, al decreto impugnato, base legale ad opera della disposizione dell’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997, che ha reso applicabile alla Provincia il comma 33 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, sul cui fondamento il decreto ministeriale era stato emanato.

18.– Nella memoria della Provincia di Bolzano si sostiene che lo jus superveniens non avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere, perchè esso non avrebbe inciso sulla permanente efficacia delle disposizioni impugnate e sui loro effetti nei rapporti fra lo Stato e la Provincia autonoma.

La Provincia osserva che l’art. 72 della legge n. 448 del 1998, il d.lgs. n. 229 del 1999, hanno fatto venir meno l’efficacia delle disposizioni contenute nell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 - rese applicabili alle Province autonome dall’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 – nonchè negli artt. 1 e 4 del medesimo decreto legge n. 175: disposizioni che sarebbero state per lo più confermate o anche espressamente richiamate, e che integrerebbero quelle sopravvenute. In particolare osserva che il comma 11 dell’art. 72 della legge n. 448 del 1998, stabilendo che le linee guida emanate dal Ministro sulla base dell’art. 4 del decreto legge impugnato si applicano fino all’emanazione di un atto di indirizzo e coordinamento (peraltro non ancora emanato) non farebbe venir meno l’oggetto dell’impugnazione.

Secondo la ricorrente, poi, le già ricordate clausole di salvaguardia dell’autonomia provinciale contenute nel comma 14 del medesimo art. 72 e nell’art. 2, comma 2, della legge di delega n. 419 del 1998, non varrebbero a modificare le conclusioni, perchè esse si potrebbero riferire solo, rispettivamente, alle disposizioni dell’art. 72 della legge n. 448 e a quelle del decreto legislativo n. 229, e non a quelle, anteriori, oggetto dell’impugnazione.

19.– All’udienza pubblica del 9 novembre 1999, nella quale le parti ricorrenti hanno ribadito le rispettive argomentazioni, l’Avvocatura dello Stato ha concluso chiedendo che sia dichiarata cessata la materia del contendere, a seguito dello jus superveniens, in relazione all’art. 1 e all’art. 4 del d.l. n. 175 del 1997, nonchè in relazione all’art. 2 dello stesso decreto, con riferimento ai commi 5, 6, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16, secondo periodo, 26, 28, 29 e 33 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996; e che siano dichiarati infondati i ricorsi delle Province autonome di Trento e di Bolzano relativamente all’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 in riferimento ai commi 9, 15, 18, 31, 39, 40, 41, 42 e 43 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996. In subordine, ha chiesto che siano dichiarati infondati i ricorsi proposti.

Considerato in diritto

1.– I giudizi – riuniti per connessione oggettiva con l’ordinanza interlocutoria 24 febbraio-4 marzo 1999 – riguardano, da un lato, l’impugnazione di alcune disposizioni del decreto legge 20 giugno 1997, n. 175 (Disposizioni urgenti in materia di attività libero-professionale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale), convertito senza modificazioni dalla legge 7 agosto 1997, n. 272; dall’altro lato, i conflitti di attribuzione sollevati dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in riferimento al decreto del Ministro della sanità 25 febbraio 1997, recante "Determinazione di termini e sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere".

Conviene iniziare l’esame dalle questioni di legittimità costituzionale del decreto legge, ancorchè proposte in epoca successiva ai conflitti di attribuzione, poichè la decisione di questi ultimi si collega a quella della questione di legittimità dell’art. 2 del d.l. n. 175, a sua volta coinvolgente, come si vedrà, la disposizione legislativa – l’art. 1, comma 33, della legge n. 662 del 1996 – sulla cui base é stato emanato il decreto ministeriale contestato con i ricorsi per conflitto.

Delle disposizioni contenute nel d.l. n. 175 del 1997, la Regione Puglia impugna gli artt. 1 e 4; le Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre a tali articoli, anche l’art. 2. Dalle questioni relative a quest’ultima disposizione é opportuno prendere le mosse.

2.– L’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (recante, nell’unico coacervo dei suoi 267 commi, Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza), contiene, nei commi da 1 a 44, disposizioni in materia di sanità. Il successivo comma 143, nel testo originario, dopo aver stabilito che "la regione Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori, ai sensi dell’articolo 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato" (secondo periodo), proseguiva stabilendo che "di conseguenza non si applicano alla regione Valle d’Aosta e alle province autonome di Trento e Bolzano le disposizioni di cui ai commi da 1 a 44" (terzo e ultimo periodo).

L’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 sostituisce l’ultimo periodo del citato comma 143 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 col seguente testo: "Di conseguenza, a decorrere dal 1° gennaio 1997, non si applicano alla regione Valle d’Aosta e alle province autonome di Trento e Bolzano le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4, 16, primo periodo, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27, 30, 32, 34, 35, 36, 37 e 38 dell’articolo 1". Con tale modifica si sono dunque ora rese applicabili anche alle Province autonome le disposizioni contenute in quei commi, compresi fra 1 e 44, non elencati fra quelli la cui applicabilità é esclusa.

In particolare, fra le disposizioni rese applicabili, quelle dei commi da 5 a 15 e del comma 16, secondo periodo, si riferiscono alla disciplina della attività libero-professionale dei dirigenti del servizio sanitario nazionale e alla organizzazione della cosiddetta attività intramuraria, cioé dell’attività libero-professionale svolta dai dirigenti nell’ambito e usufruendo delle strutture del presidio pubblico nel quale essi prestano il servizio di istituto; il comma 26 afferma il principio per cui le Regioni provvedono all’accertamento delle situazioni di bisogno e all’organizzazione dei servizi, assicurando l’equilibrio finanziario delle relative gestioni, nell’ambito dei livelli uniformi di assistenza individuati dal piano sanitario nazionale; il comma 28 prevede l’individuazione di "percorsi diagnostici e terapeutici" e l’adozione di indirizzi per la loro uniforme applicazione, ad opera del Ministro della sanità; il comma 29 l’attivazione di sistemi informativi per la rilevazione di dati; i commi 31, 39, 40, 41, 42 e 44 dettano norme in materia di farmaci; il comma 33 demanda al Ministro della sanità di fissare termini e sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori in tema di gestione contabile delle aziende sanitarie; il comma 43 riguarda l’uso gratuito di locali e servizi da parte degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti, ammessi ad operare all’interno delle strutture sanitarie pubbliche.

La Provincia autonoma di Bolzano censura genericamente e nel suo complesso l’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997, lamentando che esso, col rendere applicabili alle Province autonome le citate disposizioni, considererebbe queste ultime tutte come norme fondamentali di riforma, vincolanti nei confronti della competenza, non solo concorrente, ma anche esclusiva della Provincia, benchè esse siano prive dei caratteri sostanziali a ciò necessari. Lamenta poi in particolare l’attribuzione di poteri normativi al Ministro della sanità in tema di funzionamento e di gestione delle unità sanitarie locali, ad opera dei commi 14 e 33.

La Provincia di Trento non esclude la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione della disposizione impugnata, secondo la quale l’applicazione delle norme richiamate della legge n. 662 del 1996 alle Province autonome sarebbe da intendere nel senso che ad esse le Province debbano adeguare la propria legislazione nei soli limiti in cui ciò sia imposto dallo statuto, in conformità all’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1992, che disciplina la sopravvenienza di norme legislative statali in materie di competenza delle Province autonome, già regolate da leggi provinciali: ma, per il caso in cui si adotti una diversa interpretazione, censura come illegittimo l’art. 2 del decreto legge n. 175 nella parte in cui dispone l’applicazione nei confronti della stessa Provincia di alcune specifiche disposizioni, e precisamente dei commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16, secondo periodo (in tema di attività libero-professionale dei dirigenti del servizio sanitario), 28 (sui percorsi diagnostici e terapeutici), 29 (sui sistemi informativi), 33 (sulle sanzioni per le inadempienze degli amministratori). La stessa Provincia poi lamenta, in particolare, che i commi 14, 28 e 33 attribuiscano al Ministro della sanità poteri normativi in materie spettanti alla competenza provinciale.

3.– Sotto i profili più generali sollevati dalla Provincia di Bolzano, e in via eventuale (subordinatamente cioé alla interpretazione che si adotti della disposizione impugnata) dalla Provincia di Trento, la questione é infondata, in quanto l’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997 non ha il significato e la portata ipotizzati dalle ricorrenti.

La sopravvenuta applicabilità anche alle Province autonome di Trento e Bolzano e alla Regione Valle d’Aosta (oltre che alle Regioni cui già si applicavano) – in forza della disposizione impugnata – di una serie di previsioni normative contenute nell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 non può avere portata diversa da quella che avrebbe avuto l’applicabilità originaria delle medesime, ove non vi fosse stata la clausola di esclusione recata dal testo precedente dell’art. 1, comma 143, della medesima legge n. 662.

Tale portata si sostanzia in un caso ordinario di sopravvenienza di legislazione statale che, quando investa materie di competenza delle Province autonome, opera nei confronti loro e della loro preesistente legislazione nei modi e con gli effetti prescritti dalle apposite norme di attuazione statutaria di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992: vale a dire non già sostituendo la legislazione provinciale, che rimane invece applicabile, bensì ponendo in essere l’obbligo, per le Province autonome, di adeguare la propria legislazione, entro il termine previsto, ai nuovi vincoli discendenti, in base alle previsioni dello statuto, e a seconda del tipo di competenza legislativa provinciale coinvolta, dai principi fondamentali o dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale desumibili dalle disposizioni della legge statale, in relazione al contenuto concreto di queste ultime. Solo nel caso di mancato adeguamento entro il termine la legislazione provinciale non adeguata é suscettibile di essere caducata per sopravvenuta illegittimità costituzionale, su ricorso diretto del Governo ovvero a seguito di incidente di costituzionalità: aprendosi così la strada, se del caso, ad una applicabilità diretta della normativa statale nel vuoto creato dalla eliminazione di quella provinciale.

E’ escluso, dunque, sia che la sopravvenuta applicabilità alle Province delle disposizioni in questione operi in modo diverso e più immediato nei confronti della preesistente legislazione provinciale nelle materie, sia che essa comporti vincoli di contenuto, nei confronti delle Province autonome, diversi e maggiori rispetto a quelli desumibili dallo statuto speciale, o l’attribuzione alle disposizioni stesse di caratteri vincolanti diversi e maggiori rispetto a quelli ad esse propri in relazione al rispettivo contenuto.

4.– Per quanto riguarda le specifiche censure mosse alle singole disposizioni dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, rese applicabili alle Province autonome, meritano di essere partitamente esaminate solo quelle che riguardano l’attribuzione ad organi dello Stato di poteri normativi o di indirizzo, che le ricorrenti giudicano incompatibili con la competenza provinciale nella rispettiva materia, e cioé le previsioni dei commi 14, 28, 29 e 33. Le altre disposizioni, infatti, sono denunciate solo in quanto vincolerebbero le Province anche nel dettaglio o sotto il profilo organizzativo: ma siffatte censure non hanno ragion d’essere, una volta chiarito come debbano intendersi – in armonia con lo statuto speciale e con le norme di attuazione – il significato, la portata e i limiti della loro sopravvenuta applicabilità.

Il comma 14 attribuisce al Ministro della sanità il potere di stabilire "i termini per l’attuazione dei commi 8, 11 e 12" dello stesso art. 1, nonchè "le modalità per il controllo del rispetto delle disposizioni sulla incompatibilità" e "la disciplina dei consulti e delle consulenze". La materia coinvolta é sempre la disciplina dell’attività libero-professionale, intramuraria ed extramuraria, dei dirigenti sanitari, ed é la stessa materia cui si riferisce l’art. 1 del d.l. n. 175 del 1997, pure impugnato, il quale ridefinisce ed amplia l’oggetto del decreto ministeriale previsto nello stesso comma 14. Conviene dunque rimandarne l’esame a quanto si dirà a proposito di detto art. 1 del d. l. n. 175, dovendo le medesime conclusioni estendersi alla censura qui presa in considerazione.

Restano i commi 28, 29 e 33.

5.– Sono infondate le questioni con riguardo ai commi 28 e 29.

Il comma 28 prevede la individuazione, ad opera del Ministro della sanità, che si avvale a tal fine dell’Istituto superiore di sanità e sente la Federazione nazionale dell’ordine dei medici, le società scientifiche interessate, nonchè il consiglio superiore di sanità, di "percorsi diagnostici e terapeutici" cui i medici abilitati alle funzioni prescrittive "conformano le proprie autonome decisioni tecniche": e ciò allo scopo di assicurare l’uso appropriato delle risorse e di garantire l’equilibrio delle gestioni. A sua volta il Ministro, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, stabilisce "gli indirizzi per l’uniforme applicazione dei percorsi stessi in ambito locale e le misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli medesimi, ivi comprese le sanzioni a carico del sanitario che si discosti dal percorso diagnostico senza giustificati motivi".

Non si tratta dunque di un potere normativo o di indirizzo amministrativo, ma solo di un compito di indirizzo tecnico (come conferma in particolare la previsione secondo cui il Ministro si avvale in varia guisa di organismi tecnici o professionali) non soggetto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, alle stesse condizioni e agli stessi limiti del potere governativo di indirizzo e coordinamento (cfr. sentenze n. 924 del 1988, n. 139 del 1990 e n. 356 del 1994). Esso trova fondamento, nell’ambito dell’unità del Servizio sanitario nazionale, nell’esigenza di rendere confrontabili e valutabili le prestazioni rese, e di coinvolgere gli operatori del Servizio nel dovere di cooperare, come si esprime lo stesso comma 28, al "rispetto degli obiettivi di spesa": esigenza, quest’ultima, che vale sia quando la spesa faccia carico in tutto o in parte al bilancio statale, sia quando essa, come nel caso del Trentino-Alto Adige, sia interamente finanziata dal bilancio delle Province autonome, alle quali quindi spetta anche, di massima, la determinazione ultima degli obiettivi di spesa.

E’ ovvio poi che le modalità con le quali siffatte determinazioni tecniche si traducono nei vari aspetti della pratica dei servizi dipenderanno dalla disciplina dei rapporti di lavoro o convenzionali che legano gli operatori all’amministrazione, disciplina rimessa alle fonti, legislative o contrattuali, volta a volta competenti. Non si dà quindi l’eventualità di una lesione della sfera di competenza provinciale, come conferma anche la previsione di un’intesa del Ministro con la conferenza Stato-Regioni ai fini della statuizione degli indirizzi applicativi dei percorsi diagnostici e terapeutici.

6.– Il comma 29 si limita a prevedere un’attività di rilevazione di dati e di attivazione di sistemi informativi, che non implica se non indirizzi tecnici, come tali ammissibili a scopo di coordinamento (cfr. sentenze n. 924 del 1988, n. 242 del 1989 e n. 356 del 1994), e l’ottemperanza da parte anche degli enti e delle strutture decentrate al generale dovere di cooperazione. Anche le eventuali "forme campionarie di rilevazione" attivabili dal Ministero della sanità non sono suscettibili di ledere l’autonomia provinciale e locale, essendo previsti appositi "accordi di cooperazione con aziende sanitarie e regioni".

7.– E’ invece fondata la questione con riguardo al comma 33.

Tale disposizione attribuisce al Ministro della sanità il potere di fissare, con proprio decreto, "i termini e le sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori" delle aziende sanitarie, "per la completa attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 4 e 5, del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502": vale a dire delle norme regionali per la gestione economico-finanziaria e patrimoniale delle aziende, e dello schema uniforme per i bilanci e i consuntivi delle medesime.

Stabilire "termini e sanzioni" per le inadempienze degli amministratori ai doveri inerenti alla gestione contabile delle aziende rientra certamente nell’ambito della competenza delle Regioni e delle Province autonome, cui le aziende fanno capo, e a cui spetta nominare detti amministratori e indirizzarne e vigilarne l’attività (cfr., fra l’altro, artt. 2, 3, 3-bis e 5 dello stesso d.lgs. n. 502 del 1992, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 229 del 1999). Pertanto eventuali poteri centrali di normazione di principio potrebbero essere esercitati solo con atto legislativo; eventuali poteri governativi di indirizzo dovrebbero a loro volta rispettare i presupposti procedurali e sostanziali a tal fine richiesti, che nella specie difettano del tutto, sia sotto il profilo della competenza, attribuita al solo Ministro, e del procedimento, sottratto alle condizioni generali imposte, per il Trentino-Alto Adige, dall’art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992; sia sotto il profilo del fondamento legislativo sostanziale, difettando nella disposizione in esame la statuizione di criteri per l’esercizio del potere governativo.

8.– Alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 del d.l. n. 175 del 1997, nella parte in cui rende applicabile alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’art. 1, comma 33, della legge n. 662 del 1996, consegue la necessità di accogliere i ricorsi per conflitto di attribuzioni che le due Province hanno promosso nei confronti del d.m. 25 febbraio 1997, emanato in forza e sulla base di detto comma 33.

Anche indipendentemente dalla circostanza che il decreto in questione venne emanato allorchè il comma 33 non era (ancora) stato reso applicabile alle due Province autonome, secondo la previsione originaria del comma 143 dello stesso art. 1 della legge n. 662 del 1996, viene meno infatti, con la predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale, ogni possibile fondamento legislativo, anche ricavabile a posteriori, del potere ministeriale in questione, in quanto esercitabile nei confronti delle due Province.

9.– L’art. 1 del d.l. n. 175 del 1997, come si é accennato, ridetermina in senso ampliativo l’oggetto del decreto del Ministro della sanità, previsto dall’art. 1, comma 14, della legge n. 662 del 1996. Con tale decreto – si stabilisce – "sono individuate, in attuazione dei commi 8, 11 e 12 dello stesso articolo 1, le caratteristiche dell’attività libero-professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, le categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sull’attività intramuraria; sono, altresì, disciplinate l’opzione tra attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalità del controllo del rispetto delle disposizioni sull’incompatibilità, le attività di consulenza e consulto".

Le Province di Trento e di Bolzano censurano tale disposizione per le stesse ragioni per le quali censurano l’art. 2, nella parte in cui rende applicabile il comma 14 dell’art. 1 della legge n. 662, trattandosi a loro avviso di materia di piena competenza provinciale, e attribuendosi al Ministro un potere normativo non compatibile con tale competenza.

La Regione Puglia, invece, non rivendica la materia oggetto del previsto decreto ministeriale alla competenza regionale, ma si limita a lamentare la mancata previsione di qualsiasi forma di coinvolgimento della Regione, come sarebbe stato, ad avviso della stessa Regione, necessario, attesa la "imbricazione" che caratterizzerebbe l’oggetto di detto potere ministeriale rispetto alla materia dell’organizzazione delle aziende sanitarie, essa sì rientrante nelle attribuzioni regionali.

10.– Tutte le parti hanno dato atto dell’incidenza, nella materia oggetto della disposizione in esame, della disciplina recata, prima, dall’art. 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (in particolare dai commi da 4 a 12, nonchè 14, 15 e 16) e, poi, dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, contenente "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419" (in particolare dall’art. 13): pur non consentendo poi del tutto quanto all’ampiezza e alla portata delle innovazioni introdotte dai nuovi atti legislativi.

Ai fini della presente decisione, é sufficiente osservare che le norme recate dall’art. 13 del d.lgs. n. 229, attraverso la sostituzione dell’art. 15 e l’inserimento degli articoli da 15-bis a 15-undecies nel decreto legislativo n. 502 del 1992, realizzano una nuova organica disciplina dell’intera materia già oggetto dell’art. 1 del decreto impugnato e del decreto ministeriale ivi previsto. La stessa summa divisio fra regime dei sanitari che svolgono attività c.d. extramuraria e regime dei sanitari che svolgono attività intramuraria é superata dalla disciplina della "esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario", contenuta nel nuovo art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. In base ad essa, tutti i dirigenti sanitari con i quali sia stato stipulato il contratto di lavoro o un nuovo contratto di lavoro successivamente al 31 dicembre 1998, nonchè i dirigenti titolari di contratti precedenti, che avessero optato per l’attività intramuraria in base alle precedenti norme, sono assoggettati, irreversibilmente, al rapporto di lavoro esclusivo, il cui regime é definito dal nuovo art. 15-quinquies, e nel cui ambito é previsto fra l’altro il diritto all’esercizio di attività libero-professionale in forme e tipologie definite (art. 15-quinquies, comma 2); allo stesso regime vengono assoggettati, ancora una volta irreversibilmente, gli altri dirigenti in servizio alla data accennata, già optanti per l’attività extramuraria, che chiedano di passare al rapporto di lavoro esclusivo; mentre il diverso regime del rapporto non esclusivo, con possibilità di attività libero-professionale al di fuori delle tipologie previste, ma anche senza i diritti e i vantaggi del rapporto esclusivo, rimane, ad esaurimento, per i soli sanitari in servizio che avessero optato in precedenza per l’attività extramuraria e non chiedano il passaggio al rapporto esclusivo.

La individuazione sia delle "caratteristiche dell’attività libero-professionale" già intramuraria, sia delle "categorie professionali" e degli "enti o soggetti" ai quali si applicano le relative disposizioni – demandata dall’art. 1 del d. l. n. 175 del 1997 ad un decreto ministeriale – é dunque ormai regolata dalla sopravvenuta disciplina legislativa. Quest’ultima ha altresì soppresso, per il futuro, la "opzione tra attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria", e, disciplinando le caratteristiche del rapporto di lavoro esclusivo, ha sostanzialmente assorbito anche la disciplina delle "attività di consulenza e consulto". Quanto infine alle "modalità del controllo del rispetto delle disposizioni sull’incompatibilità", la relativa disciplina é ormai contenuta nell’art. 72, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 1998, e in parte demandata al regolamento previsto dal medesimo art. 72, comma 9.

Poichè, come risulta dalle dichiarazioni delle parti, la controversia resta attuale solo con riguardo ai contenuti normativi delle disposizioni impugnate, che non siano superati dalla disciplina sopravvenuta, ciò che si é or ora osservato conduce, come si é detto, a constatare la cessazione della materia del contendere relativamente all’art. 1 del decreto legge impugnato, nonchè, per le stesse ragioni, relativamente all’art. 2 del decreto medesimo, nella parte in cui rende applicabile alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’art. 1, comma 14, della legge n. 662 del 1996.

11.– L’art. 4 del d.l. n. 175 del 1997, ancorchè impugnato nella sua totalità dalla Regione Puglia e dalla Provincia autonoma di Bolzano (mentre la Provincia di Trento limita l’impugnazione al solo comma 1), é oggetto di specifica censura nella parte in cui demanda al Ministro della sanità, sentita la conferenza Stato-Regioni, di emanare "le linee guida dell’organizzazione dell’attività libero-professionale intramuraria". Non vengono invece sviluppate specifiche censure relativamente al comma 2, ai cui sensi le Regioni e le Province autonome, "entro il 15 settembre 1997, comunicano al Ministero della sanità i dati necessari per la relazione di quest’ultimo al Parlamento sullo stato di attuazione dell’attività libero-professionale intramuraria e sulle misure dirette ad incentivare il ricorso alle prestazioni rese in regime di libera professione": onde, con riguardo a tale ultimo comma, le questioni di legittimità costituzionale devono essere dichiarate inammissibili.

La disposizione del comma 1 é denunciata in quanto attribuirebbe al Ministro un potere sostanzialmente normativo, vincolante nei confronti delle Regioni e delle Province autonome, in materia che, riguardando l’organizzazione delle aziende sanitarie, rientrerebbe a pieno titolo nella competenza regionale o provinciale: e ciò senza rispettare i requisiti propri degli atti di indirizzo e coordinamento, in particolare la competenza collegiale del Governo ai fini della loro adozione.

12.– La questione é fondata.

Non può accogliersi, in proposito, la richiesta, formulata dalla difesa erariale, di una dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Infatti la disciplina in esame non può dirsi assorbita o superata da quella contenuta nella legislazione sopravvenuta successivamente alla proposizione dei ricorsi, in particolare nell’art. 72 della legge n. 448 del 1998 e nel d.lgs. n. 229 del 1999. Al contrario, l’art. 72, comma 11, ultimo periodo, della legge n. 448, facendo seguito alla previsione della emanazione di un apposito atto di indirizzo e coordinamento – non ancora emanato – in tema di iniziative da assumere per reperire fuori dalle aziende sanitarie, fino alla realizzazione di idonee strutture, spazi sostitutivi per l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria, e di misure atte a garantire la riduzione delle liste d’attesa per le attività istituzionali, dispone che "fino all’emanazione dell’atto di indirizzo e coordinamento si applicano le linee guida adottate dal Ministro della sanità, ai sensi dell’articolo 1, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, con decreto del 31 luglio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 5 agosto 1997": cioé appunto con il decreto previsto dall’art. 4 del provvedimento qui impugnato, che pertanto conserva, sia pure transitoriamente, efficacia. A sua volta l’art. 15-quinquies, comma 10, del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999, stabilisce espressamente che "resta fermo quanto disposto dall’articolo 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448", ivi compreso quindi l’ultimo periodo del comma 11: e dunque conferma ancora una volta la transitoria efficacia del decreto ministeriale contenente le linee guida.

Ciò premesso, non può dubitarsi, in primo luogo, che la materia oggetto dell’atto ministeriale riguardi la competenza delle Regioni e delle Province autonome in ordine alla organizzazione del servizio sanitario, e non già la disciplina, di competenza statale, delle professioni sanitarie. La disciplina dell’attività libero-professionale così detta intramuraria non concerne il modo in cui si esplica la professione medica, ma l’utilizzo, ai fini di prestazioni rese dai sanitari in regime di libera professione, delle strutture sanitarie pubbliche, l’impiego a tal fine di personale e risorse appartenenti alle aziende sanitarie, ed il relativo regime amministrativo e finanziario. Oggetti, questi, facenti capo, da un lato, allo stato giuridico dei dirigenti sanitari del servizio sanitario nazionale, dall’altro lato, e specificamente per quanto qui interessa, alla disciplina della organizzazione delle strutture sanitarie pubbliche, spettante alla competenza delle Regioni e delle Province autonome, ai sensi, in particolare, dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992.

L’intervento dello Stato in questa ultima materia non può quindi esplicarsi se non nelle forme e nei limiti propri delle materie attribuite alle Regioni, cioé attraverso la legislazione di principio o di riforma, o attraverso l’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento: come del resto é ora espressamente previsto dall’art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998, che appunto rinvia ad un atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi ai sensi dell’art. 8 della legge n. 59 del 1997 (vale a dire, fra l’altro, e salvo il caso di urgenza, previa intesa con la conferenza Stato-Regioni: cfr. art. 8 cit., commi 1, 2 e 3).

In particolare, in tanto possono configurarsi in capo ad organi statali poteri di indirizzo, in quanto siano rispettate le condizioni di ordine procedurale e sostanziale costantemente richieste secondo la giurisprudenza di questa Corte: vale a dire, essenzialmente, l’esercizio attraverso atti collegiali del Governo (cfr., da ultimo, sentenza n. 408 del 1998), nel rispetto del principio di legalità sostanziale.

Di tali condizioni, difetta nella specie quanto meno quella relativa alla deliberazione del Consiglio dei ministri, oltre a quelle relative alle particolari procedure richieste dalle norme di attuazione statutaria per l’efficacia degli atti di indirizzo nei confronti delle Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992).

Non vale, in contrario, sostenere che le "linee guida" in questione non abbiano carattere vincolante per le Regioni e le Province autonome, ma siano semplici suggerimenti a fini di coordinamento, liberamente recepibili dagli enti autonomi: richiamandosi a tal fine alle "linee guida" "in funzione dell’applicazione coordinata del piano sanitario nazionale e della normativa di settore", di cui é parola nell’art. 1, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, ove si fa "salva l’autonoma determinazione regionale in ordine al loro recepimento". In realtà le linee guida previste dall’art. 4 del d.l. n. 175 del 1997, ed emanate con il decreto ministeriale 31 luglio 1997 ("Linee guida dell’organizzazione dell’attività libero-professionale intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale"), sono cosa diversa dalle "linee guida" previste dall’art. 1, comma 7, del d.lgs. n. 502, al quale, infatti, non si fa alcun riferimento nell’art. 4 del decreto legge impugnato, nelle premesse o nel testo del d.m. del 31 luglio 1997 (che, al contrario, richiama solo il medesimo art. 4 del d.l. n. 175, come proprio fondamento normativo). Queste ultime – più precisamente definite "linee guida comuni" nel nuovo testo dell’art. 1, comma 15, del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. n. 229 del 1999 – sono semplici orientamenti, volti ad armonizzare l’attività regionale, che il Ministro si limita a "promuovere", avvalendosi dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, ma che sono destinati ad essere il frutto di una elaborazione comune con le Regioni stesse (non a caso vengono accomunate nella medesima previsione normativa a "forme di collaborazione"), e non ne condizionano in alcun modo l’autonomia amministrativa. Al contrario, le linee guida qui all’esame tendono ad indirizzare in modo vincolante l’attività delle aziende sanitarie e quindi delle amministrazioni regionali, tanto é vero che l’art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998, nel confermarne la transitoria efficacia, le considera applicabili ("si applicano") in luogo e in attesa dell’emanando atto di indirizzo e coordinamento, espressione di un potere governativo vincolante, almeno quanto agli obiettivi o ai risultati da raggiungere, nei confronti degli enti autonomi. Onde il richiamo, nello stesso art. 72, comma 11, all’art. 1, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992 non rispecchia la vera natura delle linee guida in questione e non é idoneo a modificarne la portata giuridica o a sostituirne ex post il fondamento normativo.

L’art. 4, comma 1, del d.l. n. 175 del 1997 va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo in quanto configura un potere ministeriale, che si pretende vincolante nei confronti delle Regioni e delle Province autonome, pur in difetto dei requisiti di un legittimo atto di indirizzo e coordinamento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge 20 giugno 1997, n. 175 (Disposizioni urgenti in materia di attività libero-professionale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale), convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge 7 agosto 1997, n. 272, nella parte in cui rende applicabile alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’art. 1, comma 33, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);

b) dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro della sanità, emanare, con efficacia nei confronti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto 25 febbraio 1997 (Determinazione di termini e sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), attuativo del predetto art. 1, comma 33, della legge n. 662 del 1996, e per l’effetto annulla il predetto decreto del Ministro della sanità 25 febbraio 1997 nella parte in cui si rivolge e si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano;

c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997;

d) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, sollevata, con riferimento agli articoli 9, numero 10, 8, numero 1, 16 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nonchè alle norme di attuazione dello stesso di cui al d.P.R. n. 197 del 1980, al d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, al d.lgs. n. 266 del 1992, dalla Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso in epigrafe (Reg. ric. n. 58 del 1997);

e) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all’art. 8 della legge n. 59 del 1997, all’art. 5 della legge n. 833 del 1978, all’art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 e all’art. 1, comma 8, della legge n. 662 del 1996, dalla Regione Puglia con i ricorsi in epigrafe (Reg. ric. n. 49 e n. 59 del 1997);

f) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, nel suo complesso, sollevate, in riferimento agli articoli 9, numero 10, 8, numero 1, 16 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e alle norme di attuazione dello stesso statuto di cui al d.P.R. 26 gennaio 1980, n.197, al d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, come modificato dal d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267, al d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi in epigrafe (Reg. ric. n. 57 e n. 58 del 1997);

g) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 del decreto legge n. 175 del 1997, nella parte in cui rende applicabili alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’art. 1, commi 28 e 29, della legge n. 662 del 1996, sollevata, in riferimento agli articoli 9, numero 10, 8, numero 1, e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e alle norme di attuazione dello stesso di cui al d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, e al d.lgs. n. 266 del 1992, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso in epigrafe (Reg. ric. n. 57 del 1997);

h) dichiara la cessazione della materia del contendere con riguardo:

- alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, nella parte in cui rende applicabile alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’art. 1, comma 14, della legge n. 662 del 1996, sollevata, in riferimento agli articoli 9, numero 10, 8, numero 1, 16 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nonchè alle norme di attuazione dello stesso statuto di cui al d.P.R. n. 197 del 1980, al d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, al d.lgs. n. 266 del 1992, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi in epigrafe (Reg. ric. n. 57 e n. 58 del 1997);

- alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, sollevata, in riferimento agli articoli 9, numero 10, 8, numero 1, 16 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nonchè alle norme di attuazione dello stesso di cui al d.P.R. n. 197 del 1980, al d.P.R. n. 474 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, al d.lgs. n. 266 del 1992, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi in epigrafe (Reg. ric. n. 57 e n. 58 del 1997);

- alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legge n. 175 del 1997, convertito in legge, senza modificazioni, dalla legge n. 272 del 1997, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, in relazione all’art. 8 della legge n. 59 del 1997, all’art. 5 della legge n. 833 del 1978, all’art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 e all’art. 1, comma 8, della legge n. 662 del 1996, dalla Regione Puglia con i ricorsi in epigrafe (Reg. ric. n. 49 e n. 59 del 1997).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2000.