Ordinanza n. 412/99

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ORDINANZA N. 412

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI 

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI 

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 391 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1998 dal Giudice per le indagini preliminari c/o il Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di M. C., iscritta al n. 867 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1998.

 Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede <<la necessaria presenza di un rappresentante della Polizia giudiziaria che ha partecipato alle operazioni di arresto e con diretta cognizione dei fatti o, comunque, non consente al Giudice per le indagini preliminari procedente di chiedere l’intervento del predetto, anche a chiarimento dei fatti>>;

 che il rimettente, investito della richiesta del pubblico ministero di convalida dell’arresto e di applicazione della custodia cautelare in carcere, espone, in fatto, che nell’udienza di convalida, relativa a due soggetti arrestati in flagranza, uno di essi aveva negato, in contrasto con quanto risultava nel verbale di arresto, di avere detenuto un quantitativo di stupefacente e di essersene disfatto nel momento in cui era intervenuta la polizia giudiziaria, sostenendo che la sostanza stupefacente era detenuta dall’altro arrestato;

che quest’ultimo, a sua volta interrogato nell’udienza di convalida, aveva confermato tale versione, assumendosi l’esclusiva responsabilità del fatto;

che, a parere del rimettente, in tale situazione il giudice della convalida si vedrebbe costretto a decidere sulle richieste del pubblico ministero senza avere la possibilità di compiere alcuna indagine volta a verificare quale delle contrastanti versioni emergenti dal verbale di arresto e dalle dichiarazioni dei due arrestati corrisponda alla realtà dei fatti;

che, al riguardo, il rimettente rileva che nell’analoga situazione della convalida dell’arresto nel procedimento avanti al pretore, l’art. 566 cod. proc. pen. ha opportunamente previsto che l’ufficiale o agente di polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto venga autorizzato a rendere una relazione orale, così consentendo al pretore di chiedere chiarimenti sui fatti e di <<poter instaurare un minimo di contraddittorio su circostanze dubbie o incerte>>;

che la norma censurata contrasterebbe quindi con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, in quanto opera una irragionevole discriminazione tra arrestati a seconda che si tratti di reati di competenza del tribunale o del pretore; con l’art. 24 Cost., perché l’arrestato <<si troverebbe nella sostanziale impossibilità di controbattere a quanto risulta in atti in un momento determinante per la propria libertà personale>>; con l’art. 97 Cost., sotto il profilo del buon andamento degli uffici, in quanto si preclude al giudice di <<compiere quanto necessario per raggiungere un serio e maturato convincimento>> e alla polizia giudiziaria di fornire chiarimenti a fronte di contestazioni della difesa.

Considerato che nel sistema del codice di procedura penale l’udienza di convalida dell’arresto, disciplinata dall’art. 391 cod. proc. pen., è costruita come un momento di necessaria garanzia sullo status libertatis, volto esclusivamente a verificare, allo stato degli atti e nei tempi brevissimi imposti dall’art. 13, terzo comma, Cost., le condizioni di legittimità dell’arresto sulla base del relativo verbale, trasmesso dal pubblico ministero a norma dell’art. 122 disp. att. cod. proc. pen. unitamente alla richiesta di convalida;

che a tale funzione è congeniale la struttura dell’udienza di convalida, ove l’unica presenza necessaria è quella del difensore, a garanzia del diritto di difesa dell’arrestato, di cui viene disposto l’interrogatorio, salvo che non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire (art. 391, commi 1 e 3, cod. proc. pen.), mentre il pubblico ministero, se ritiene di non comparire, trasmette al giudice le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano (art. 390, comma 3-bis, cod. proc. pen.), ovvero, se comparso, si limita ad indicare i motivi dell’arresto e ad illustrare le eventuali richieste in ordine alla libertà personale (art. 391, comma 3, cod. proc. pen.);

che, a fronte di tale disciplina, il rimettente vorrebbe che al giudice dell’udienza di convalida venisse riconosciuto il potere di sentire l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto e redatto il relativo verbale, eventualmente in contraddittorio con la persona arrestata, al fine di procedere ad un più preciso accertamento dei fatti in caso di contrasti tra il verbale di arresto e le dichiarazioni rese dagli arrestati in sede di interrogatorio;

che ad avviso del rimettente l’impossibilità di sentire l’ufficiale o agente di polizia giudiziaria si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sia perché precluderebbe irragionevolmente al giudice di compiere gli accertamenti necessari alla sua decisione, sia perché - confrontata con la disciplina dell’udienza di convalida dell’arresto e del contestuale giudizio direttissimo nel procedimento davanti al pretore, prevista dall’art. 566 cod. proc. pen. - determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra gli arrestati per reati di competenza del tribunale e quelli per reati di competenza del pretore, in quanto solo nel procedimento davanti al pretore la legge prevede che l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria che presenta l’arrestato al pretore sia autorizzato a rendere una relazione orale (art. 566, comma 3, cod. proc. pen.);

che, da un punto di vista generale, non contrasta con il principio di ragionevolezza, stante la funzione e la struttura dell’udienza di convalida, che l’art. 391 cod. proc. pen. non preveda che il giudice possa acquisire nuovi elementi di valutazione e, in particolare, sentire come testimoni gli agenti o gli ufficiali che hanno eseguito l’arresto, in quanto tali incombenti si porrebbero in radicale contrasto con i tempi brevissimi entro cui deve svolgersi e concludersi l’udienza di convalida e con le finalità dell’udienza stessa;

che, in particolare, non è conferente il tertium comparationis addotto dal rimettente a sostegno della supposta violazione dell’art. 3 Cost.: l’art. 566 cod. proc. pen. si riferisce, infatti, alla diversa situazione della convalida e del contestuale giudizio direttissimo nel procedimento davanti al pretore, e pertanto il confronto potrebbe in ipotesi porsi tra gli omologhi istituti della convalida e del contestuale giudizio direttissimo rispettivamente previsti per il procedimento davanti al pretore (art. 566 cod. proc. pen.) e per i reati di competenza del tribunale (art. 449 cod. proc. pen.);

che, peraltro, la relazione orale di cui all’art. 566, comma 3, cod. proc. pen. è priva di quelle connotazioni testimoniali che vorrebbe attribuirle il rimettente, ma risponde piuttosto, stante i tempi brevissimi per la presentazione dell’arrestato direttamente in udienza ai fini della celebrazione del giudizio direttissimo, all’esigenza di consentire agli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto di surrogare o integrare la comunicazione scritta della notizia di reato prevista dall’art. 347, comma 1, cod. proc. pen.;

che, quindi, la relazione orale, che il rimettente vorrebbe introdurre all’interno dell’udienza di convalida, non assolverebbe comunque alla funzione di consentire al giudice di sentire a chiarimento gli agenti verbalizzanti onde dirimere eventuali contrasti tra il verbale di arresto e il contenuto delle dichiarazioni rese dagli arrestati;

che infine, ove si attribuisse al giudice, al di fuori della specifica e diversa ipotesi della relazione orale avanti al pretore, la facoltà di citare d’ufficio e di esaminare gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto, tale attività si qualificherebbe come una acquisizione di carattere testimoniale, dalla quale deriverebbe, a titolo di necessaria attuazione del principio del diritto alla prova, la conseguente ammissione di altri testimoni eventualmente indicati dal pubblico ministero e dalla difesa, snaturando così la struttura e la funzione dell’udienza di convalida, sino all’impossibilità di concluderla nel rispetto dei termini imposti dalla stessa Costituzione a tutela della inviolabilità della libertà personale;

che prive di fondamento sono anche le censure mosse con riferimento agli artt. 24 e 97 Cost.;

che, ai fini della contestazione nel corso dell’udienza di convalida delle risultanze emergenti dal verbale di arresto, il diritto di difesa risulta sufficientemente garantito dalla presenza necessaria del difensore e dall’interrogatorio dell’arrestato;

che comunque, in caso di effettiva lacunosità o contraddittorietà degli elementi sottoposti alla sua valutazione, il giudice, in omaggio al principio del favor libertatis, dovrà disattendere la richiesta del pubblico ministero, non convalidando l’arresto;

che, in ordine all’art. 97 Cost., il principio del buon andamento dei pubblici uffici non si riferisce all’attività giurisdizionale in senso stretto, bensì all’organizzazione e al funzionamento dell’amministrazione della giustizia (v. da ultimo sentenze n. 381 del 1999 e n. 53 del 1998);

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto tutti i profili prospettati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1999.