ORDINANZA N. 281
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 novembre 1998 dal Tribunale di Padova, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visto l'atto di costituzione di Cortellazzo Antonio;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Tribunale di Padova, con ordinanza in data 4 novembre 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento, che abbia precedentemente pronunciato sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di altro soggetto, valutando lo stesso fatto";
che il remittente riferisce che egli ha pronunciato, previa separazione del processo, sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., nei confronti di un concorrente nei medesimi reati di bancarotta documentale e di bancarotta semplice ascritti anche agli imputati ora sottoposti al suo giudizio;
che il giudice a quo precisa che alcuni dei suoi attuali imputati rivestivano, secondo la contestazione, unitamente al "patteggiante" la qualità di componenti del collegio sindacale della società fallita, mentre tutti gli altri erano membri del consiglio di amministrazione della medesima società;
che, secondo il remittente, poichè le imputazioni riguarderebbero "atti collegiali" posti in essere, quali componenti del collegio sindacale o quali membri del consiglio di amministrazione, da tutti gli imputati, la condotta ascritta al "patteggiante" sarebbe oggettivamente identica ed inscindibile da quella degli attuali imputati, sicchè non sarebbe possibile separare le posizioni dei singoli e farne oggetto di autonoma valutazione;
che, pertanto, la sentenza di applicazione della pena emessa nei confronti del coimputato, presupponendo l'accertamento negativo circa la possibilità di pronunciare il proscioglimento ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., comporterebbe una manifestazione di giudizio anche nel merito dell'operato dell'intero collegio sindacale e della condotta dei residui imputati ancora da giudicare;
che in difetto di una dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale verrebbe violato il principio del giusto processo, la cui latitudine sarebbe maggiore della questione decisa dalla sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte;
che si é costituito uno degli imputati del giudizio a quo, rappresentato dal suo difensore munito di procura speciale, e ha concluso per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale prospettata, sottolineando che il giudice che ha già pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente avrebbe implicitamente riconosciuto che non vi é prova positiva della insussistenza del fatto storico e della sua qualificazione e sarebbe, quindi, "pregiudicato" in ordine all'elemento oggettivo del fatto addebitato in concorso.
Considerato che il Tribunale di Padova dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice, che abbia pronunciato sentenza di cui all'art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di un imputato di reato a titolo di concorso eventuale, a giudicare con il rito ordinario altri concorrenti nel medesimo reato;
che nell'ordinanza é richiamata la sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 34, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che, secondo il giudice a quo, la logica sottesa alla sentenza n. 371 del 1996 comporterebbe che il giudice che si sia pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di un concorrente sia per ciò solo colpito da incompatibilità in relazione al processo che venga successivamente celebrato nei confronti degli altri concorrenti;
che questa Corte ha già precisato che adottare una sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente nel reato non significa necessariamente esprimere valutazioni circa la responsabilità degli ulteriori concorrenti estranei al processo (ordinanza n. 127 del 1999);
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 30 giugno 1999.