Sentenza n. 40/2000

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SENTENZA N. 40

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI 

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare, iscritto al n. 122 del registro referendum, per l’abrogazione:

a) del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del Codice di procedura civile", e successive modificazioni, limitatamente a:

articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza", e secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole: "ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";

articolo 153;

articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e primo comma, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza";

b) del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante: "Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a:

articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";

articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".

Vista l’ordinanza 7-13 dicembre 1999, come corretta con l'ordinanza 21 dicembre 1999, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

udito l’avvocato Gustavo Pansini per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata da Daniele Capezzone, Mariano Giustino, Michele De Lucia, Sergio Augusto Stanzani Ghedini e Rita Bernardini, sul seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogato il Regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del Codice di procedura civile", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 152, comma 1, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza", e comma 2, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole: "ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente"; - articolo 153; - articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e comma 1, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza"; nonché il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante: "Approvazione del codice di procedura penale" e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole "a pena di decadenza"; - articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza"?".

2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza 7-13 dicembre 1999, ha dichiarato che la richiesta è conforme alle disposizioni di legge.

Con successiva ordinanza di correzione del 21 dicembre 1999 l’iniziale denominazione del referendum ("Termini processuali perentori: Abrogazione") è stata modificata come segue: "Sistema dei termini processuali: Abrogazione parziale".

3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio sull'ammissibilità della richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri.

4. - In prossimità della camera di consiglio, il Comitato promotore ha depositato una memoria nella quale si insiste per l'ammissibilità del referendum, sotto i profili della chiarezza e completezza del quesito, nonché della "individuabilità delle conseguenze" in caso di voto favorevole.

5. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l’avvocato Gustavo Pansini, per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.

Considerato in diritto

1. - La richiesta referendaria investe alcune disposizioni del codice di procedura civile (regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del codice di procedura civile") e del codice di procedura penale (decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante: "Approvazione del codice di procedura penale"), che dettano, rispettivamente per la materia civile e per la materia penale, la disciplina generale dei termini processuali.

In relazione al codice di procedura civile, viene proposta la soppressione dei seguenti articoli e parti di comma:

- articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza", e secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole "ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";

- articolo 153;

- articolo 154, limitatamente alla parola: "ordinatorio", contenuta nella rubrica, e primo comma, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza".

In relazione al codice di procedura penale, viene proposta la soppressione delle seguenti parti di comma:

- articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";

- articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".

2. - La disciplina dei termini processuali (vale a dire, dei limiti di tempo assegnati a un soggetto per il compimento di un atto processuale) è contenuta, per il processo civile, negli artt. 152-155 cod. proc. civ. e, per il processo penale, negli artt. 172-176 cod. proc. pen.

 Per quanto interessa la presente decisione, i termini processuali civili sono distinti in "ordinatori" e "perentori". Si considerano ordinatori tutti i termini che la legge non dichiara espressamente perentori o che non sono stabiliti a pena di decadenza dal giudice, quando la legge lo permette (art. 152 cod. proc. civ.). I termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati dal giudice, prima della scadenza, per una sola volta e per una durata non superiore al termine prorogato (art. 154 cod. proc. civ.). Per contro, i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati "nemmeno sull’accordo delle parti" (art. 153 cod. proc. civ.).

Con riferimento al processo penale, i termini "si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge" (art. 173, comma 1, cod. proc. pen.). L’inosservanza dei termini comunemente definiti "ordinatori" non produce, invece, l’effetto della decadenza, ma comporta eventuali conseguenze extraprocessuali (ad esempio, la responsabilità disciplinare cui fa espresso richiamo l’art. 124 cod. proc. pen.).

Nel processo penale, verosimilmente in considerazione del carattere pubblico dell’azione penale e della natura degli interessi in gioco, non è in via generale contemplato l’istituto della abbreviazione o della proroga dei termini assegnati alle parti ex lege o per provvedimento del giudice. Sono invece espressamente previsti la non prorogabilità dei termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, comma 2, cod. proc. pen.) e l'istituto della restituzione nel termine per il caso fortuito o la forza maggiore (art. 175 cod. proc. pen.).

3. – Emerge immediata ed evidente una duplice ragione di inammissibilità della richiesta referendaria.

In primo luogo, la formulazione del quesito non rispetta il carattere meramente abrogativo del referendum, ma mira piuttosto, attraverso la tecnica del "ritaglio" di singole parole o gruppi di parole privi di autonomo significato normativo, a creare, sia nel processo civile che in quello penale, discipline dei termini processuali nuove e assolutamente diverse, sostituendole a quelle esistenti (v. sentenza n. 36 del 1997).

Per quanto riguarda il processo civile, gli interventi soppressivi delle parole "anche a pena di decadenza" operati sul primo comma dell'art. 152 cod. proc. civ., nonché delle parole "stabiliti dalla legge" e "ordinatori, tranne che la legge li dichiari espressamente", operati sul secondo comma del medesimo articolo, trasformerebbero tutti i termini in perentori. Viene peraltro proposta anche l'abrogazione dell'intero art. 153 cod. proc. civ., ove si stabilisce che i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti, nonché della parola "ordinatorio" nella rubrica dell'art. 154 cod. proc. civ. e delle parole "che non sia stabilito a pena di decadenza" nel primo comma del medesimo articolo, con la conseguenza che tutti i termini, ricondotti all'unica categoria dei termini perentori, potrebbero essere abbreviati o prorogati, prima della scadenza, dal giudice anche d'ufficio.

In caso di esito positivo del referendum verrebbe, quindi, introdotta nell’ordinamento l’inedita categoria dei termini processuali perentori, ma nello stesso tempo abbreviabili o prorogabili dal giudice anche d'ufficio, oltretutto in contrasto con le esigenze di certezza e di uniformità che ineriscono alla natura stessa dei termini perentori.

 Anche per quanto concerne i termini processuali penali, la richiesta referendaria, attraverso interventi ablativi di mere locuzioni verbali, operati sull'art. 173 (e marginalmente sull'art. 175) del codice di procedura penale, tende a sostituire a quella esistente una disciplina radicalmente diversa, che fa perno su un'unica categoria di termini indiscriminatamente stabiliti a pena di decadenza, quale che sia l’atto o l’attività cui ineriscono, e non prorogabili, salvo che la legge stessa disponga diversamente.

4. – Sono altresì evidenti la disomogeneità e l'intrinseca contraddittorietà del quesito referendario, che a loro volta si riflettono nella anodina e generica formulazione dell’intitolazione "Sistema dei termini processuali: Abrogazione parziale".

La pretesa di sottoporre a referendum discipline accomunate solo dal mero riferimento nominalistico all'istituto dei termini processuali, ma operanti nei diversi sistemi del processo civile e del processo penale, pone la libertà di scelta dell'elettore di fronte a prospettive tra loro non conferenti. Inoltre con il medesimo quesito si chiede, da un lato, di introdurre nell'ordinamento processuale civile termini qualificati come perentori, ma in realtà sempre abbreviabili o prorogabili anche d'ufficio dal giudice; dall’altro di sopprimere nell'ordinamento processuale penale la categoria dei termini ordinatori e di trasformarli tutti in termini sanzionati a pena di decadenza.

Risulta così disatteso proprio lo scopo, dichiarato dai promotori del referendum nella memoria illustrativa, di conseguire l'accelerazione dei procedimenti, imponendo anche al giudice il rigoroso rispetto dei nuovi termini processuali perentori: al contrario, nel processo civile i termini diverrebbero tutti abbreviabili o prorogabili sulla base di scelte discrezionali dello stesso giudice; nel processo penale la sanzione della decadenza, prevista in caso di inosservanza per tutti i termini, potrebbe addirittura determinare la paralisi dell'esercizio della giurisdizione.

5. - Per le concorrenti ragioni sopra esposte, la richiesta referendaria va pertanto dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, degli artt. 152, 153 e 154 del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante "Approvazione del Codice di procedura civile", e degli artt. 173 e 175 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante "Approvazione del codice di procedura penale", richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido Neppi MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.